di Vincenzo Morvillo
Oggi parlare di Scampia fa molto “sinistra arcobaleno”. Fa molto comitato di quartiere o impegno civico. È trendy.
Nella Napoli Gran Turismo – tutta baretti, spritz, gastronomia e B&B – Scampia è diventata la meta da raggiungere per visitatori in cerca del brivido.
Una Coney Island deserta, dove troneggia un Luna Park ormai senza luci. Una Shutter Island abitata da orribili fantasmi del recente passato.
Oggi tutti vogliono “riqualificare” Scampia. Tutti vogliono trasformare il luogo dell’ignominia urbana in una struggente fotografia in bianco e nero dal fascino desolante.
Dove il degrado si possa riconvertire nell’ennesimo ritratto olografico di una città maledetta e anarchica. Un ritratto da vendere per ricavare l’ inesorabile “dose” di profitto. Gomorra e i Mare Fuori ce lo hanno dimostrato.
Peccato che le Vele erano e restano un cesso a cielo aperto. Una discarica umana e sociale scientemente allestita da piani regolatori puntualmente disattesi.
E divenuti, malgrado le originarie buone intenzioni, recinti dove il centro metropolitano ha rinchiuso quelle vite la cui sola presenza costituisce un insulto per la borghesia cittadina.
Immondizia da spazzar via dal salotto buono.
Progetti varati con la Legge 167 del 1962 e da cui nacquero disastri residenziali come appunto i casermoni della omonima 167 o dello Zen di Palermo.
Per decenni, alle Vele, il consesso civile costituito dalle persone perbene neanche si accostava. Mentre i fighetti dell’aristocrazia partenopea di Posillipo, di Chiaia, del Vomero, di Via dei Mille, ci andavano con la loro spavalda stupidità mista a sacro terrore per acquistare pochi grammi di coca. Sentendosi “guappi” per questo.
Ma a Scampia, dagli anni ’80 e fino a metà degli anni 2000, si moriva. Si moriva per overdose da eroina tutte le sere. Nei budelli di cemento che si aprivano sotto le Vele in tanti ci trascinavamo strafatti, inebetiti e felici dopo una pera.
Lì i pusher ti offrivano “una spada gratis” per farti fare il “provino” e capire se la roba era buona e tagliata al punto giusto. E se ci rimanevi, beh, semplicemente ti spostavano.
Scampia era il feudo di boss come Paolo Di Lauro, alias Ciruzzo ‘o Milionario. Come Gennaro Licciardi, detto ‘A Scigna. O dei “girati” della Vanella-Grassi.
A Scampia si moriva per la guerra di camorra tra clan. La Polizia neanche ci metteva piede. Figurarsi se apriva bocca.
Si limitava a fare qualche blitz/show o a sostare con una macchina fuori ai viali dello spaccio. Fermando di solito noi tossici, da cui pretendevano di sapere da chi avessimo acquistato la roba.
Ho preso tante botte e mi sono fatto tante celle in commissariato o a Poggioreale per non aver mai detto nulla, ovviamente.
Gli sbirri mangiavano, intascavano e chiudevano gli occhi. A cominciare dagli “eroici” Falchi dei film, ma senza onore e senza gloria.
Scampia era il più grande discount della droga d’Europa. Venivano tossici e spacciatori al dettaglio dalla Germania, dall’Olanda, dal Belgio, dalla Svizzera.
Ci ho incontrato anche il grande Abel Ferrara una sera.
A Scampia una giovanissima vedetta – ragazzi che tenevano d’occhio la strada per dare la voce (l’allarme) qualora arrivasse la Polizia – guadagnava quanto un operaio in un mese.
Ho visto vendere duecento dosi di eroina e cocaina in mezz’ora intascando 3.000€. Come spieghi ad un ragazzo che in mezz’ora fa tanti soldi che deve andare a farsi il mazzo in fabbrica? È una partita persa. A Scampia una vita valeva 500€. Il prezzo di un omicidio.
Si moriva, a Scampia. Per droga, certo. E per camorra. Ma soprattutto di strafottenza. Di indifferenza. Di moralismo.
Dello schifo di una borghesia che ha sempre preferito ignorare quel girone dantesco, lasciando che i dannati si suicidassero o si facessero fuori tra loro. Come ai Quartieri, alla Sanità, a Forcella, a Rione Traiano, al Rione De Gasperi di Ponticelli.
A meno che qualcuno di quei dannati non venisse a far danni nella cristalliera della città. E allora i benpensanti s’indignavano. Oceani di retorica e di analisi sociologiche inondavano i giornali. E i politici cominciavano a rimbalzarsi le responsabilità.
Qualcuno ha provato a fare seriamente qualcosa. Ma a rischio della propria vita. Qualcuno ha provato a cambiare le dinamiche anche attraverso la cultura e il cinema. Ma è stato fagocitato dalla bocca avida del mercato e dello spettacolo. Saviano invece ha speculato e si è arricchito.
Eppure in questi ultimi dieci anni la città è cambiata. L’ha cambiata il turismo. L’ha cambiata la sete di profitto della borghesia parassitaria. L’hanno cambiata le regole della comunità europea. E Scampia è cambiata insieme a lei.
Anzi, è scomparsa dai radar. Non faceva più notizia. Non stuzzicava più la morbosità necrofila della gens italica.
L’altro ieri però è successo qualcosa. Nella Vela Azzurra ha ceduto un ballatoio. Due persone sono morte e tredici sono rimaste ferite. Qualcuno dice che non ha retto al peso.
Su quei ballatoi ci mettevamo in fila in cento per acquistare il nostro pane quotidiano. Il nostro sugar brown. La nostra dama bianca.
I sogni in una siringa a riscatto del dolore. La morte dietro l’angolo ad attendere famelica. Per un’overdose o un ballatoio cadente.
Ieri Repubblica scriveva: “Scampia, crolla ballatoio della Vela: due morti e 13 feriti, sette sono bambini”. Oppure: “Crollo di Scampia: solidarietà sotto i gazebo della Protezione civile”.
Soltanto dieci anni fa, il quotidiano organo del Pd e della sinistra liberal così titolava: “Scantinati come discariche: la vergogna di Scampia. Alla Vela Azzurra le proteste sono gestite dalla camorra”. Oggi il clima è cambiato e i servi fanno il loro mestiere!
I clan, cui lo stato ha appaltato per decenni il controllo di un territorio esplosivo per disagi, degrado e marginalità, si sono fatti una guerra fratricida e si sono distrutti a vicenda. I boss sono in galera o pentiti. I ceti dominanti vogliono arraffare e intascare il possibile.
Ma come una nemesi che piomba sulle loro mani lorde di complicità e di sangue, cade un ballatoio. E Scampia, malgrado la sede dell’Università inaugurata da Manfredi – il sindaco più inutile che questa città abbia annoverato – è tornata ad essere un problema.
Le annose questioni legate agli abusi edilizi e allo scempio abitativo tornano a far paura. Come lo spettro del padre di Amleto tornano ad aggirarsi sui tetti delle Vele i cadaveri dei tanti morti di eroina e di camorra.
Si moriva a Scampia negli anni ’80. Si muore oggi, a Scampia. E a morire sono sempre i dannati.
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