Due giorni fa Roberta Metsola è stata confermata per altri due anni e mezzo alla Presidenza del Parlamento Europeo. La politica maltese ha superato nettamente l’altra candidata, Irene Montero del gruppo The Left, ottenendo una maggioranza molto più larga di quella che le avrebbero già comunque dato i voti di socialisti, popolari e liberali.
Metsola, esponente del PPE, ha attirato sulla sua persona i consensi anche di vari conservatori, verdi e deputati di altre realtà che siedono nel consesso europeo. Ha raggiunto dunque il numero record di 562 voti su 699 votanti, mostrando come, alla fin fine, negli organi a vertice della UE la classe dirigente condivida più o meno la stessa visione politica.
Il suo discorso di insediamento è stato la solita lista dei buoni propositi, validi per alimentare la narrazione ideologica di un’Europa di pace, democrazia e diritti più che per leggere gli effettivi orientamenti che perseguirà l’Assemblea. Una cosa però è stata detta chiaramente, ovvero che il sostegno a Kiev nella guerra con la Russia rimarrà un nodo centrale.
Se andiamo a osservare i concreti provvedimenti, non è di secondaria importanza che proprio la prima risoluzione del nuovo Parlamento Europeo, arrivata ieri, riguardi la guerra in Ucraina. Anche in questo caso, la votazione ha visto una schiacciante maggioranza di 495 deputati favorevoli, di nuovo oltre il perimetro di liberali, socialisti e popolari.
I punti fondamentali sono il sostegno internazionale a Kiev, la fornitura di aiuti militari per tutto il tempo necessario e in qualsiasi forma, la condanna della recente visita a Mosca del primo ministro ungherese Viktor Orbán e, infine, la necessità di estendere le sanzioni nei confronti della Russia e della Bielorussia. Una prima risoluzione che parla di escalation bellica, di certo non di pace.
Questo è il vero volto della UE, nella catena imperialista euroatlantica. E ora che la maschera dell’attore di progresso è caduta, è abbastanza facile mettere in fila gli esempi di come l’Unione sia tra i principali ostacoli alla pace, con gli ultimi due anni segnati da una marcata deriva militarista e la transizione a un’economia di guerra – più che a un’economia verde –.
Un breve rapporto scaricabile gratuitamente, stilato dal Transnational Institute, “mostra come la mappa delle missioni militari dell’Unione Europea – moltiplicate negli ultimi anni – coincidano con quelle delle materie prime e delle fonti energetiche, oltre che delle grandi rotte commerciali e delle aree dove si concentrano interessi geopolitici o appetiti neocoloniali (in particolare francesi)“.
Insomma, un progetto imperialista e neocoloniale, come già accennato, e che a malapena ha deciso di ampliare la sua assistenza militare a paesi terzi, attraverso il distopico strumento dal nome di Strumento europeo per la pace. Il Consiglio dell’Unione Europea ha infatti dato il via libera ad un’ulteriore collaborazione con Benin e Albania.
Lo stato africano si trova a confinare col Niger e il Burkina Faso, di cui i governi stanno portando avanti un’importante lotta anti-coloniale. Il Benin, con tre misure adottate negli ultimi due mesi, si trova ora a poter contare su 35 milioni di euro di sostegno militare, pari al 27% del bilancio della Difesa del paese.
Altri 13 milioni sono stati invece indirizzati verso l’Albania, per fornire Tirana di veicoli corazzati leggeri multiuso. Sia nel primo sia nel secondo caso, la UE si offre anche per addestramento e formazione tecnica dei soldati.
Basta guardare la mappa del crescente impegno militare della UE per capire che la volontà di assumere un ruolo geostrategico autonomo, e di farlo con la forza bruta, è assolutamente viva e concreta. E a quanto pare già dalla votazione della Metsola, è una volontà che unisce la stragrande maggioranza del Parlamento Europeo.
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