Gli agricoltori indiani del Punjab sono in sit-in permanente da oltre 5 mesi, dal 13 febbraio, quando circa 25.000 contadini di dodici sindacati si sono diretti verso Delhi. La loro marcia si è fermata al confine tra Punjab e Haryana, a Shambhu, dove sono stati bloccati dalla polizia dell’Haryana. La manifestazione pacifica si è trasformata in un teatro di guerra in cui, il 21 febbraio, un agricoltore di 22 anni colpito da un candelotto di gas lacrimogeno alla testa ha perso la vita. Lo scorso 10 luglio le Alte Corti del Punjab e dell’Haryana hanno dato 10 giorni di tempo al governo dell’Haryana per rimuovere il blocco, ma il governo dell’Haryana ha fatto ricorso. L’udienza, prevista per il 22 luglio, è stata rinviata, lasciando ancora nel limbo la situazione.
Ashok Balhara, presidente del sindacato Kisan Mazdoor Sanghatan, spiega che le richieste della protesta sono l’applicazione per legge del sistema del Minimo Prezzo Supportato (MSP) a tutti gli agricoltori indiani e su un totale di 23 tipi di raccolto, l’aumento del MSP del 50% e l’annullamento di tutti i debiti degli agricoltori con lo Stato.
Il sistema dell’MSP assicura l’acquisto delle produzioni da parte del Governo, qualora sul mercato vengano proposti prezzi inferiori al prezzo minimo stabilito. Ogni anno il governo pubblica gli MSP per 23 coltivazioni, ma vengono applicati solo a riso e grano e solo negli Stati del Punjab, dell’Haryana e nell’ovest dell’Uttar Pradesh: in tutta l’India solo il 6% degli agricoltori indiani usufruisce dell’MSP.
Il settore agricolo è estremamente fragile: il 50% della popolazione dipende dall’agricoltura, che, però, contribuisce solo al 17,5% del PIL del Paese e l’85% degli agricoltori è marginale e possiede pochi acri di terra (un acro equivale a 0,4 ettari) e un bracciante guadagna dalle 400 alle 700 rupie al giorno (tra i 4,5 € e gli 8 € al giorno). Eppure, l’India è oggi il secondo produttore di grano al mondo dopo la Cina, con almeno 110 milioni di tonnellate, di cui 15% prodotti solo dal Punjab, che copre solo 1,5% della superficie del Paese. L’abbondanza di acqua e la terra particolarmente fertile hanno trasformato questo piccolo Stato, con l’arrivo della Rivoluzione Verde negli anni ’60, nel “Cestino del Pane dell’India”.
Il prezzo pagato in termini ambientali e sanitari è stato, però, estremamente elevato. L’applicazione del MSP ha favorito una coltivazione massiccia quasi esclusivamente di grano e riso, in un regime praticamente monocolturale. La falda è ampiamente sovrasfruttata; l’impoverimento dei suoli e l’aumento della resistenza dei parassiti ai pesticidi hanno spinto gli agricoltori ad incrementare l’uso di fitofarmaci, che, risalendo la catena alimentare, sono diventati una delle cause principali dell’incremento vertiginoso di casi di cancro. Oggi in Punjab l’incidenza è di oltre 101 casi ogni 100.000 abitanti per gli uomini e 127 per le donne, contro una media nazionale di 80.
Non solo: l’effetto combinato di indebitamento delle famiglie per l’acquisto di sementi, fitofarmaci e macchinari, attraverso i prestiti agevolati del Governo, ma anche di usurai locali, e la perdita di raccolti, per le frequenti siccità dovute al Cambiamento Climatico e gli attacchi dei parassiti, ha causato un incremento dei casi di suicidio. Secondo l’ultimo rapporto del National Crime Records Bureau (NCRB, 2022) i suicidi in India sono stati 11.290, più di uno ogni ora. Come nel caso dei fratelli Malkeet e Birbal, che hanno perso il padre nel 2017, sommerso dai debiti, dopo che per 5 anni il suo campo di cotone è stato attaccato dal verme rosa del cotone, distruggendo il raccolto.
Umendra Dutt, fondatore dell’ONG Kheti Virasat Mission (KVM), spiega che dalla Rivoluzione Verde in poi, è andato perduto un intero sistema culturale basato sul concetto di villaggio rurale come organismo vivente autosufficiente e in armonia con la Natura, come teorizzato dallo stesso Mahatma Gandhi. Si sono perdute coltivazioni locali, tra cui il cotone Desi, e insieme ad esse anche diverse competenze e lavori, come la tessitura. KVM dal 2005 diffonde i principi dell’agricoltura biologica e naturale in Punjab attraverso corsi rivolti a migliaia di agricoltori, aiutandoli a convertire le proprie coltivazioni. Tra questi Swarn Singh, agricoltore socio di KVM, che ha convertito tutte le coltivazioni al biologico nel 2003, dopo la morte della moglie per un tumore. Oggi, con l’avanzare dell’età ha smesso di coltivare e ha messo in affitto la terra, che viene coltivata nuovamente con metodi convenzionali. Molti agricoltori intervistati sostengono che, senza un sistema di prezzi garantiti e, soprattutto, basato sulla qualità dei raccolti, una maggiore diffusione del biologico, che ha rese inferiori, fatica ad affermarsi.
Gli agricoltori che oggi protestano, sostengono che l’applicazione del MSP a tutte le 23 coltivazioni sarebbe un modo per avviare quanto meno un processo di diversificazione e, quindi, di riduzione della pressione sulla falda e di uso dei fitofarmaci entro i limiti consigliati; ma secondo un articolo pubblicato da The Indian Express, a firma dell’economista agraria Shweta Saini e del’ex Segretario all’Agricoltura del Governo indiano, Nanda Kumar, senza ulteriori incentivi e sforzi per incrementare le rese delle coltivazioni, questa misura non sarebbe sufficiente.
Alla luce di un quadro così complesso le richieste dei sindacati sembrano essere solo un piccolo passo verso una rigenerazione di questo settore, che, ancora prima che economico, è culturale e ambientale, ma soprattutto la base vitale della società, non solo indiana.
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