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23/07/2024

A bando la gestione dell’idroelettrico italiano, è una clausola del PNRR

Quando nelle piazze i manifestanti ribadiscono che l’Agenda Draghi viene portata avanti dal governo Meloni, non è una formula retorica per dire che questa classe dirigente è tutta uguale. C’è un’effettiva continuità delle politiche, sempre a discapito della collettività dell’Italia.

Come sempre, è la UE l’origine di ogni indirizzo preso a Palazzo Chigi, perché le decisioni ormai vengono prese a Bruxelles. In passato, lì si era deciso che la gestione degli impianti idroelettrici andava messa a bando, affidandola a terzi.

Nel 2021 questo obbligo è stato fatto decadere. Ma nel nostro paese c’era quello che era definito il “governo dei migliori”, e questi hanno pensato che la cosa migliore fosse mantenere il provvedimento così com’era.

Anzi, per mostrarsi al solito più realisti del re, Draghi decise di inserire questa misura tra le clausole per ricevere il PNRR. In pratica, per ottenere i soldi (a prestito, per lo più) della UE, bisognava per forza privarsi del controllo su queste infrastrutture strategiche.

Stiamo parlando di 4.646 centrali, quasi tutte sull’arco alpino. Esse producono il 20% dell’energia totale del paese e rappresentano il 40% delle rinnovabili, e sono perciò un asset fondamentale anche rispetto alla programmazione della lotta al cambiamento climatico.

E la questione ha importanti ripercussioni anche rispetto alla gestione del territorio e al contrasto al dissesto idrogeologico. Infatti, dighe e invasi sono elementi dirimenti anche rispetto al pericolo alluvioni, che più di una volta hanno colpito l’Italia negli ultimi mesi.

L’inconsistenza del governo Meloni già palesatasi con queste tragedie lo sta portando oggi a continuare sulla strada tracciata da Draghi. Con questi bandi anche gli operatori esteri potranno entrare nel settore: altro che sovranisti!

Non avendo approvato il decreto Energia bis, non è stato possibile nemmeno riassegnare gli impianti ai concessionari uscenti. Ad oggi, inoltre, servirebbero investimenti per almeno 15 miliardi di euro totali, che nell’incertezza attuale nessun privato si vuole assumere.

Basterebbe un po’ di manutenzione e sostituzione di alcuni macchinari, e si potrebbero guadagnare 4,4 terawattora all’anno. Ciò si tradurrebbe anche in un risparmio di 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica e nella creazione di 2mila posti di lavoro per completare i lavori.

Un piano di sviluppo che necessiterebbe di uno Stato guidato da una classe dirigente con un minimo di cultura di programmazione, che riesca a vedere oltre la scadenza elettorale. E che non sia legata mani e piedi ai vincoli europei.

Ma a Palazzo Chigi al massimo riusciranno a pensare a come garantire la rendita su questi beni della collettività. Questa è la cifra reale del governo Meloni.

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