Il prepotente ritorno del tema della corruzione ha provocato l’approvazione al senato, della legge anticorruzione a suo tempo caldeggiata dal M5s e da settori della sinistra. Benissimo, ma non vorrei che questo fosse ritenuto la soluzione del problema.
Ad ogni ondata di scandali si solleva una parallela onda di indignazione popolare che reclama pene più severe, ritenendo questo il rimedio giusto. Intendiamoci: la corruzione è un reato moralmente ripugnante ed è giusto che le pene siano all’altezza del danno sociale, ma è bene dirci che ricorrere alla soluzione penale è una sconfitta per lo Stato e la società.
Riflettiamoci un attimo: il nostro fine principale non è punire il responsabile di comportamenti antisociali come la corruzione (che pure è importante) quanto impedire che certi comportamenti avvengano ed è evidente che quando si arriva al giudizio penale il reato è stato consumato ed il nostro fine principale è stato mancato.
La stessa funzione della pena non è tanto quello di punire il malfattore ma la deterrenza verso gli altri, infatti il codice “commina” le pene e comminare viene dal latino mino-as cioè minacciare. A proposito: sarebbe il caso che i giornalisti la smettessero di scrivere una bestialità come “Il tribunale ha comminato le seguenti pene agli imputati”, i giudici non comminano (=minacciano, e ci mancherebbe altro!) ma “irrogano” le pene. Qui a forza di parlare inglese ci stiamo scordando l’italiano.
Dunque, bisogna chiarire un punto: il contrasto alle attività socialmente inaccettabili è la “politica criminale” (cioè verso il crimine) di cui la “politica penale” è solo l’estrema ratio e, tutto sommato, la meno efficace, proprio perché interviene dopo che il danno si è prodotto.
Ma la “politica criminale” ha altre frecce all’arco: l’intervento culturale, l’organizzazione sociale degli interessi, la struttura economica, amministrativa ecc, funzionalizzate alla prevenzione del reato.
E veniamo al caso della corruzione che occorre capire nelle sue cause per poter essere efficacemente combattuta. Perché la corruzione non è l’improvviso emergere della natura demoniaca dell’uomo, ma è come il campeggio, lo sciopero, le devozioni religiose o il commercio dei tessuti: una attività sociale che ha le sue modalità e le sue cause storicamente determinate. Va da sé che una completa debellatio della corruzione non si otterrà mai, come qualsiasi altro comportamento criminoso, però si può ottenere di arginarla in limiti sopportabili. Anche gli omicidi non scompaiono mai del tutto, ma un conto è avere tre omicidi all’anno ed un conto è averne seicento. Allora, il nostro problema è non solo il numero dei casi di corruzione, ma anche e soprattutto l’entità economica del fenomeno (circa 60-80 miliardi di Euro all’anno, come dire che recuperando questa cifra, in 30 anni estingueremmo il debito pubblico del paese) e gli effetti perversi sul piano politico, dove la corruzione favorisce una selezione al contrario del ceto politico.
Che si tratti di un fenomeno che ha superato di molto la soglia di tollerabilità lo dicono anche le graduatorie internazionali che collocano l’Italia sempre nella fascia dei paesi più corrotti.
Cosa non funziona? Sono mancate le leggi penali? Non mi pare: di leggi penali in materia che ne sono fin troppe e non pare che le pene comminate siano tanto leggere. Semmai c’è da discutere sull’applicazione di queste norme. Ma quello che sembra essere mancato clamorosamente è stato il contrasto politico e non penale. E’ mancata una congrua azione educativa, è mancata l’offensiva culturale, ma soprattutto hanno fallito totalmente i controlli.
L’aspetto più debole del nostro sistema istituzionale (ahimè, devo dire anche dell’ordinamento costituzionale) è proprio nella funzione di controllo. Il nostro sistema politico è pieno di conflitti di interesse in cui i controllori e i controllati coltivano rapporti incestuosi: il governo è controllato dallo stesso Parlamento che gli concede la fiducia e nel quale il vincolo disciplinare dei gruppi assicura l’assoluzione preventiva per qualsiasi ministro, i parlamentari possono essere indagati e processati, ma dietro autorizzazione della stessa Camera cui appartengono, la Corte Costituzionale esercita il sindacato di costituzionalità sulle leggi, ma è per i 2/3 espressione di quel potere politico su cui dovrebbe vigilare, il Csm ha i poteri disciplinari sui magistrati che, però, lo eleggono per i 2/3 ed, infine, il Presidente della Repubblica non lo controlla nessuno. Ovviamente, non parliamo di quel che accade nella Pubblica Amministrazione.
Ma se vogliamo realmente combattere la corruzione è di qui che dobbiamo iniziare: dall’assetto dei poteri e da una diversa sistemazione del potere di controllo.
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