Paul Samuelson, per quanto sia stato un genio della astrazione economica e della regolazione dei mercati, ci ha lasciato modelli matematici di efficienza delle transazioni di borsa che, nella realtà, si sono paradossalmente rivelati soprattutto strumenti ideologici. Invece della regolazione promessa, infatti, hanno generato veri e propri disastri sociali, come la condizione disperata delle classi subalterne del Midwest americano, raccontata in “Hillbilly Elegy” , in italiano “Elegia americana” da J.D. Vance, oggi candidato vicepresidente a fianco di Donald Trump. Vance rappresenta più mondi: da quello originario, la classe operaia devastata dalla crisi permanente dopo il crollo del fordismo, a quello dei proletari che si arruolano per sfuggire alla miseria e vanno in Iraq, scrittore per poi rappresentare la mobilità verso l’alto del sogno americano e quindi laurea, dottorato di ricerca in giurisprudenza, consulenza a società di investimenti di rischio nel settore tecnologico, seggio vinto al senato, infine candidatura alla vicepresidenza degli Stati Uniti.
Vance, che un tempo aderiva al movimento “Never Trump”, oltre ad aver costruito con “Hillbilly Elegy” un potente dispositivo narrativo che parte dalla letteratura per arrivare a Netflix, ha così una biografia che riassume le figure necessarie per vincere le elezioni alle presidenziali: classi subalterne, ceto medio patriottico, laureati, finanza, politica. Con la ex classe operaia, unita ai suoi nemici rielaborati in modo straniante dal neoliberismo, come elemento sofferente ma popolare, caldo, genuino in grado di moltiplicare il consenso, e i voti, nel popolo.
Il paradosso qui è permanente: la teoria che prometteva di controllare le criticità del mercato ha prodotto una devastazione sociale che ora viene strumentalizzata dai “vincitori” del capitalismo deregolato per ottenere consenso politico. La narrazione di Vance, persino esagerata per quanto contiene risentimento e disillusione, non contiene infatti la richiesta di un nuovo socialismo ma è un efficace strumento di propaganda per la destra repubblicana. Se la crisi del ’29 aveva prodotto, come reazione letteraria, Steinbeck ai nostri giorni i terremoti finanziari degli anni 2000, compreso il “big one” del 2009, hanno prodotto i Vance.
Siamo di fronte a un simulacro della lotta di classe, nel quale la disperazione delle classi subalterne viene sfruttata per favorire l’ascesa al potere di una frazione di super-ricchi. Ma perché questa strategia funziona? Perché l’America profonda si riconosce in questa narrazione dopo essere stata tradita proprio dal sogno americano ?
Una risposta sta nella capacità di socializzazione, di connessione collettiva che il simulacro possiede nelle società come le nostre. Il simulacro, governa la relazione tra realtà e copia, si produce all’interno delle società altamente tecnologiche ed è esattamente la forma generativa attraverso il quale la tecnologia produce la propria particolare forma di realtà. Il simulacro della lotta di classe, sganciato dal paradigma socialista, materialistico, implementato all’interno di una più vasta cornice narrativa repubblicana e ultraliberista, viene così utilizzato come elemento di moltiplicazione dei consensi, rappresentando i valori di fondo del popolo che lavora, e infine potenziato su tutte le piattaforme mediali e social.
Baudrillard, che sosteneva una teoria socialmente implosiva del simulacro, scriveva che il simulacro non nasconde la verità semplicemente è la verità che nasconde il niente. La verità di un dispositivo di comunicazione politica, quello repubblicano, che come simulacro della lotta di classe, ha funzionato nel 2016 e, come allora, nasconde il niente di progresso e di emancipazione sociale che riuscirà a realizzare Donald Trump.
Così tra cattedrali di modelli matematici di regolazione economico-finanziaria che producono macerie e simulacro nei processi di socializzazione legati alla politica si sviluppa un nuovo capitolo nella storia sociale del capitalismo.
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