Viviamo in tempi rivoluzionari, ma non vogliamo prenderne atto. Usiamo
questa espressione in senso “tecnico”, non politico-ideologico. Non ci
sono masse intorno al Palazzo d'Inverno, ma la fine di un mondo. Il
difficile è prenderne atto.
Si sta rompendo tutto, intorno a noi e dentro di noi, ma
quando ci dobbiamo chiedere – fatalmente – “che fare?” ci rifugiamo
tutti nel principio-speranza, confidando che le cose, prime o poi,
tornino a girare come prima. Per continuare a fare le cose che sappiamo
fare, senza scossoni.
Non possono tornare come prima.
Inutile prendersela più di tanto con le singole persone o le strutture –
leader, partiti, sindacati, media, confindustria, ecc. – che hanno
responsabilità pazzesche, naturalmente, ma sono anche totalmente
impotenti di fronte a un mondo che si spacca. “Le cose si dissociano, il
centro non può reggere”. Non saranno i Bersani, i Berlusconi o i
Napolitano a tenere insieme le zolle tettoniche in movimento.
Come interpretare altrimenti il fatto che le “elezioni più inutili della
storia” – definizione nostra – abbiano prodotto la più seria rottura di
continuità nel panorama politico italiano?
Era tutto fatto. Un
programma di governo “responsabile” scritto in sede europea e noto come
“agenda Monti”; una coalizione costruita per “coprirsi a sinistra” senza
spaventare i moderati; un polo moderato-centrista in realtà “estremista
europeo”; un governo “ineluttabile” Bersani-Monti (con Vendola addetto
ai “diritti civili”, che in fondo non costano niente). Gli antagonisti?
Impresentabili in Europa, come il jokerman di Arcore e il comico di
Genova; oppure riedizione minore di un arcobaleno fallimentare,
fisicamente rappresentato da magistrati progressisti. Ma magistrati.
Un paese diviso ha prodotto una rappresentanza divisa. E non è colpa
della “gente”, dell' ”individualismo”, del menefreghismo. Perché queste
tabe italiche sono il corrispettivo esatto di una struttura produttiva
che magari presenta ancora isole di eccellenza, ma “non fa sistema”; di
una società frammentata nel modo di produrre ricchezza, di estrarre
reddito, di sopravvivere. Ma un paese dove la produzione di ricchezza
“non fa sistema” è un paese senza spina dorsale, senza baricentro, senza
disegno. E che ha aggravato queste sue caratteristiche negative –
addirittura esaltate come “potenzialità” ai tempi in cui gli imbecilli
dicevano che “piccolo è bello” – in seguito allo smantellamento delle
poche colonne portanti della produzione nazionale, nonché dalla
privatizzazione delle banche di “interesse nazionale”. Metafora precisa,
quest'ultima, di un paese senza un “interesse nazionale”
identificabile; e quindi frantumato in tanti e diversi interessi
privati, corporativi, locali, di nessuno spessore progettuale. Di
nessuna incidenza sulla scala dimensionale – almeno continentale – su
cui si prendono le decisioni vere.
Un paese composto in buona
parte di figure sociali con “redditi spurii”, che presentano perciò
“identità multiple”. Parliamo di redditi spurii in senso marxiano, non legal-giudiziario. Un mafioso che si arricchisce con il traffico di droga ha un reddito illegale, ma non spurio;
la sua identità sociale è chiara anche per lui, non presenta ambiguità e
tantomeno tentennamenti. Un pensionato o un lavoratore dipendente (o un
piccolo negoziante o una partita Iva) che ha un salario (una pensione o
dei ricavi d'attività), e magari “integra” affittando la seconda casa a
dei migranti, cui può aggiungere qualche cedola dai Bot o dai fondi
comuni di investimento... questo insieme è un reddito spurio, che
fa vivere un'identità sociale mutevole e mutante. Che vota in un modo
se pensa più all'Imu e in un altro se gli pesano maggiormente addosso le
“riforme” Fornero delle pensioni o del mercato del lavoro. Berlusconi o
Bersani, dipende da cosa offrono... E il primo sa vendere meglio.
Lo
spappolamento sociale – se è ancor vero che “l'essere sociale produce
la coscienza” – si è rivelato appieno in questo voto. E non è
ricomponibile per via “istituzionale”, mettendo assieme frammenti di
rappresentanza politica. Ma è quello che faranno, che sono condannati a
fare e che Napolitano cercherà di costringerli a fare. Un “governissimo”
pro tempore, per “fare poche cose”, alcune “riforme strutturali che i
mercati si attendevano”. E una legge elettorale meno idiota.
