Fumata nera.
Come era ampiamente prevedibile gli italiani e il porcellum regalano
una tornata elettorale che potrà risolversi solo in due maniere: un
ritorno repentino alle urne o un governassimo Pd-PdL-Monti come quello
che ci ha accompagnato fino ad oggi. Tertium non datur, non ci sono
terze vie. Il Movimento 5 Stelle è il simbolo più votato alla Camera
dove vince per una manciata di voti la coalizione di Bersani, come nel
2006 quando i voti di vantaggio per accaparrarsi il premio di
maggioranza furono 24.000 mentre a questo giro sono circa 100.000. Monti
passa per il rotto della cuffia a Camera e Senato ma non è un fattore
decisivo. Ingroia sprofonda sotto il successo di Grillo. L’astensionismo
fa registrare un +7%, dato importante e frenato solo dalla presenza del
M5S che ha catalizzato tutto il malcontento per le politiche di
austerità, altrimenti avrebbe raggiunto punte impensabili.
I numeri. La
situazione è di semplice lettura numerica e di complessa lettura
politica. Alla Camera il Pd ha la maggioranza relativa con poco meno del
30% delle preferenze che gli garantiscono circa il 55% dei deputati. Al
Senato invece è parità con i premi di maggioranza regionali che
premiano Berlusconi al Sud e al Nord e Bersani al centro e in Piemonte.
Il M5S nonostante le alte percentuali in ogni regione rimane penalizzato
dal porcellum e in rapporto alle due coalizioni maggiori prende molti
meno seggi al senato ma sufficienti per essere decisivi. Al senato
quindi può governare solo un governo appoggiato dalle stesse forze di
quello attualmente in carica o un fantascientifico e improbabile
Pd-Sel-M5S.
Il dato politico.
Cresce l’astensione che in questo caso è numericamente inferiore a
quello che sarebbe stata solo perché il sentimento di rabbia e sfiducia
verso istituzioni e partiti che le hanno occupate in questi anni è stato
intercettato dal movimento di Grillo. Era chiaro che dopo quasi 20 anni
di seconda repubblica sarebbe arrivata la tornata elettorale della
punizione e così è stato. Molti non si aspettavano che il M5S si
attestasse intorno al 25%. Poteva essere prevedibile invece che la
coalizione di Berlusconi si avvicinasse al 30%, ma con il crollo delle
ultime settimane del Pd e della coalizione di Bersani nessuno avrebbe
potuto prevedere che con quelle cifre potesse rischiare di vincere. La
campagna aggressiva di Berlusconi ha spazzato via un Bersani che ha
giocato di rimessa appiattendosi su un’accettazione di fondo dei diktat
europei e sulla linea montiana dell’austerity con qualche spruzzata di
giustizia sociale nemmeno poi tanto spiegata agli elettori. Una vittoria
di Pirro quindi, che solo poche settimane fa sembrava invece una
formalità. L’anima conservatrice, moderata e cattofascista dei quasi 2/3
dell’elettorato italiano è rivenuta fuori anche in questa tornata
elettorale come è sempre stato dal dopoguerra ad oggi, ma è chiaro che
in questi anni per questa parte di elettorato gli sforzi del Pd di
moderarsi sempre di più sono stati visti come una brutta copia di
qualcosa che esisteva già a destra e nel centro ex democristiano.
Il giaguaro.
Da caimano a giaguaro, Berlusconi è sempre vivo e come sempre smentisce
cassandre e sondaggi. Molti si chiedono come fanno un leader e un
partito sempre al centro di scandali, con proposte strampalate, che
hanno difeso Dell'Utri e Cosentino, che incitano all'evasione fiscale,
con un prestigio internazionale ormai crollato, che strizza l'occhio
alla malavita e offende le istituzioni, a riscuotere sempre un discreto
successo elettorale e fare recuperi impensabili. Forse questi che
s'interrogano non hanno ancora capito che i voti li prende proprio per
questo. L'elettorato di centrodestra non è tutto stolto, non è fatto da
milioni di persone che da oggi andranno in fila a farsi rimborsare
l'Imu. Questo elettorato sa benissimo chi vota, e gli va bene così perché cerca solamente qualcuno a cui delegare il paese e che gli lasci
fare cosa gli pare.
Gli scomparsi. A
proposito di democristiani e cattofascisti, la grande competizione nel
campo dei moderati ha partorito la quasi estinzione dei partiti di
Casini e Fini soffocati da Monti, ma il crollo più clamoroso è quello di
Rivoluzione Civile e di Ingroia che merita un’analisi più profonda. Non
ci sorprende il poco appeal elettorale di questa lista ma nessuno si
aspettava un dato intorno al 2%. I motivi sono molteplici ma alcuni sono
più marcati. Ne sottolineiamo due: per prima cosa, così come accadde
con la sinistra arcobaleno, è stato presentato un cartello elettorale
senza progetto politico e senza un lavoro a monte. Di volta in volta i
vari partiti della ex sinistra radicale hanno creato accordi sempre più
allargati, a fronte della perdita di voti sempre maggiore, per riuscire a
superare le soglie elettorali, ma queste operazioni agli occhi
dell’elettorato hanno sempre puzzato di riciclo e di volontà di accedere
ai rimborsi elettorali, specialmente in un periodo in cui un movimento
che raggiunge il 25% ci rinuncia. E ciò viene accentuato se poi a
livello di immagine si cerca di presentarsi come la società civile che
scende in campo, lasciando però il dubbio all'elettorato che che in
fondo l’operazione sia mossa dai vecchi partiti. L’elettorato l'ha
interpretata così ed ha punito. Senza considerare che la presenza di
magistrati e anche poliziotti nelle liste ha fatto storcere molte bocche
a sinistra.
