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17/07/2024

Le economie “obese” moltiplicano la povertà

La convinzione diffusa che la crescita economica risolverà il problema della povertà nel mondo è sbagliata e pericolosa. Olivier De Schutter, esperto indipendente delle Nazioni Unite, si confronta con le pseudo-verità della teoria economica egemonica e prende le distanze dalla retorica pro-crescita che predomina in alcune organizzazioni internazionali.

Per il giurista belga che dal 2020 ricopre il ruolo di Relatore Speciale (consulente esterno indipendente) sulla povertà estrema e i diritti umani delle Nazioni Unite, questa concezione spinge la civiltà sull’orlo del collasso climatico e crea una piccola élite con una fortuna quasi incalcolabile. D’altro canto, 670 milioni di persone (l’8,4% della popolazione mondiale) vivono al di sotto della soglia di povertà internazionale, fissata a 2,15 dollari al giorno. Nel suo rapporto-accusa-proposta Eradicare la povertà oltre la crescita, pubblicato la prima settimana di luglio, De Schutter sostiene che “i governi devono porre fine alla pericolosa fissazione con la crescita del prodotto interno lordo (PIL) come via per sradicare la povertà, dal momento che essa è sbagliato e conduce il mondo su un percorso pericoloso”.

Rapporto demistificante

Basato su oltre 130 contributi di governi, istituzioni per i diritti umani e organizzazioni della società civile, il rapporto che l’esperto ha preparato per il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite con sede a Ginevra, in Svizzera, sottolinea che molte nazioni continuano ad agire come se fosse possibile una crescita infinita. E avverte che “sembrano credere che l’attività economica possa espandersi all’infinito, come se la Terra dovesse fornire risorse illimitate per l’eternità e assorbire i rifiuti derivanti dalla nostra ambizione apparentemente infinita”. Citando studi di climatologi, ricorda che già nel 2019, a causa del tipo di sistema di produzione egemonico a livello globale, il 75% della superficie continentale terrestre aveva subito notevoli alterazioni, il 66% della superficie oceanica subiva effetti cumulativi ogni volta più antichi, più dell’85% delle zone umide era andato perduto. Inoltre, un milione di specie rischiano l’estinzione entro qualche decennio.

L’importanza attribuita all’aumento del Pil, secondo il rapporto De Schutter, ha conseguenze molto gravi. Ad esempio, contribuisce a mettere in secondo piano l’importanza del lavoro domestico e la necessità imperativa di valorizzarlo adeguatamente. I numeri sono eloquenti: i 16,4 miliardi di ore dedicate quotidianamente, senza retribuzione, alla cura personale diretta di figli piccoli o parenti anziani e ad attività di assistenza indiretta (come cucinare, pulire, o raccogliere acqua o legna da ardere) equivalgono approssimativamente a un ipotetico situazione con 2.000 milioni di persone che lavorano otto ore al giorno senza alcun tipo di compenso monetario. In termini di salario orario minimo, circa il 9% del PIL globale. E se consideriamo che più di tre quarti di questo lavoro domestico non retribuito (76,4%) è svolto da donne, non dobbiamo sforzarci troppo per visualizzare l’impatto drammatico della povertà, proprio, sulle donne e sulla famiglia.

D’altro canto, aggrava il preoccupante panorama della criminalizzazione dei senzatetto e dei poveri e mette in luce la realtà quotidiana di uomini, donne e bambini che vivono per strada e che vengono multati e penalizzati in diversi modi per attività basilari come dormire, lavarsi , cucinando, mangiando, chiedendo l’elemosina e lavorando per strada. Pratiche repressive che non solo non risolvono il problema, ma violano anche direttamente i diritti umani storici.

“Da decenni seguiamo la stessa ricetta trita e ritrita”, spiega De Schutter. “Prima di tutto far crescere l’economia e poi usare la ricchezza per combattere la povertà”, un approccio che “è servito come piatto sgradevole” della crisi climatica e di centinaia di milioni di esseri umani condannati alla marginalità, che lo ha portato a mettere in discussione i presupposti di detta filosofia. Intesa in questo modo, come una panacea e una priorità, sostiene questo rinomato professore di diritto internazionale, la crescita distoglie l’attenzione da ciò che conta veramente: l’eliminazione della povertà e il raggiungimento del benessere per tutte le persone, non solo per una minoranza fortunata. A suo avviso, le economie dei paesi ricchi sono cresciute molto più del necessario affinché le persone prosperassero, al punto che “sono diventate obese”. Tuttavia, conclude, anche in questi paesi la crescita non è riuscita a ridurre la povertà e le disuguaglianze né a creare posti di lavoro.

