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23/02/2013

Elezioni: analisi e previsioni nel falso mito del voto utile

 Alla vigilia della fine della campagna elettorale americana di novembre, quella che ha confermato Obama presidente, girava un filmato con protagonista una ragazzina abitante in uno dei paesi-chiave per decidere l’esito del voto. La ragazzina, con sguardo sia sperso che preoccupato, chiedeva alla madre “ma quando finiscono gli spot?”. Noi non siamo rimasti sotto attacco degli spot, pochi e principalmente consultabili su youtube, ma non possiamo certo nascondere il senso di miseria trasmesso dalla valanga di “contenuti” espressi dalle principali forze in campo. Compreso lo spettacolo, una sorta di “chi si schiera con chi”, del gioco del posizionamento post-elettorale. Gioco, espresso rigorosamente in assenza di contenuti, fatto di fronte ad un paese attonito, disilluso, impoverito quando non stremato.
La disarmante vuotezza del linguaggio dei cartelli elettorali, assieme all’evaporazione di qualsiasi contenuto comunicato alla società (mentre chi deve decrittare certi messaggi lo fa benissimo), può far pensare che dopo le elezioni comunque non cambierà praticamente niente. Niente di più comprensibilmente errato. E non solo certo perchè, con la primavera, scatteranno una serie di aumenti automatici, di tariffe come di tasse ma anche dell’Iva, già previsti dalle precedenti leggi di stabilità. E nemmeno perchè probabilmente ci sarà una nuova manovra correttiva, leggi nuovi tagli, già intravista in autunno dalla fondazione diretta da Visco e Bersani. La questione è di prospettiva: siamo nel bel mezzo di un decennio economicamente perduto e le forze politiche stanno mutando. In un modo che, paradossalmente, mostra un tipo di rappresentanza politica più aderente alla nuova situazione sociale ed economica. Non guardiamo tanto alle percentuali di voto espresse il 24-25 di questo mese. Ma piuttosto al fatto che, nel conflitto tra schieramenti precedenti, si stanno formando di fatto due poli. Uno legato, sia per interesse che per disperazione, alla governance europea. Prevede una sostanziale fine dell’investimento pubblico, rigide politiche di bilancio, ulteriore smantellamento dei servizi e contenimento del costo del lavoro (precondizione per quella che viene chiamata “crescita”). Un altro è una sorta di terra di nessuno fatta da chi si oppone a vario titolo. Anche se si tratta di forze non ricomponibili e irriducibili tra loro.
Una volta terminato lo spoglio elettorale, tra retoriche e conflitti di ogni genere, questi due poli avranno terminato il loro posizionamento e la loro articolazione interna. Da lì si capirà come, e se, il cosiddetto “risanamento” dell’economia potrà procedere. Ma occhio anche ai risultati livornesi, forse la sorpresa è dietro l’angolo. Una città che vive di paralisi ne avrebbe un gran bisogno.

per Senza Soste, Nique la police

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Il mito del voto utile
A ogni tornata elettorale risorge il mito del voto (in)utile dovuto anche a un sistema elettorale costruito sul ricatto
C'era una volta il Mattarellum, la legge elettorale in senso maggioritario che emerse dopo il referendum del 1993 e il cui relatore fu Sergio Mattarella. Una legge che prevedeva 3/4 degli eletti con il sistema uninominale maggioritario, cioè collegi dove il candidato che otteneva più voti si prendeva il seggio lasciando agli altri solo una parte di 1/4 di eletti da assegnare con sistema proporzionale. Questo sistema diminuì il potere centrale dei partiti dandone molto di più ai singoli candidati che si scannavano a suon di spese folli per le propagande elettorali. Ma aumentò anche il potere di molti partitini che, in cambio di un appoggio decisivo a un candidato in molti collegi sul filo del rasoio, ottenevano un proprio candidato in un collegio di sicura vittoria. Questo sistema nacque con il mito della governabilità ma crollò puntualmente nel 1995 (Berlusconi per mano della Lega) e nel 1998 (Prodi per mano di Rifondazione) perché favoriva il formarsi di coalizioni “ammucchiata” dove l'elettorato era costretto a votare per una delle due più forti per non “sprecare” il voto. Il mito del voto utile raggiunse con questo sistema il proprio culmine.
Poi arrivò nel 2005 il ministro leghista Calderoli che s'inventò il porcellum, un sistema proporzionale corretto da premi di maggioranza e sbarramenti. La previsione, infatti, è di un premio di maggioranza del 54% alla colazione o partito vincente alla Camera senza nessun limite percentuale minimo da superare (unico caso nella storia visto che anche la legge Acerbo del 1923 voluta da Mussolini e la legge truffa del 1953 voluta dalla DC lo prevedevano) e un premio di maggioranza su base regionale (pro Lega) per cui la coalizione che prende più voti in una regione prende il 55% dei senatori previsti nel territorio. Naturalmente tutto ciò con liste bloccate in modo tale da far spostare il potere dai feudatari (i candidati territoriali) all'imperatore (i partiti) così da poter candidare cani e porci paracadutati da Roma sui vari territori. Anche in questo caso riemerge il mito del voto utile, specialmente al senato dove lo sbarramento d'ingresso per i partiti (8%) e per le coalizioni (20%) è altissimo e l'equilibrio è dettato dalle differenze regionali e gli sbarramenti per i partiti si dimezzano in caso di entrata in una coalizione che supera la soglia.
Questo breve excursus storico serve solo per ricordare che in Italia sono esattamente 20 anni e 6 tornate elettorali che viene evocato il voto utile. Ma utile per chi? Sicuramente utile per il potere costituito che con questi artifici tecnici tiene una vasta parte di elettorato legata a un pilastro centrale di partiti che sono diretti interlocutori dei poteri economici, religiosi e militari che vivono sopra il sistema politico e lo dirigono a piacimento. Senza contare che il mito del voto utile è pilotato anche dalla pericolosa macchina dei sondaggi che suggerisce indirettamente su quali coalizioni indirizzare il proprio voto.
A questo giro il voto utile sta prendendo molte forme. Ho sentito invocare il voto utile da quelli, illusi, che vogliono condizionare il Pd da sinistra votando Sel anche se è già deciso che l'alleanza con Monti è cosa fatta per motivi sia numerici che politici. Altri invocano il voto utile al Pd per dargli la possibilità di governare finalmente senza condizionamenti anche se poi alla fine l'agenda politica è quella di Monti. Ma il dilemma del voto utile c'è anche per chi vuol votare “contro”. Succede che elettori che vorrebbero votare l'unico partito con falce e martello (il PCL) sono costretti a fare i propri calcoli. E nel mito del voto utile appare anche il voto disgiunto per Rivoluzione Civile (alla Camera) e Movimento 5 Stelle al Senato (in Toscana supera l'8%) con la motivazione di non lasciare i 2/3 del parlamento alle forze che possono fare riforme costituzionali in senso liberista (vedi pareggio in bilancio).
Insomma, in questo trionfo della tecnocrazia sulla democrazia vorremmo ricordare a tutti che i 5 minuti ogni 5 anni in cui siamo chiamati al voto non determinano i nostri rapporti di forza come invece può fare un impegno politico diretto, quotidiano e autonomo dai poteri dell'inganno nei restanti 364 giorni. Un serio concetto di rappresentanza e delega presuppone che ciò derivi da un'esigenza di un movimento vasto che quotidianamente mette in atto azioni, comportamenti e proposte e non da una richiesta di legittimazione dall'alto verso i sudditi. A voi la scelta di valutare se esiste una proposta in tal senso a queste elezioni.

per Senza Soste, Franco Marino

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