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05/03/2015

Iraq - Siria - Gli altri "foreign fighters"

di Sonia Grieco

Tra le diverse sigle che popolano il panorama dei gruppi combattenti in Iraq ha di recente fatto capolino la formazione Dwekh Nawsha. Una milizia cristiana il cui nome in aramaico significa “pronti al sacrificio”, composta in prevalenza da foreign fighters che arrivano da Paesi occidentali, soprattutto da Nord America, Nord Europa e Australia.

È la risposta cristiana alla mattanza messa in atto dal sedicente Stato Islamico contro gli infedeli, impregnata anch’essa di ideologia religiosa, tanto che qualcuno di questi combattenti cristiani si definisce un “crociato”. Lo afferma un 28enne statunitense, che si fa chiamare Brett, arrivato nella cittadina settentrionale irachena di Al Qosh da dove gestisce il reclutamento di altri “crociati” come lui. Sinora è riuscito ad arruolare una ventina di persone, tutte con trascorsi militari e quindi pronti a imbracciare le armi contro l’autoproclamato califfato di Abu Bakr Al Baghdadi, in aperta critica con le poltiche poco interventiste, a loro dire, dei propri Stati e governi.

Brett è un marine in congedo, è stato di stanza a Bagdad dal 2006 al 2007. Mostrando le braccia tatuate - una mitragliatrice sul braccio sinistro e un Cristo con la corona di spine sul destro -, ha spiegato al sito Middle East Eye di essere andato in Iraq per fare in modo che “le campane delle chiese continuino a suonare”. Come lui, altri volontari si sono uniti alla milizia Dwekh Nawsha ed è chiaro che per loro quella che hanno deciso di combattere è una guerra santa.

Il settarismo religioso pervade l’Iraq da prima dell’Isis e del califfato che di certo stanno esasperando queste divisioni. Ma neanche il governo iracheno ne è stato immune e molti analisti, quando l’espansione dell’Isis non era ancora iniziata, hanno puntato il dito contro le politiche settarie messe in atto dall’esecutivo sciita dell’ex premier Nouri al Miliki. La discriminazione dei sunniti ha creato terreno fertile per il proliferare di gruppi estremisti. La stessa offensiva dell’esercito di Bagdad contro lo Stato Islamico nella provincia di Salahuddin, iniziata due giorni fa, vede la presenza di milizie che si definiscono in base alla propria appartenenza etnica e religiosa: le fazioni armate tribali sciite e sunnite, le truppe curde, gruppi di volontari filo-governativi della Unità di mobilizzazione popolare. Una caratterizzazione etnico-religiosa che fa temere lo scontro settario e a farne le spese rischia di essere la popolazione civile.

Le immagini della fuga degli yazidi dalla ferocia dei miliziani del califfato, la caduta di Mosul nelle mani dell’Isis lo scorso giugno, le notizie di decapitazioni, crocifissioni, esecuzioni sommarie, persino le voci non confermate e probabilmente infondate di un traffico di organi umani (di cristiani) gestito dai jihadisti hanno motivato l’arruolamento di diversi combattenti cristiani. Ma il senso di persecuzione che forse è alla base della scelta di andare a combattere in Iraq ha radici lontane, nelle sofferenze patite dalle comunità cristiane, come il popolo assiro, nel quadro del più noto genocidio degli armeni per mano dell’impero ottomano.

Sul campo di battaglia la milizia Dwekh Nawsha non è determinante. Si tratta di poche centinaia di combattenti dotati di armi leggere, che pare abbiamo ricevuto sostegno, in termini di addestramento, dalle Forze libanesi, le ex falangi cristiano-maronite che hanno avuto un ruolo cruciale nelle guerra civile libanese tra il 1975 e il 1990. Alcuni volontari cristiani, che si trovano nel Kurdistan iracheno, l’unico luogo relativamente al sicuro dall’Isis, si sono uniti ai curdi che invece stanno avendo un ruolo determinante in Iraq e in Siria contro lo Stato Islamico. Sono stati attratti dalla lunga battaglia dell’YPG (le Unità di protezione popolare curde) per la liberazione della città siriana di Kobane, come tanti altri combattenti volontari stranieri. È di oggi la notizia della morte in battaglia di un cittadino britannico, Konstandinos Erik Scurfield, unitosi ai curdi dell’YPG. È stato ucciso dall’Isis lo scorso 2 marzo nel villaggio siriano di Tel Khuzela.

Ma la caratterizzazione smaccatamente religiosa di Dwekh Nawsha non apre la strada a una collaborazione piena con i curdi. I “crociati” realmente impegnati in battaglia al momento sono pochi. Lo scorso venerdì alcuni sono stati rispediti indietro dal fronte dal servizio di sicurezza curdo e non è la prima volta che accade, stando a quanto riferito dal un veterano statunitense Scott a Middle East Eye. “Sono un mucchio di dannati rossi”, ha detto Scott riferendosi all’YPG, affiliato al PKK che è nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata dagli Stati Uniti e dall’Europa, e ha un’ideologia di sinistra che non incontra i gusti di tutti i volontari cristiani.

Secondo Jordan Matson, ex soldato Usa che combatte nelle file dell’YPG, c’è una sorta di esodo di foreign fighters dalle truppe curde. Per Matson alcuni non sono adatti a campi di battaglia tipo Kobane, dove l’intensità e la modalità dei combattimenti non è quella tipica a cui sono stati abituati.

Fonte

Nel cao siro-iracheno, mancavano giusto i fondamentalisti cristiani...

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