Nel 2023 il sito della Treccani aggiungeva al proprio dizionario un neologismo, un lemma inglese composto da due parole, overtourism. Si tratta del sovraffollamento turistico che, come riporta in maniera eufemistica il dizionario, può provocare “disagi per i residenti”.
In realtà, il fenomeno è diventato una vera e propria piaga che incombe non solo sulle tradizionali mete a vocazione turistica del Belpaese, siano città d’arte o località di vacanze, ma anche su luoghi che negli ultimi anni sono stati trasformati radicalmente.
Città che diventano palcoscenici per un turismo “mordi e fuggi”, non per opera della mano invisibile del mercato, ma a causa di scelte precise a tutti i livelli della politica: dai governi che si sono succeduti alle amministrazioni locali. Tutti pronti a sposare entusiasticamente un modello di sviluppo unidirezionale di cui beneficia una frazione minoritaria e parassitaria della popolazione.
Come si sa, il pesce puzza dalla testa, e la causa va ricercata nell’assegnazione della funzione dei luoghi legata alla divisione del lavoro targata UE.
Alla de-industrializzazione di parti consistenti della periferia integrata dell’Unione è seguito un processo di valorizzazione turistica che sembra essere l’unica vocazione possibile per alcuni territori, alternativa all’abbandono tout court. Questi devono sposare la nuova frontiera del neo-liberismo selvaggio con le sue dinamiche da Far West e la sua narrazione gratificante per cui, grazie ad una sorta di “teoria dello sgocciolamento”, riceverebbero effetti benefici per una buona parte della popolazione.
Questo modello, nella concezione tardo-capitalistica che ha sposato la tesi pacchiana della “fine della storia”, non può essere messo in discussione. Per parafrasare Mark Fisher, in una logica di assuefazione della catastrofe, la declinazione turistica del realismo capitalista ci vorrebbe far accettare, per i luoghi in cui viviamo, l’apocalisse del sovraffollamento turistico piuttosto che una trasformazione della realtà urbana in spazio pubblico e inclusivo.
Il livello parossistico dell’overtourism ha riproposto con forza la necessità di rimettere al centro dell’agenda politica il diritto alla città rispetto alle esigenze della rendita, considerato che nella percezione dei più è diventato senso comune quel processo di alienazione dai luoghi in cui si vive. E il sovraffollamento turistico si accompagna alla gentrificazione tout court.
Prendiamo quello che si potrebbe definire un caso di studio, come lo è Bologna, per mostrare come uno dei maggiori vettori di valorizzazione capitalistica attraverso il turismo sia il frutto di precise scelte di ingegneria politico-sociale. Il discorso non cambia per una buona parte dei capoluoghi di regione, compresa la capitale dell’overtourism che è Rimini.
I flussi di turisti vengono veicolati attraverso l’offerta di voli low cost e su alcune tratte ferroviarie, con aeroporti e stazioni che divengono hub per un flusso che ha raggiunto una congestione strutturale vicina al punto di rottura.
Le multiproprietà, attraverso le piattaforme on-line come Airbnb, massimizzano la loro rendita con affitti brevi e brevissimi che rendono impossibile – anche grazie ad un regime fiscale piuttosto favorevole – l’affitto a scopi non turistici a residenti, creando una fittizia carenza degli alloggi, che ha un effetto volano su tutto il mercato degli affitti e dei mutui.
Il tessuto commerciale (in particolare ristorazione e bar), dove vige una precarietà pressoché totale ed uno sfruttamento feroce, si trasforma in base alle esigenze di questa nuova utenza, che avrà a Bologna la sua nuova “cattedrale nel deserto” nel Grand Tour, la nuova avventura del ‘prenditore‘ nostrano Farinetti dopo la fallimentare esperienza di Fico.
Un esempio da manuale di “ più Stato per il mercato”...
Non ultimo, l’offerta culturale (musei, mostre, concerti, spettacoli, ecc.) si muove con una logica di grandi eventi a pagamento per attrarre questi flussi, abdicando ad una politica culturale di cui beneficerebbero in primis gli abitanti e le zone più periferiche. Naturalmente gli imprenditori culturali di questa specie pensano che la città sia un grande palco per i loro business.
In questa dinamica sono sempre di più i grandi player e la malavita organizzata che dettano legge, accaparrandosi significative fette di mercato con una parte della piccola borghesia commerciale che si attrezza alla bisogna.
In sintesi, le città “a misura di turista” diventano l’inferno per coloro che vi abitano, in specie per i ceti popolari, tranne che per coloro che posso beneficiare di una qualche forma di rendita da mettere a valore.
Di fronte a questo vorticoso processo di trasformazione è chiaro che bisogna innanzitutto mettere in luce la trama di poteri politico-economici che se ne avvantaggia, avviare un percorso di iniziativa politica che sappia sviluppare un’ipotesi conflittuale – e non conservativa – contro questi interessi, dare rappresentanza politica alla parte di città esclusa dai suoi supposti benefici, e mettere in campo delle proposte concrete che non siano solo parziali palliativi al capitalismo turistico, ma che ne inceppino il circolo vizioso.
Varie e multiformi sono le iniziative di mobilitazione che stanno prendendo forma in Europa da parte di coloro che ne subiscono le conseguenze maggiori (a iniziare da Barcellona - ndR), segno che un limite è stato toccato, e vi è ormai una percezione diffusa della natura deleteria del fenomeno.
Anche qui, la misura è colma.
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