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16/07/2024

Decenni smarriti. Gli anni Ottanta

di Gioacchino Toni

AA.VV., a cura della redazione di Machina, Nel sottosopra degli anni Ottanta. Le contraddizioni di un decennio, Machina libro – DeriveApprodi, Bologna, 2024, pp. 208, € 16,00

Che nell’ambito della messa in discussione dell’esistente vi siano decenni decisamente più rilevanti di altri è fuori di dubbio. Dell’importanza degli anni Sessanta e Settanta per l’assalto al cielo che hanno prodotto è stato detto e scritto in abbondanza ed a volte anche in maniera acritica, autoreferenziale o con uno sguardo a ritroso segnato da omissioni e dimenticanze più o meno di comodo.

Se è vero che le ricostruzioni del passato parlano innanzitutto al/del presente, allora, forse, il limite maggiore, per quanto comprensibile possa essere, deriva da un tipo di sguardo a ritroso che, insieme alla sconfitta, ha introiettato l’idea della fine della storia. Si rischia di guardare ai decenni ribelli come se con la fine di essi fosse scomparsa ogni minima forma di conflittualità. Anche da ciò deriva la tendenza a leggere i decenni successivi in maniera non dissimile da quella propinata dai vincitori: seppure vissuti da una parte come trionfo e dall’altra come sconfitta, i decenni successivi al “lungo Sessantotto” tendono ad essere narrati come periodi riappacificati e privi di contraddizioni.

La storia e il conflitto non si sono evidentemente fermati alle soglie degli anni Ottanta lasciando campo libero al dominio ed al pensiero unico capitalistico. Non si può dunque che accogliere con favore l’iniziativa intrapresa dalla rivista Machina, in seno a DeriveApprodi, indirizzata ad occuparsi dei «decenni smarriti» riattraversando i «quaranta ingloriosi», dagli anni Ottanta agli anni Dieci del nuovo millennio, al fine di individuare i nodi centrali nel presente tentando di cogliere le tendenze in atto. Risulta indubbiamente efficace il ricorso al termine «smarriti» a proposito di questi decenni in quanto, come argomenta la redazione di “Machina”, si tratta di decenni in buona parte «perduti, rimossi o frettolosamente finiti fuori dai nostri radar, perché rappresentano, simbolicamente e concretamente, l’“inverno del nostro scontento”, conseguente al fallito assalto al cielo».

Certo, quelli successivi ai Settanta sono decenni di controrivoluzione capitalistica, di repressione e di riassorbimento delle lotte e degli immaginari ribelli, ma non sono stati decenni privi di contraddizioni e di conflittualità, per quanto queste ultime abbiano assunto forme e modalità inedite. L’aura del Lungo Sessantotto non dovrebbe ridurre a nullità, a mera sconfitta interi decenni di storie, condotte e immaginari di esseri umani che riconciliati non sono stati. Recuperare i «decenni smarriti» significa innanzitutto infrangere lo storytelling dominante della fine della storia, delle contraddizioni e del conflitto in tutte le sue molteplici forme. È con tali premesse che, dopo aver raccolto numerosi articoli sugli anni Ottanta, la redazione di “Machina” ha dato alle stampe un primo volume dedicato a quel periodo: Nel sottosopra degli anni Ottanta. Le contraddizioni di un decennio.

Gli anni Ottanta sono certamente stati anni all’insegna del rappel à l’ordre, di ristrutturazione e di riassorbimento delle insorgenze dei decenni precedenti, anni di disimpegno reclamizzato dai tubi catodici della neotelevisone e di cinico individualismo, ma dietro all’autocelebratoria narrazione patinata dell’oblio pacificato non sono mancate contraddizioni e conflittualità, sperimentazioni e immaginari non riconciliati che, in un clima repressivo da resa dei conti, è bene ricordarlo, hanno dovuto destreggiarsi tra la preservazione della memoria delle esperienze precedenti e il reinsediamento sociale e culturale a partire da un universo produttivo, un contesto urbano e un immaginario, soprattutto giovanile, in via di rapida mutazione.

A dare il senso dello spirito politico con cui il saggio guarda al primo dei “decenni perduti” rapportandolo all’oggi e al domani, non limitandosi dunque a ricavarne una, per quanto interessante, “mappa muta”, è soprattutto il contributo di Chiara Martucci e Bruna Mura che partono dall’esperienza personale che le ha portate a confrontarsi con l’affievolirsi in Italia, nel corso degli anni Ottanta, della tradizione marxista del femminismo, per poi soffermarsi sull’ambivalenza del processo di istituzionalizzazione in quel decennio di diverse conquiste ottenute dalla precedente stagione di lotta:

se da un lato vi e stato il risultato di aver strappato la formalizzazione di diritti e servizi, dall’altro si è reso molto complesso il garantire la portata conflittuale di quelle rivendicazioni, sia a causa di fattori estranei – quali quelli giudiziari – ma anche a causa delle stesse dinamiche formali dei percorsi di istituzionalizzazione. L’elemento profondamente trasformativo dei rapporti sociali e fondativo delle stesse rivendicazioni del femminismo marxista, è venuto meno nel passaggio al riconoscimento normativo (p. 153).