Ma c’è anche un secondo
punto determinante: appare chiaro che una vasta parte di persone che in
questi ultimi tre anni si sono riconosciute in quei movimenti che sono
stati i veri protagonisti dal basso delle lotte per i beni comuni, i
comitati referendari per l’acqua pubblica e contro il nucleare che hanno
vinto clamorosamente il referendum, quelli contro gli inceneritori, i
comitati No Tav e tutto l’immaginario e le persone che ci hanno girato
intorno da tutta Italia, hanno scelto in prevalenza il Movimento 5
Stelle rispetto a Sinistra e Libertà o Rivoluzione Civile. E oltre a
questi settori legati all'attivismo politico, ambientale e civico,
appare chiaro che a questi partiti abbia votato le spalle anche una
buona parte di mondo del lavoro, sia nella sua parte sindacale sia una
sostanziosa parte di operai, disoccupati e precari che in questo ultimo
quinquennio sono stati al centro di battaglie, ristrutturazioni e drammi
sul posto di lavoro.
Con questa
tornata elettorale si conclude definitivamente un percorso per una
classe dirigente che dallo scioglimento del Pci, passando per il G8 di
Genova e la presidenza della Camera ha visto assottigliarsi sempre di
più il proprio peso elettorale e la propria incidenza nella società fra
scelte tattiche sbagliate e poca comprensione dei cambiamenti in atto.
Solo se, loro come molti altri fuori dal Parlamento e nelle piazze,
sapranno mettersi in discussione nelle analisi e nei metodi, potranno
risollevarsi. Ma ad oggi tutto ciò non è scontato e può darsi che da
domani inizieranno a lavorare per un altro cartello elettorale
accozzaglia privo di progettualità politica.
Scenari. In
campagna elettorale ogni coalizione ha lasciato fuori dal dibattito
tutte le più grandi questioni internazionali. Fra demagogia e promesse,
potremmo ritrovarci nell'ennesima fase del ricatto fra spread, default e
attacchi speculativi. E' il ricatto dei capitali che odiano i popoli e
che tentano di minacciarli. Il Pd cercherà di fare il governo e
dichiarerà per pura formalità e per mettere Grillo con le spalle al muro
di provarci con il Movimento 5 Stelle. Dopo di che inizierà la
trattativa con PdL e centristi anche nell'ottica di dover eleggere il
Presidente della Repubblica. Alla fine, ancora una volta, ci sarà uno
scontro fra una linea europeista dell'austerità e del rigore, cioè le
forze di governo attuali, a cui andrà opposta una formula alternativa di
tutela di sistemi sociali di welfare e dei salari. Al momento questa
alternativa non è forte ma prima o poi dovrà esplicitarsi sennò poi il
voto di protesta si esaurirà presto. E per il Movimento 5 Stelle ci sarà
da mettere sul tavolo la questione del reddito che è stata molto
pompata in campagna elettorale.
Il dato livornese.
Quasi 6.000 votanti in meno, si tratta di una cifra consistente di chi
ha abbandonato le urne. In termini percentuali equivale a -2% perché
quasi 4.000 erano gli aventi diritto in meno rispetto al 2008, dato che
fa capire come sia in atto una fuga, specialmente giovanile, da questa
città a cui aggiungere la scarsa natalità. Prendiamo il Senato. Il M5S
ha seguito il trend italiano attestandosi sopra il 25% con quasi 24.000
voti. Chi ha perso questi 30.000 voti? 15.500 ne ha persi il Pd (-13%),
12.500 ne ha persi il PdL (-13%), La Lega nord è quasi scomparsa (400
voti vale a dire lo 0,47%), Monti ne ha presi 6.000 (6,7%) mentre
Rivoluzione civile ne ha presi poco più di 3.500 vale a dire quello che
prese nel 2008 Di Pietro. Se si pensa che a quel tempo l’Arcobaleno+Idv
presero 10.000 voti, oggi Ingroia+Sel superano di poco i 7.500. Alla
Camera invece il voto dei giovani under25 ha accentuato ancora di più
queste cifre: il Pd ha perso quasi il 16% e circa 19.000 voti, il M5S ne
ha presi circa 27.000 (27,11%), Ingroia ne ha un migliaio in più che al
Senato (4.600 - 4,68%).
Ma c'è anche
un altro dato importante per il futuro. Se si considera che alle
politiche il voto al Pd è più che altro un voto contro Berlusconi, alle
amministrative del prossimo anno i governatori di Livorno non dormiranno
certo sonni tranquilli. Non avendo i voti, come emerge chiaramente da
questa tornata elettorale, per vincere al primo turno, si potrebbe
prospettare un effetto Parma al secondo turno. Ma un anno di politica in
questo contesto può equivalere, come durata, a un’era glaciale
redazione
25 febbraio 2013
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