C'è da chiedersi se siano tutti schizofrenici persi, ai piani alti della
Ue. Dopo aver raccomandato per decenni politiche "ammazza-lavoro", ed
essere stati esauditi, ora si preoccupano della disoccupazione
dilagante.
La Commissione europea ha pubblicato ieri le sue previsioni
per l'anno in corso, come fa ogni sei mesi. Ed ha "scoperto" che la
situazione italiana rimane debole, e quindi la disoccupazione rischia di
aumentare sia nel 2013 che nel 2014.
Il tasso di disoccupazione
dovrebbe salire infatti dall'8,4% del 2011, al 10,6% del 2012, all'11,6%
del 2013, al 12% del 2014: circa 700-800mila senza-lavoro in più in
quattro anni.
Significa che non si prevede nessuna "ripresa" nel
corso di quest'anno, perché il tasso di disoccupazione "reagisce" con un
certo ritardo alla caduta della produzione; quindi, se tra due anni i
disoccupati saranno molti più di ora è perché "ora" l'economia sta
peggiorando. Monti, parlando di "luce in fondo al tunnel" ha cercato di
abbindolare gli elettori, come il Cavaliere con l'Imu. Ma al piazzista la
truffa riesce meglio che al "procacciatore d'affari" di Goldman Sachs.
Sempre
secondo la Commissione Ue, lo stato dei conti pubblici italiani si
presenta ora più "rassicurante" (per loro). Il paese dovrebbe presto
uscire dalla procedura di deficit eccessivo, perché è stato riportato
sotto il 3% in rapporto al Pil nell'anno appena concluso.
Ma
l'economia rimarrà in recessione anche quest'anno. Al -2,2% del 2012 si
aggiungerà infatti un altro -1,0% quest'anno (il governo, mentendo anche
a se stesso, aveva invece mantenuto ferma una previsione del -0,2,
anche se l'Istat e la Banca d'Italia parlavano già di -1%). Un eventuale
mini-recupero è previsto solo nel 2014, ma con un risibile +0,8% dopo
tre anni di crisi profonda.
C'è da dire dunque che le "riforme
strutturali" di Monti non hanno avuto alcun effetto positivo. Non certo
sulla produzione, che ha anzi accentuato il suo calo. Non
sull'occupazione - era questo l'obiettivo sbandierato mentre si
procedeva allo smantellamento della struttura dei diritti garantiti per
legge e alla riduzione salariale -. E nemmeno sui conti pubblici, in
fondo, visto che il debito è aumentato, non diminuito (dal 123 al
126,6%). Eppure non è necessario essere preside della Bocconi per sapere
che il debito pubblico - senza crescita economica e quindi aumento
"virtuoso" delle entrate fiscali (da Iva, ecc) - aumenta più velocemente
della quantità di tagli che vengono effettuati sulla spesa pubblica.
Perché - ed è una delle poche cose giuste dette un tempo da Keynes - la
spesa pubblica mette in moto una produzione di ricchezza superiore alla
spesa stessa (il cosiddetto "moltiplicatore"). Proporzione che diventa
ovviamente negativa quando, invece di "spendere", si taglia.
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