Il 39° anniversario è passato, con un
refolo di spazzatura dietrologica volante. Aspettiamo con pazienza il
40°, quando ci sarà il vero e proprio revival che salta su ad ogni
decennale. All’appuntamento lavora l’ennesima commissione parlamentare
d’inchiesta, popolata di “nominati” e guidati da quel Fioroni di cui si
ricorda soprattutto un evanescente passaggio da ministro
dell’Istruzione.
Parliamo naturalmente del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro, un argomento “sempreverde” di cui ognuno si sente autorizzato a scrivere qualsiasi cosa. Soprattutto se destituita di fondamento.
Siamo abituati a sentirne di ogni, al
punto da essere quasi stufi di destrutturare le narrazioni di comodo. La
dietrologia, ricordiamo sempre, nacque in casa Pci come esigenza politica:
non ci dovevano essere comunisti alla loro sinistra, men che mai
guerriglieri e combattenti. Persino i paciosissimi radiati de il manifesto erano stati qualche anno prima accusati di essere "pagati da chissàchi" perché erano riusciti a metter su un giornale.
Negli anni si è sviluppata anche una
dietrologia di destra, che prendeva spunto dagli stessi “misteri” usati
da quella piccista (poi diessina, poi pidiessina, poi piddina, ecc.),
limitandosi a cambiare il nome del “grande servizio segreto
internazionale” che sarebbe stato dietro le Br: invece della Cia metteva
il Kgb sovietico e il gioco (narrativo) era fatto.
Non ci saremmo neanche tornati sopra se
non avessimo trovato questa stessa melma su un piccolo organo di
informazione online che pure dovrebbe aver ormai sviluppato qualche
robusto anticorpo verso quel genere.
E invece Popoffquotidiano ha ritenuto opportuno ripubblicare un blob di rimasticature stantie, apparso sul blog di Maurizio Zuccari con il titolo programmatico
“Il caso Moro. Infinito”. Programmatico perché, come abbiamo avuto
diverse volte modo di verificare insieme a compagni più esperti di noi,
sembra proprio che lo scopo delle dietrologia misteriosofica sia impedire di arrivare a una qualsiasi ricostruzione storiografica attendibile. Insomma: di nascondere quella verità che si dice di voler cercare. Non è insolito, basta ascoltare un discorso di Renzi et similia...
Il post di Zuccari non contiene nulla di
nuovo (si parte, al massimo, da una problematica perizia condotta oggi
sulla famosa Renault 4 rossa su cui venne trovato il corpo del
presidente democristiano), come accade a quelli che poco ne sanno e poco
ne vogliono sapere.
L’unica cosa davvero rilevante – almeno
per chi si presenta come “giornalista e scrittore” – è una involontaria
castroneria linguistica probabilmente figlia della noncuranza con cui si
affronta questo tema: “quel
che è in dubbio, una volta di più, non sono solo le modalità
dell’esecuzione nella vulgata brigatista, ma la stessa uccisione di Moro
nel garage della sedicente prigione del popolo di via Montalcini”.
Vocabolario alla mano, sedicente è “Chi si attribuisce arbitrariamente un nome, una qualifica o una qualità”.
Per quanto colma di misteri possa essere considerata la casa di via Montalcini, però, ben difficilmente potrebbe aver conquistato la capacità di parlare e autodefinirsi, “attribuendosi dunque arbitrariamente il nome di prigione”.
A meno che sedicente non debba essere invece considerato il “giornalista e scrittore” che ha collazionato il pezzullo.
Cosa non si farebbe, per qualche clic in più...
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