A quasi un anno dalla caduta della prima città irachena in mano allo
Stato Islamico, Mosul, l’Iraq vive una crisi umanitaria dai contorni
sempre più drammatici. A rimettere sul tavolo la questione dei civili
iracheni, dimenticati dalle bombe “umanitarie” degli Stati Uniti, è
l’Unicef: “La situazione umanitaria in Iraq è prossima al
disastro – ha detto stamattina Philippe Heffinck, rappresentante
dell’agenzia Onu per i bambini nel paese – Abbiamo urgente bisogno di
risorse extra per proseguire nell’assistenza”.
Cinquecento milioni di dollari: questa la richiesta mossa oggi
dall’Unicef, dopo aver fatto il conto dei civili iracheni con urgente
necessità di aiuti. Sono otto milioni. Tra questi, ben tre
milioni (secondo dati del Ministero iracheno delle Migrazioni) sono
rifugiati, sfollati, costretti a scappare dalle proprie case a causa
dell’offensiva islamista. A queste persone manca tutto e la
carenza di fondi alle agenzie Onu peggiora drammaticamente la
situazione. L’Unicef prova con una campagna di finanziamento: “Con 500 milioni di dollari copriamo le operazioni di soccorso per i prossimi sei mesi”.
Sul campo prosegue la battaglia, dopo il lancio dell’operazione di
controffensiva governativa nella provincia di Anbar, tra le più colpite
dalle barbarie dell’Isis e dallo sfollamento di civili. Dopo aver
bypassato il diktat degli Usa che ad Anbar e nel capoluogo Ramadi non
volevano le milizie sciite, Baghdad ha messo insieme le truppe – la
stragrande maggioranza composte da miliziani delle Unità di
Mobilitazione Popolare sciite – e preparato l’aviazione. Negli
ultimi tre giorni almeno 19 persone sono morte nei raid dei jet da
guerra iracheni a Fallujah, occupata dall’Isis. Tra i morti, dicono
fonti mediche, non ci sarebbero miliziani islamisti. Di nuovo,
Fallujah è specchio delle mancanze della capitale: città da cui nel 2012
partirono le proteste della comunità sunnita contro l’allora premier
al-Maliki, vive la controffensiva governativa come imposizione sciita.
Sul terreno, secondo l’agenzia iraniana Fars News, Baghdad sta avanzando verso la città di Ramadi, occupata dal califfo due settimane fa. I
soldati iracheni sarebbero a pochi chilometri dal centro della città,
dopo aver assunto il controllo di una base militare usata dall’Isis a
ovest di Ramadi. Secondo fonti locali, negli ultimi giorni le
truppe di Baghdad si sono avvicinate alla città da tre direzioni, dando
vita ad una sorta di assedio esterno dei miliziani islamisti.
Ciò che continua a mancare, però, è una strategia politica
che vada ad annientare le cause della crescita repentina dell’Isis nel
paese: se il movimento guidato da al-Baghdadi ha goduto di
finanziamenti da parte di paesi simpatizzanti, degli occhi chiusi e
delle mani tese dei turchi al confine, dei gravi errori di valutazione
degli Stati Uniti (oggi, ma anche negli anni dell’invasione dell’iraq),
sul terreno a Baghdad spetterebbe il compito di eliminare le ragioni che
spingono alcune comunità sunnite ad affidarsi al califfo. Una
discriminazione lunga oltre dieci anni, l’esclusione dal potere politico
e economico, la repressione delle proteste da parte del governo
centrale sciita hanno fatto montare la rabbia tra coloro che fino ai
tempi di Saddam governavano l’Iraq.
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