Avevo criticato l’assenza della politica
estera nel programma del M5s e, giustamente, mi si fece notare che esso
non era l’unico a snobbare quel tema. E, infatti, la politica estera è
proprio sparita dal dibattito e non compare nei programmi dei vari
partiti. Quelli, per così dire, tradizionali (Pdl, Pd, Monti) danno per
scontate le attuali appartenenze dell’Italia a Nato e Ue (forse la sola
Lega balbetta qualcosa contro la Ue) e non hanno altro da dire. Ma chi
fa di peggio sono le cosiddette liste “alternative” (Sel, Rc, M5s) che
semplicemente non si pongono il problema.
In Italia la politica estera è stata
sempre la Cenerentola, di cui non si parla se non proprio quando c’è una
guerra come quelle del Golfo o rivoluzioni come quelle arabe ed, anche
in quei casi, non tanto per decidere quello che farà il nostro paese
(che, tanto, segue la corrente di quello che fanno gli altri più
“grossi) ma così, come intrattenimento, tanto per cambiare un po’
discorso.
Grosso modo, l’idea è questa: l’Italia
conta come il due di coppe quando regna denari, per cui che ne parliamo a
fare? Limitiamoci a scegliere la grande potenza di cui essere vassalli.
Poi c’è la variante pacifista di questo ragionamento, che è ancora più
cretina dell’originale: No a qualsiasi intervento militare all’estero e
morta là. E, secondo loro, questa sarebbe una linea di politica estera.
Ma, oltre la questione degli interventi militari, ci sarà anche altro di
cui parlare per la politica estera, o no!?
Iniziamo da una cosa: l’appartenenza
alla Nato. Per non farla troppo lunga, concentriamoci su una domanda:
nel mondo della globalizzazione, ha ancora senso? Non esiste più una
dimensione bipolare ed anche il progetto di ordine mondiale monopolare è
superato, ci stiamo dirigendo verso un mondo multipolare segnato più da
conflitti di specifici interessi geopolitici che da confronti
ideologici. Ed allora, in questo quadro, che senso ha la sopravvivenza
di un organismo come la Nato se non quello di puntellare la traballante
egemonia americana? E, soprattutto, dove sta scritto che l’Europa e gli
Usa abbiano gli stessi interessi ed, invece, non siano rivali e
concorrenti?
Della Ue e del suo sostanziale
fallimento si è detto troppe altre volte perché ci si debba tornar su. E
già questi due temi meriterebbero un dibattito molto approfondito di
cui, invece, non c’è semplicemente traccia.
Ancor più è sconcertante come si ignori
tranquillamente il nesso crisi-politica estera. Piaccia o no, da questa
crisi non si esce con decisioni a livello nazionale ed uno alla volta. O
si concorda a livello internazionale una linea idonea ad affrontare e
risolvere il dissesto o la situazione si aggraverà. Sino a quando? Lo
sbocco finale delle altre crisi mondiali (1873, 1907, 1929) è stato
regolarmente quello di un conflitto generalizzato. Vogliamo ripetere
l’esperienza?
“Ma non è l’Italia che può avere
l’autorevolezza ed il potere per trovare uno sbocco mondiale alla
crisi”. Nessuno dice che l’Italia abbia la forza, da sola, di invertire
il corso delle cose e di forzare gli altri in una direzione o l’altra.
Ma, appunto, l’attività diplomatica serve proprio a questo: a trovare
consensi, tessere alleanze ed intese, favorire aggregazioni in vista
degli obiettivi che si vogliono conseguire. Il piccolissimo Regno di
Sardegna giocò un ruolo di tutto rispetto al Congresso di Parigi.
Ma
quelli avevano Camillo Benso di Cavour… noi abbiamo Giulio Terzi di
Sant’Agata: capite la differenza?
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