La concezione economica dominante dietro questa formula di crescita, secondo De Schutter, si basa sul saccheggio delle risorse del Sud del mondo, “un modello di dominio postcoloniale mantenuto tramite il giogo del debito estero”. Nei paesi poveri, dove sono ancora necessari investimenti significativi per costruire scuole, ospedali, infrastrutture di trasporto o elettricità, la crescita potrebbe essere utile. Tuttavia, nella pratica lo sviluppo è stato spesso voracemente estrattivo, basato sullo sfruttamento della manodopera a basso costo e delle risorse naturali. Se la crescita economica volesse davvero contribuire al riconoscimento e all’affermazione dei diritti umani, dovrebbe cambiare il suo orientamento per “riorientarsi verso la soddisfazione dei bisogni e la distribuzione tra più persone invece di limitarsi ad arricchire i ricchi e promuovere il dominio dei grandi attori economici”. Neppure “nei Paesi a basso reddito, dove la crescita resta necessaria e va sostenuta”, prosegue De Schutter, “lo sviluppo dovrebbe essere equiparato ad un aumento del Pil ma ad un maggiore benessere sociale ed ecologico”. La denuncia non tarda ad arrivare: “la fede cieca nella crescita economica è una camicia di forza per la nostra immaginazione mentre la lotta alla povertà ne ha risentito molto”.

Sì, esiste un’alternativa: sradicare la povertà con i Diritti Umani

Le 20 pagine del rapporto hanno avuto un impatto significativo sull’ambiente diplomatico grazie al loro contenuto, che era allo stesso tempo stimolante e alternativo a molti altri rapporti di organizzazioni finanziarie ed economiche internazionali, pieni di sofismi. Prova di ciò sono le sue tre raccomandazioni fondamentali per sbloccare la complessa tensione tra ciò che il sistema egemonico dominante persegue, da un lato, e le proposte di solidarietà per ridurre la povertà, dall’altro.

In primo luogo, promuovere quello che De Schutter chiama il Patto per il futuro, una proposta “incentrata sull’efficacia dei diritti umani piuttosto che sull’aumento dei livelli aggregati di produzione e consumo”. Si tratta di un ripensamento urgente della lotta contro la povertà, che sostiene il passaggio a un’economia che indirizzi le risorse verso i servizi pubblici e la protezione sociale. In secondo luogo, ristrutturare e condonare il debito e finanziare i servizi pubblici universali attraverso tasse progressive sull’eredità, sulla ricchezza e sul carbonio. Infine, creare una maggiore cooperazione internazionale contro l’evasione fiscale, un meccanismo sistemico che moltiplica la miseria in vaste regioni del globo.

Nella proposta, l’incentivazione dell’economia sociale e solidale acquista un’importanza essenziale; la democratizzazione del lavoro; nuove modalità di condivisione del lavoro e lotta frontale al consumismo. “La lotta alle disuguaglianze”, sostiene, “si sovrappone alla lotta al consumismo, inteso come stimolazione del consumo attraverso il marketing e l’innovazione permanente”. In questa prospettiva, è essenziale fornire servizi di base universali e aumentare i redditi garantendo il diritto a un salario minimo dignitoso e a una retribuzione equa, rafforzando la protezione sociale. Secondo De Schutter, “i governi dovrebbero investire nella fornitura di servizi di base universali, garantendo a tutte le persone l’accesso a servizi che assicurino il godimento dei diritti umani: alloggi adeguati, assistenza sanitaria, cibo nutriente attraverso le mense scolastiche, acqua ed energia, trasporti e l’accesso digitale”.

Questo documento, inteso come un avvio seguito da un ciclo di consultazioni per delineare una tabella di marcia, sarà proposto per il dibattito al prossimo Summit sul futuro delle Nazioni Unite che si terrà a New York il 22 e 23 settembre. Tuttavia, come avverte il relatore speciale, la transizione desiderata non può essere raggiunta tutta in una volta, né a livello locale né nazionale. In altre parole: sfuggire alla dipendenza dalla crescita messa in discussione dallo studio richiederà strategie pluriennali e il dispiegamento di sforzi intenzionali a diversi livelli di governance. Anche la preoccupazione per lo stato dell’ambiente è centrale nella proposta, poiché si tratta di “rimodellare l’economia per produrre beni e servizi ecologicamente sostenibili di maggiore utilità sociale e ridurre significativamente la produzione non necessaria ed eccessiva”.

Già nella sfera del lavoro, la proposta suggerisce di rifiutare il PIL come indicatore di progresso, garantendo posti di lavoro sostenuti dal governo, rivalutando il lavoro domestico e di cura della famiglia non retribuito, stabilendo salari minimi e mettendo un limite alla ricchezza generata dalle industrie distruttive. “Queste sono le politiche che possono davvero portare benefici al pianeta e ai suoi abitanti”, sostiene De Schutter.

Ci sono tre contributi principali di questo studio mirato che si oppone frontalmente all'espansionismo economico. In primo luogo, affrontare senza pregiudizi o paure le convinzioni quotidiane del sistema egemonico globale che condiziona la riduzione della povertà a una maggiore crescita insostenibile. Inoltre, raccogliere indizi alternativi per avanzare in questa grande lotta sociale, da una possibile proposta, incentrata sui diritti umani. E, ultimo ma non meno importante, che queste riflessioni provengono dall’interno delle Nazioni Unite stesse e sono articolate da un esperto indipendente che appartiene al sistema delle Nazioni Unite. Tutto ciò costituisce uno schiaffo concettuale per chi, avvantaggiato dal sistema dominante, considera irrealizzabili le alternative globali già essenziali per salvare l’Uomo e il Pianeta.

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