Pochi giorni fa Unioncamere ha pubblicato il suo Bollettino del Sistema informativo Excelsior, stilato insieme al ministero del Lavoro. Per il mese di luglio viene attestata una difficoltà di copertura di ben 245 mila posizioni lavorative.
Si tratta di una cifra davvero sostanziosa, soprattutto se si considera che rappresenta il 48,4% dell’offerta totale di lavoro. In quasi un caso su tre, il problema è la mancanza dei candidati, con gli annunci e le richieste di determinate figure professionali che cadono nel vuoto.
Dati che sembrano confermare la narrazione da cui siamo stati bombardati negli ultimi anni, ovvero quella che il lavoro c’è e sono gli italiani, e in particolare i giovani, che non vogliono lavorare. Sotto questo incessante martellamento, persino il reddito di cittadinanza è stato cancellato.
La situazione, in realtà, è esattamente al contrario. Anzi, queste notizie non si sentono più nei telegiornali perché, ora che il reddito di cittadinanza non può più essere una scusa, bisognerebbe ammettere che non era quella misura il problema e bisognerebbe concentrarsi sulla classe padronale.
Infatti, l’erogazione di quelle somme, seppur basse e insufficienti a una vita dignitosa, aveva permesso a migliaia di famiglie di sopravvivere e di avere uno strumento per resistere almeno parzialmente al ricatto salariale. Ora, i lavoratori non hanno più alternativa al lavoro sottopagato.
Erano in particolare il settore turistico e della ristorazione, quelli in cui i salari sono più bassi, i contratti più precari e le competenze richieste quasi nulle a essere nemici del reddito di cittadinanza. Potendo contare su di esso, non era facile convincere qualcuno a farsi sfruttare per due spicci e senza tutele.
Daniela Santanchè ad aprile aveva affermato che “per i lavoratori stagionali c’è stato un incentivo gigantesco: abbiamo tolto il reddito di cittadinanza”. Insomma, la cancellazione di questa misura è servita a garantire i profitti dei vari Briatore e aspiranti tali, che guadagnano non pagando salari dignitosi.
Affare un po’ diverso e più complesso è quando si va a vedere quali sono i lavoratori che mancano, secondo lo studio di Unioncamere. La mancata corrispondenza tra posizioni offerte e coperte è al 65,7% per gli operai specializzati, al 64,5% per i tecnici in campo ingegneristico, al 54,3% per le professioni tecniche in generale.
Persino quando si parla di dirigenti e professioni intellettuali, scientifiche e con elevata specializzazione il mismatch si attesta al 51,1%. Insomma, sono i lavoratori con maggiori competenze a mancare in Italia, cosa di cui la ministra Calderone dovrebbe essere messa al corrente.
Mancano tanti corsi di formazione e le aziende non vogliono spendere un centesimo per essa. Con tutti gli effetti che ne derivano dal punto di vista di produttività e innovazione, da più parti considerate i punti deboli italiani senza però mai indicare di chi è la responsabilità di queste debolezze.
I laureati, in Italia, sono pochi, il diritto allo studio è stato in pratica smantellato, le università sono sempre più elitarie. E inoltre nel Bel Paese per chi ha speso soldi e anni nella sua formazione spesso non ci sono opportunità lavorative, costringendo all’emigrazione.
Sarebbe il caso che la politica cominci a occuparsi di questi problemi, invece di trovare tutti i modi per dare una mano a padroni e padroncini.
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