Il fatto che Beppe Grillo e il Movimento
5 Stelle rifiutassero la stampa ieri a San Giovanni per il trionfo
romano, è stato stigmatizzato in tutte le salse. Nella migliore delle
ipotesi è stato considerato poco democratico, nella peggiore è stato
dato loro del fascista. Da critico di Grillo non solo non condivido
tali accuse ma ritengo indispensabile dire la mia in merito.
1)
I media mainstream, quelli italiani nel 99% dei casi, rappresentano
plasticamente quello che Noam Chomsky chiama «la fabbrica del consenso»
e vivono in osmosi con il mondo politico e le classi dirigenti. Per
compiere il loro lavoro di squadrismo mediatico (basti pensare a quello
che hanno fatto con i movimenti, a Genova, con i NoTav o, allargando
il campo, con la sistematica diffamazione dei governi progressisti
latinoamericani) credono di poter demonizzare sistematicamente
personaggi, movimenti, sistemi culturali per poi pretendere, con un
cinismo senza pari, che chi hanno messo alla berlina fino a 30 secondi
prima debba subito dopo comportarsi con fair play nei loro confronti.
Non funziona così. Non stringerò la mano a chi mi avrà riempito di
calci per tutta la partita o colpito sistematicamente sotto la cintura,
con l’arbitro che fa finta di non vedere. Non siete neutrali, non
siete più il quarto potere, la spina dorsale della democrazia, siete i
tutori di un sistema informativo oligopolico chiuso a riccio nella
difesa di un sistema di privilegi. Se giocate sporco nei miei confronti
- ha detto Grillo - non è scritto da nessuna parte che debba porgere
l’altra guancia anche e soprattutto perché con le nuove tecnologie - ed è
il secondo punto - siamo usciti dalla dittatura mediatica per la quale o
sono vostro sodale o siete in grado di condannarmi al silenzio. La
società, la democrazia, l’opinione pubblica non può fare a meno di
comunicare ma, oggi, può fare a meno di voi.
2)
Quando l’11 marzo 2004 l’intero complesso mediatico spagnolo, destra e
sinistra unite nella lotta, collaborarono a diffondere la menzogna di
José María Aznar, che aveva interesse a raccontare che gli attentati di
Madrid fossero stati commessi dall’ETA invece che da Al Qaeda, i
cittadini si ribellarono ribaltando il risultato delle elezioni
politiche della domenica successiva. Lo fecero con i «media personali
di comunicazione di massa», utilizzando Internet, i blog, le reti
sociali per informarsi, ma soprattutto facendo rete con il più diffuso e
semplice di tali media, il telefonino. Lo fecero, secondo Manuel
Castells, attivando quelle «reti di fiducia» per le quali «se io mando
un SMS a dieci persone e ognuno di loro lo gira a dieci amici, nel giro
di pochi minuti potremmo avere lo stesso o addirittura più impatto di
quanto ne può avere la televisione perché tali reti sono selettive, si
dirigono a persone che si conoscono». Rispetto alla pretesa dei
disinformatori di professione di orientare a loro fini l’opinione
pubblica, i cittadini spagnoli furono in grado di replicare spostando in
poche ore il voto del 21% degli elettori sdegnati dalla manipolazione
del governo e della stampa. Quella dell’11-14 marzo 2004, continua
Castells «è stata una specie di rivolta etica che ha sorpreso tutti,
inclusi gli stessi media. Non è stata una rivolta contro un partito o a
favore di un altro. È stata una rivolta per la verità e contro la
menzogna».
Quando vengono toccati i
loro interessi i media tradizionali aggrediscono con la logica del
branco il nemico accerchiandolo e colpendolo tutti insieme. Pensano che
il loro grande potere sia tuttora in grado di ridurre al silenzio
chiunque. Pensano di non essere il filtro tra notizia e opinione
pubblica ma ritengono di incarnare essi stessi l’opinione pubblica.
Demonizzano Grillo, reo di voler eliminare i contributi pubblici ai
media commerciali, come demonizzano la Legge dei media di Cristina
Fernández in Argentina, rea di voler disegnare un futuro nel quale
diverse istanze sociali, e non solo le corporazioni commerciali,
abbiano spazi di comunicazione e possibilità di disegnare una società
meno dominata dal mercato. La «fabbrica del consenso» aggredisce,
diffama, schiaccia chi tocca i suoi privilegi per renderlo in
condizione di non nuocere. Ma le «reti di fiducia» dei cittadini
organizzati, in grado di agire contemporaneamente da recettori critici
d’informazione e diffusori, sono già oggi un potere altrettanto grande.
Gennaro Carotenuto
Nessun commento:
Posta un commento