Tale ragionamento sugli anni Ottanta conduce Martucci e Mura a porsi importanti interrogativi sul presente:

ci stanno scippando la profondità dei concetti e la dimensione politico-conflittuale delle pratiche che per noi sono state la potenza della lotta alla violenza di genere? L’utilizzo semplificato e banalizzato di alcuni termini – patriarcato, su tutti – rischia di riprodurre quelle dinamiche di potere e quei rapporti di forza che stiamo combattendo? (p. 163).

Diventa importante comprendere quanto certe dinamiche istituzionali, supportate da una potente grancassa spettacolare-mediatica, assorbano le rivendicazioni depotenziandole e «quanto invece possa rivelarsi potente la diffusione nel discorso pubblico di pratiche e concetti costruiti in decenni di lotte» (Ibid).

Una serie di contributi presenti sul volume sono dedicati alle espressioni artistiche degli anni Ottanta: Jadel Andreetto tratteggia il panorama musicale del periodo evidenziando le tante sperimentazioni e contaminazioni che lo hanno contraddistinto; Rudi Ghedini offre una mappatura cinematografica di un decennio in cui il cinema si trova a fare i conti i conti con l’avvento dei videoclip televisivi e le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie nell’ambito degli effetti speciali; Manuela Gandini degli anni Ottanta tratteggia invece l’intrecciarsi di scenari mediatici ed artistici, costume, politica ed economia a cavallo tra modernità e postmodernità; Giorgio Mascitelli, guardando al dibattito letterario, artistico e filosofico che si è sviluppato all’epoca attorno al termine postmoderno, ricostruisce le avvisaglie della crisi del sistema letterario novecentesco, crisi che subirà un’accelerazione con l’arrivo di internet nel decennio successivo.

Delle forme aggregative e di militanza che si fanno strada negli anni Ottanta, soprattutto a partire dalla dimensione “emotiva”, si occupano Federico Battistutta e Massimo Ilardi: il primo si concentra sulla categoria della “fuga” per descrivere quanto avvenuto nei movimenti sociali del periodo condensabile nell’espressione di “militanza gioiosa” introdotta recentemente da Silvia Federici; il secondo guarda alla nascita delle rivolte contraddistinte da una conflittualità sfuggente alle letture politiche tradizionali in quanto scatenate da “pratiche di libertà” e “culture del consumo”. «Sono lotte che non hanno né il lavoro, né la produzione, né la conquista del potere al centro dei loro obiettivi, ma attaccano una forma e una tecnica del potere che vogliono destituire, quella più legata al controllo dei corpi e del territorio. Non cercano il nemico principale ma quello più vicino» (p. 99).

A partire da Les années d’hiver, volume che raccoglie diversi scritti di Félix Guattari redatti nella prima metà degli anni Ottanta, e Les nouveaux espaces de libertés, testo steso attorno alla metà del decennio dal francese insieme a Toni Negri, Roberto Ciccarelli ragiona attorno alla questione della soggettività e dei periodi di “letargo politico”, mentre Paolo Virno, Marco Mazzeo e Adriano Bertollini dialogano tra di loro su quanto l’immaginario e l’universo valoriale degli anni Ottanta sia stato contraddistinto da opportunismo, cinismo e da un particolare intrecciarsi di paura e angoscia, valutando quanto la presenza di vie di fuga esistenti in quel contesto avrebbero potuto essere sfruttate più proficuamente proiettando così il ragionamento sull’oggi.

L’ultima parte del volume vede Ubaldo Fadini ragionare attorno alla figura del soggetto e alla qualifica della “plasticità”, riemersa prepotentemente negli anni Ottanta, dunque i due scritti di Rita di Leo e Romeo Orlandi sono dedicati rispettivamente al mesto dissolversi dell’esperienza sovietica e alla trasformazione cinese avvenuti nel corso di quel decennio, infine un intervento di Christian Marazzi ragiona sul recupero al lavoro, nel corso degli anni Ottanta, di quelle soggettività che avevano rifiutato il modello fordista, con un occhio sulla contemporaneità:

Quali possono essere le direttive per una possibile ricomposizione di classe? È difficile rispondere, ma bisognerebbe puntare a un’iniziativa a livello planetario per riprenderci il tempo, lottando sulla riduzione dell’orario di lavoro a tutti i livelli. Il nostro lavoro produttivo di dati non e riconosciuto ed e all’origine di profitti sconfinati per i capitalisti. Va recuperata l’esperienza teorico-politica del movimento femminista, del lavoro all’interno della riproduzione, contro il lavoro non riconosciuto che va remunerato, salarizzato. Oggi siamo persino oltre la connotazione di genere perché il tempo di lavoro non riconosciuto, gratuito, è ormai del tutto pervasivo. La riappropriazione del tempo di vita deve diventare l’asse di una possibile ricomposizione soggettiva, nella forma di resistenza al dominio capitalista (p. 195).

Chi ha attraversato gli anni Ottanta e Novanta in maniera non riappacificata lo ha fatto nella scomodità del trovarsi a cavallo tra passato e futuro, tra necessità di preservare la memoria e l'urgenza di sperimentare per impattare le trasformazioni in atto, in un contesto sospeso tra oblio e solitudine che invitava a guardare al passato, ridotto ad “anni di piombo”, come a un cumulo di macerie e al futuro come al raggiungimento di uno stato di grazia in cui l’individuo, sostenuto dalle risate e dagli applausi a comando degli schemi televisivi, si sarebbe finalmente liberato da ogni minimo legame sociale. Insomma, sono stati decenni un po’ più complessi e contraddittori rispetto a come sono stati spesso raccontati.

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