Nell’organizzare l’opposizione (anche tramite richiesta di referendum) verso la legge sull’autonomia differenziata si sta evidenziando con grande forza il tema dei LEP (Livelli Essenziali di Prestazioni) che dovranno essere stabiliti per costituire una base uniforme alle residue erogazioni di stato sociale: sanità, scuola.
Al riguardo della legge approvata in questi giorni si rileva però un tema che non appare al centro del dibattito ma che rappresenta probabilmente il “cuore” della vicenda: il riferimento è alle materie di cui le Regioni possono richiedere l’acquisizione di competenze nelle materie “No Lep”.
La regione Veneto ha così immediatamente avanzato richieste di maggiore autonomia nelle 9 materie “non Lep”, cioè quelle per le quali non è necessario che lo Stato stabilisca prima i Livelli essenziali di prestazione.
Fra queste oltre alla previdenza complementare, il coordinamento della finanza pubblica, le banche (Casse di Risparmio, Banche di credito rurale, ecc.) spicca la richiesta della piena competenza sul commercio estero e i rapporti con l’UE.
Il tema dei rapporti con l’estero è particolarmente delicato e specificatamente lo è ancora di più al riguardo del Veneto.
Il tessuto industriale veneto (come in parte quello lombardo) è composto da aziende di media/piccola dimensione nella generalità avanzate tecnologicamente e quasi completamente complementari e sussidiarie all’industria tedesca.
Per fare un esempio i 20,9 miliardi di merci che vengono esportate dal Veneto verso la Germania sono superiori ai 16 miliardi dell’export canadese.
Questo dato indica alcune questioni:
1) l’orientamento produttivo delle industrie venete è strettamente legato a quello delle industrie tedesche e in particolare alla Baviera e al Baden Wurttenberg. Se come pare la Germania deciderà di innalzare la propria quota di PIL riservata all’armamento è evidente che avremo aspetti di riconversione industriale che toccheranno l’insieme delle filiera di là e al di qua delle Alpi. Il Veneto (e la Lombardia) potrebbe così legarsi ad una economia di guerra indipendentemente dalle scelte generali del Paese;
2) il primo punto pone oggettivamente in discussione l’idea della programmazione economica a livello nazionale (e il rapporto con l’Europa) e di intervento pubblico in economia (mentre il governo procede a tentoni nel pieno della confusione come nel caso della cessione di ITA, delle acquisizioni in siderurgia e a cessioni improprie come nel caso della Rete Tim passata al fondo KKR in uno scenario inedito in Europa).
Questo tipo di analisi rafforza ulteriormente la necessità di combattere a fondo questo pericoloso stato di cose in atto cercando anche di far comprendere come si tratti di un tassello del cambiamento che la destra ha in programma sul tema del rapporto tra governo e democrazia.
Privatizzazione e autoritarismo nell’esercizio di un potere fondato sulla frammentazione dello Stato anche sul piano delle relazioni internazionali (negli aspetti che di più contano) così la destra intende saldare il quadro di modificazioni costituzionali: una direzione di marcia di variazione profonda del concetto di governabilità che dovrà essere fermato anche se a sinistra, nel passato più recente, ci si è mossi aprendo la strada con riforme portate avanti con il solo scopo di inseguire l’agenda dell’avversario (come fu nel caso della riforma del titolo V).
Il recupero dell’autonomia progettuale della sinistra in particolare rispetto al quadro europeo proprio sul punto governabilità/democrazia appare il primo passaggio decisivo per affrontare una situazione che si presenta molto difficile.
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