Alla riunione di emergenza del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran, svoltasi ieri mattina, l’Ayatollah Khamenei avrebbe dato ordine di colpire direttamente Israele. Lo rivela il New York Times sulla base delle informazioni fornite da tre funzionari iraniani, tra cui due membri delle Guardie rivoluzionarie.
Israele non ha ancora rivendicato quello che è un atto di terrorismo in piena regola su territorio iraniano (come altri in passato), nel quale ha trovato la morte Isma’il Haniyeh, alto dirigente di Hamas e tra i negoziatori con Tel Aviv per il cessate il fuoco a Gaza. Il quale ovviamente ora si allontana in maniera quasi irreversibile.
Già in aprile Teheran aveva lanciato centinaia tra missili e droni verso Israele, come risposta all’attacco all’ambasciata iraniana di Damasco, dove erano morti diversi comandanti militari. Ma quella ritorsione a un atto illegittimo sotto tutti gli aspetti del diritto internazionale era stata comunicata a tutti gli attori in campo (compresi gli USA) con largo anticipo, per evitare un’escalation.
Ora, però, che l’intenzione sia la stessa è cosa più dubbia, e sembra che Israele stia rafforzando le proprie difese antiaeree nel nord del paese. Un attacco del genere di quello di aprile, evitando comunque obiettivi civili, è ciò di cui hanno parlato col New York Times i funzionari iraniani, rimasti anonimi.
L’idea potrebbe essere quella di un’operazione combinata tra l’Iran e le varie forze alleate, che in un qualche modo si oppongono al progetto sionista in Medio Oriente. Si tratterebbe dunque di un attacco simultaneo degli Houthi a sud, di Hezbollah a nord, di Teheran e alcune milizie irachene ad est: una situazione che metterebbe sotto pressione il sistema di difesa antimissilistica Iron Dome e potrebbe significare danni maggiori per Israele.
Khamenei avrebbe chiesto ai suoi comandanti di preparare anche dei piani di difesa in caso di conflagrazione della situazione nella regione, e dunque di guerra aperta con Israele. Una guerra in cui il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha detto aiuterebbe Tel Aviv pur chiamando alla ricerca di soluzioni diplomatiche.
Quello che è certo è che la morte di Haniyeh ha colpito profondamente i vertici iraniani, e per tutti è necessario riaffermare la sovranità del paese di fronte all’ennesimo attacco sul proprio territorio, per di più rivolto verso un alleato che doveva rimanere al sicuro. Da alcune fonti sembra che la sua posizione sia stata individuata tramite uno spyware passato tramite Whatsapp.
Ad ora è Hezbollah l’altra realtà di quello che è chiamato “Asse della Resistenza” ad essere maggiormente in pericolo. Per il politologo Gilles Kepel, esperto di Medio Oriente, l’invasione del sud del Libano e di Beirut, come già era successo nel 1982, è una questione di tempo, dopo l’omicidio mirato di Fouad Sukar la sera prima di quello di Haniyeh.
Per Kepel, Netanyahu ha tutto l’interesse a procedere con l’invasione, a meno che non si “giunga a un compromesso che rappresenti una vittoria per Israele”. Nella visita a Washington ha incontrato un Biden che non può opporsi perché non può perdere i voti su cui può contare nella comunità ebraica degli Stati Uniti.
Il primi ministro israeliano ha dunque qualche mese per muoversi, privo di veti e legacci, anche se già da tempo gli imperialisti occidentali non riuscivano più a controllare il “cane pazzo” sionista. Netanyahu, già sotto accusa per crimini di guerra e contro l’umanità, per salvare la sua carriera politica vuole mettere al bando ogni ipotesi di pace e potrebbe voler colpire Sinwar, leader di Hamas.
E probabilmente ottenere anche il ritiro di Hezbollah a nord del fiume Litani, come concordato dopo il conflitto dell’estate 2006. Senza queste vittorie, con la pressione esercitata dall’estrema destra nelle strade e al governo, Israele non si fermerà, rischiando di gettare tutto il Medio Oriente in guerra.
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