Nemmeno
il tempo di scriverlo, ed ecco che Berlusconi si mostra disponibile,
Bersani zittisce chi pensa a nuove elezioni, Monti tace preparandosi a
indicare un nome tra i suoi possibili sostituti.
Insomma: una risposta “normale” a uno smottamento rivoluzionario. Un suicidio al ralentì.
La
domanda centrale, decisiva, posta da queste elezioni è soltanto una. E
viene posta indirettamente, in ogni talk show, da quanti ci tengono a
rappresentare il “senso di responsabilità”: si resta in questa Unione Europea o ci si mette nella prospettiva di uscirne?
Qualsiasi risposta comporterà disastri inenarrabili e un terremoto
prolungato nel nostro sistema di vita. “Restare” significa infatti
accettare i vincoli del fiscal compact (50* miliardi di tagli annuali alla
spesa pubblica per i prossimi 20 anni), il pareggio di bilancio
(impossibilità di mettere in campo una qualunque politica economica
nazionale), la distruzione del “modello sociale europeo”, le alleanze
militari e i conflitti conseguenti. “Uscirne” significa affrontare le
tempeste e la speculazione di mercati finanziari vendicativi, squilibri
di grandi dimensioni e senza soluzioni a breve termine, cercando alleati
mediterranei e “latini” – al momento in tutt'altre faccende
affaccendati – per una zona monetaria “non euro” e non stupidamente
nazionalista. Chi si aspetta ricette facili per "rimettere le cose a
posto" si rivolga a un predicatore o alla neuro.
Il corpo
elettorale italiano, ieri, ha detto al 60% che le “politiche europee”, i
diktat della Troika (Ue, Bce, Fmi) non possono essere più accettate. Il
problema – gravissimo – è che questo rifiuto è per metà composto di
interessi e immaginario reazionari, localistici, “personali”. E per
l'altra metà di risposte variamente e soggettivamente “democratiche e
popolari”. Ma senza un progetto, un'idea fondante, una visione
all'altezza della “tempesta perfetta” che il mondo – non solo l'Italia o
l'Europa – sta vendendosi velocemente addensare. Tutto, in teoria,
affidato a un'infinita discussione da fare tra soggetti singoli che solo
alla fine troveranno il consenso su qualcosa. Ma quel qualcosa, oltre
che distillato per via di partecipazione democratica, sarà anche
“efficace”? Non ci scommetteremmo. La complessità del mondo reale eccede
di gran lunga le competenze individuali non strutturate in “sistema”,
sia conoscitivo che “operativo”.
Sul rifiuto di rispondere
chiaramente a questa domanda, infine, si è infranto in modo definitivo
il "far politica" – proprio della “sinistra radicale” bertinottiana e
post-bertinottiana – che avanzava molte e giuste critiche alle politiche
europee e/o governative per poi acconciarsi a un'alleanza elettorale
con chi rappresenta con assoluta nettezza queste politiche: il Pd.
Sappiamo bene che in questo frangente non c'è stato un accordo
elettorale in tal senso; ma per gran parte delle piccole forze racchiuse
nella “lista Ingroia” (capitanate da Di Pietro, Diliberto, lo stesso
Ingroia) ciò è avvenuto solo per il netto rifiuto da parte del Pd, non
per una scelta “indipendente”. Una sindrome da “amici traditi” che si è
avvertita per tutta la campagna elettorale ed è esplosa nei primi
giudizi dopo i risultati.
È finita “la sinistra” discendente
dalla cultura del Pci, indecisa via di mezzo tra accettazione
dell'ordine capitalistico e tenue aspirazione a smussarne le asperità
eccessive. Può non essere un male, se si parte dal rispondere in modo
chiaro alla domanda principale. Perché ora questo paese ha davvero preso
il “sentiero greco”, e non ci si deve più fidare di nessun “candidato
nocchiero” che parte dal desiderio di “normalità”, invece di prendere
atto della tempesta in atto. Ci sarà da tremare e lottare, da pensare
correndo.
In tempi rivoluzionari, occorre capire dove si va
rompendo la faglia e avanzare proposte altrettanto di rottura. Non
abbiamo bisogno di mezze pensate, di vecchi poltronisti, di dottor
tentenna. Quel tempo è scaduto.
Fonte
* Per dovere di cronaca, io ne ricordavo 40 di miliardi l'anno, ma l'appunto non inficia minimamente la totale oggettività di un'analisi magistrale.
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