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24/02/2013

Ora la Ue si preoccupa per la disoccupazione

C'è da chiedersi se siano tutti schizofrenici persi, ai piani alti della Ue. Dopo aver raccomandato per decenni politiche "ammazza-lavoro", ed essere stati esauditi, ora si preoccupano della disoccupazione dilagante.

La Commissione europea  ha pubblicato ieri le sue previsioni per l'anno in corso, come fa ogni sei mesi. Ed ha "scoperto" che la situazione italiana rimane debole, e quindi la disoccupazione rischia di aumentare sia nel 2013 che nel 2014.
Il tasso di disoccupazione dovrebbe salire infatti dall'8,4% del 2011, al 10,6% del 2012, all'11,6% del 2013, al 12% del 2014: circa 700-800mila senza-lavoro in più in quattro anni.
Significa che non si prevede nessuna "ripresa" nel corso di quest'anno, perché il tasso di disoccupazione "reagisce" con un certo ritardo alla caduta della produzione; quindi, se tra due anni i disoccupati saranno molti più di ora è perché "ora" l'economia sta peggiorando. Monti, parlando di "luce in fondo al tunnel" ha cercato di abbindolare gli elettori, come il Cavaliere con l'Imu. Ma al piazzista la truffa riesce meglio che al "procacciatore d'affari" di Goldman Sachs.

Sempre secondo la Commissione Ue, lo stato dei conti pubblici italiani si presenta ora più "rassicurante" (per loro). Il paese dovrebbe presto uscire dalla procedura di deficit eccessivo, perché è stato riportato sotto il 3% in rapporto al Pil nell'anno appena concluso.
Ma l'economia rimarrà in recessione anche quest'anno. Al -2,2% del 2012 si aggiungerà infatti un altro -1,0% quest'anno (il governo, mentendo anche a se stesso, aveva invece mantenuto ferma una previsione del -0,2, anche se l'Istat e la Banca d'Italia parlavano già di -1%). Un eventuale mini-recupero è previsto solo nel 2014, ma con un risibile +0,8% dopo tre anni di crisi profonda.

C'è da dire dunque che le "riforme strutturali" di Monti non hanno avuto alcun effetto positivo. Non certo sulla produzione, che ha anzi accentuato il suo calo. Non sull'occupazione - era questo l'obiettivo sbandierato mentre si procedeva allo smantellamento della struttura dei diritti garantiti per legge e alla riduzione salariale -. E nemmeno sui conti pubblici, in fondo, visto che il debito è aumentato, non diminuito (dal 123 al 126,6%). Eppure non è necessario essere preside della Bocconi per sapere che il debito pubblico - senza crescita economica e quindi aumento "virtuoso" delle entrate fiscali (da Iva, ecc) - aumenta più velocemente della quantità di tagli che vengono effettuati sulla spesa pubblica. Perché - ed è una delle poche cose giuste dette un tempo da Keynes - la spesa pubblica mette in moto una produzione di ricchezza superiore alla spesa stessa (il cosiddetto "moltiplicatore"). Proporzione che diventa ovviamente negativa quando, invece di "spendere", si taglia.

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