A metà giugno il giornale Politico aveva diffuso la notizia secondo la quale la von der Leyen aveva ritardato la pubblicazione di un rapporto sullo stato dell’informazione italiana. La motivazione era non irritare Giorgia Meloni in vista della prossima scelta del Presidente della Commissione Europea.
Questo studio è infine stato pubblicato, ed effettivamente il contenuto è tutto fuorché qualcosa che mette in buona luce il governo italiano. E dovrebbe mettere in allarme anche l’opinione pubblica dell’intero Paese.
Il rapporto dal titolo Monitoraggio del pluralismo dell’informazione nell’era digitale redatto dal Centre for media pluralism and media freedom, è arrivato in Vigilanza RAI, dove il rischio per la libertà di informazione è calcolato al 71%.
Nel testo si legge che “la maggioranza ha esplicitamente rivendicato una maggiore influenza sulla RAI e una sorta di diritto ad avere una televisione pubblica allineata con i vincitori delle elezioni”. Nulla a che vedere, dunque, con la dialettica democratica.
Viene denunciata “una vera e propria operazione di occupazione e spartizione, soprattutto da parte del principale partito di governo”, ovvero Fratelli d’Italia, con il risultato che “il pluralismo dell’informazione è fortemente peggiorato”.
Ma il rapporto non riguarda solo l’informazione in senso stretto. In esso si fa riferimento anche alla diffamazione, che ha portato più volte la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) a condannare il nostro paese rispetto al ruolo assunto da questa disciplina penale.
Dagli organi UE è stato fatto notare pure che la riforma Cartabia “ha imposto ai cronisti giudiziari restrizioni relative alla raccolta di informazioni” e che “si può quindi ritenere che il decreto sia uno strumento il cui scopo è proprio quello di limitare la comunicazione di informazioni alla comunità”.
Anche il cosiddetto Bavaglio Costa – ovvero il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare fino alla conclusione delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare – è citato come un pericolo. Un’altra limitazione al diritto all’informazione.
Nel rapporto viene messo in risalto il problema del conflitto di interessi nei media privati. E non si parla solo di Mediaset, ma anche del gruppo Gedi, del Sole 24 Ore e di Mario Sechi, passato alla direzione di Libero poche settimane dopo essere stato capo ufficio stampa di Giorgia Meloni.
Nel documento si mette poi in guardia dal fatto che la valutazione presentata potrebbe peggiorare se il deputato leghista Antonio Angelucci, proprietario di numerosi quotidiani attraverso la holding Tosinvest, acquisisse l’agenzia di stampa AGI. Le trattative sono in corso.
Tra le raccomandazioni consigliate nel rapporto troviamo la modifica della legislazione riguardante gli organi apicali della RAI e l’adozione di misure per una maggiore trasparenza. Si inviata anche ad “approvare una riforma organica della legislazione penale in materia di diffamazione”.
Infine, viene chiesto anche di “evitare restrizioni ingiustificate all’accesso alle informazioni dei giornalisti”. Se questo è il consiglio da dare al governo di una delle maggiori potenze occidentali, si può capire come sia poco più che propaganda il vanto di essere un paese democratico.
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