Il 23 luglio è arrivata finalmente la notizia della sentenza dell’ultimo grado di giudizio, la Cassazione, grazie alla quale Alberto Muraglia, passato alla storia come il “vigile in mutande” di Sanremo, ha vinto in via definitiva il ricorso contro il licenziamento: il Comune deve versargli, per il momento, 130mila euro. Ma con altri risarcimenti la cifra sarà anche maggiore. Nel febbraio 2024, l’USB Funzioni Locali Liguria ha pubblicato un comunicato dal titolo “Codice di comportamento dei lavoratori. Punizione o prevenzione? Un po’ di giustizia sul “caso Sanremo””. Alla luce della recente sentenza della cassazione, questo testo, di seguito riportato, è ritornato molto attuale, e vale la pena riportarlo integralmente:
Codice di comportamento dei lavoratori. Punizione o prevenzione? Un po’ di giustizia sul “caso Sanremo”Fonte
Da un po’ di tempo “esperti di codice di comportamento” tengono corsi di formazione nelle pubbliche amministrazioni.
Più che corsi di formazione, però, a volte si tratta di momenti collettivi nei quali il/la docente rivolge velate minacce ai lavoratori e alle lavoratrici degli Enti Locali, con le quali il messaggio di fondo è che i dipendenti pubblici si possono licenziare.
Pagati con soldi pubblici, a volte tali corsi sono tenuti proprio da dipendenti pubblici.
Queste persone possono avere anche ampio spazio sui media mainstream.
Recentemente ad una di queste “formazioni” la relatrice (dipendente pubblica nota in rete) annoverava nella sua aneddotica casi di dipendenti di enti locali licenziati grazie a lei e che, a suo avviso, i lavoratori assolti nel “caso Sanremo” sono “probabilmente” colpevoli, assolti solo a causa di indagini mal condotte. La “formatrice” è entrata quindi nel merito di sentenze emesse dai giudici in diversi processi.
La domanda che sorge spontanea è se un funzionario pubblico nelle vesti istituzionali possa mettere in discussione l’esito di un processo e il lavoro di un tribunale, così come accusare pubblicamente di “probabili” reati persone ormai già proclamate innocenti, senza incorre in una violazione dello stesso Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, oltre che delle più ovvie norme della convivenza civile. Certamente non un bell’esempio.
Il codice di comportamento dovrebbe essere una guida per il dipendente a non commettere reati, e quindi è preventivo e non coercitivo. Il fine non è la punizione, ma mettere in campo ogni strumento per evitare comportamenti errati.
È da osservare, inoltre, come ci si dimentica sistematicamente del fatto che, in caso di licenziamento, per i dipendenti pubblici non è previsto alcun sostegno economico (non c’è la Naspi), ma per la “formatrice” in questione è doveroso licenziare quanto prima per dare l’esempio.
Intanto poi l’eventuale danno da risarcire, pesa sulle tasche dei lavoratori e dei cittadini (vedi Sanremo).
Di recente è arrivata la notizia, con nostra grande soddisfazione, dell’assoluzione definitiva per Alberto, il vigile di Sanremo perseguitato e dileggiato per anni.
A lui e a tutti i lavoratori del Comune di Sanremo dedichiamo un abbraccio collettivo.
Su giornali e nei social media, ora, diverse persone si scusano con Alberto.
USB non deve scusarsi perché da quando siamo entrati al Comune di Sanremo (2017) siamo sempre stati (unici) dalla parte dei lavoratori.
Per chi non lo ricorda, nel febbraio 2016, alla vigilia del Festival, scoppiò il “caso”. Una storiaccia.
Un vero e proprio “Teorema Sanremo”: colpirne pochi, e molto duramente, per impaurire tutti gli altri. Colpire per annichilire e poter cosi privatizzare tutto il possibile e per rendere più deboli i lavoratori, non solo del pubblico impiego, ma di tutto il mondo del lavoro.
Ci hanno raccontato che questi lavoratori sono stati puniti in quanto “furbetti del cartellino”, e infatti tutto il “caso” si sviluppa all’interno della campagna contro i dipendenti pubblici.
Si tratta di una delle peggiori pagine di questa indegna campagna. Un vero e proprio film horror con lavoratori e lavoratrici buttati nel tritacarne.
Storie di uomini e donne spogliati della loro vita, della loro dignità, portati via in manette. Alcuni di loro messi in prigione e agli arresti domiciliari per 85 giorni (Alberto per 87 giorni), molti licenziati e altri che hanno subito provvedimenti disciplinari pesantissimi. Sradicati all’improvviso dalle loro famiglie.
Anche quei pochi colpevoli per davvero di comportamenti sbagliati, e perciò passibili di condanne e licenziamento, trattati come i peggiori assassini pur non avendo ucciso nessuno.
La stragrande maggioranza di loro perseguitata per un caffè, per una sigaretta fumata fuori dal portone.
Ritrovarsi all’improvviso spogliati di ogni briciolo di dignità e di umanità. Avere bisogno di aiuto e non trovare nessuno, avere bisogno di un avvocato e non avere i soldi per pagarlo. Ritrovarsi in un dramma talmente grande che ti soffoca, che non ti permette di ragionare e che ti fa fare scelte che potrebbero costare carissime.
Tutti i lavoratori del Comune di Sanremo sono stati condannati ad un “fine pena mai”.
Chi è rimasto si è trovato a convivere con la paura e la vergogna. Con carichi di lavoro moltiplicati a causa della sospensione di decine di colleghi. Solo grazie a loro il Comune ha continuato a funzionare in quei drammatici mesi.
L’Amministrazione Comunale non provò nemmeno a comprendere quanto stava accadendo. Non ha speso una parola in difesa dei propri dipendenti che da decenni permettevano al Comune di erogare tutti i servizi necessari ai cittadini, nonostante il dissesto finanziario, nonostante i tagli governativi, nonostante un blocco contrattuale più che decennale. Non si è assunta le sue vere responsabilità (se qualche lavoratore si comportava illegalmente i dirigenti dove erano?). Nessuno, in quei giorni, ha speso una parola di solidarietà, di comprensione, di dubbio.
Nemmeno gli altri sindacati spesero una parola.
Ci piacerebbe che fosse punito chi ha sbagliato nel perseguitare i lavoratori del Comune di Sanremo, causando un danno enorme alla collettività.
I lavoratori pubblici non sono fannulloni, non sono furbetti del cartellino. Sono gli unici a difendere lo stato sociale massacrato da tagli e privatizzazioni.
Sempre in prima linea, dovendo subire una dirigenza spesso incapace e amministratori pubblici che pensano solo agli affari loro.
Il problema non era e non è il Codice di Comportamento/Disciplina o le pene per i lavoratori, ma la cattiva organizzazione che vige in tantissime Amministrazioni locali.
È necessario invertire il paradigma: per prima cosa agire sull’organizzazione del lavoro e dopo applicare, nel caso, i “codici di disciplina” (ma a tutti, anche a chi ha accusato ingiustamente). Solo cosi gli enti locali possono tornare ad essere protagonisti della vita sociale del nostro paese.
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