di Michele Giorgio – Il Manifesto
L’annuncio fatto l’altra sera in Qatar dal leader uscente di Hamas, Khaled Mashaal, è passato in sordina. Eppure il movimento islamico palestinese ha fatto un passo politico significativo.
Nella versione emendata del suo Statuto del 1988, Hamas prevede la
creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, con capitale
Gerusalemme, quindi solo nei territori occupati da Israele dopo il 4
giugno del 1967.
«La creazione di uno Stato palestinese interamente sovrano e
indipendente nelle frontiere del 4 giugno 1967 con Gerusalemme
capitale... è una formula di consenso nazionale», si legge nel documento. Gli
islamisti palestinesi da un lato non riconoscono Israele e proclamano
di voler continuare la lotta al Sionismo e dall’altro, accettando uno
Stato solo in una parte della Palestina storica, affermano di fatto
l’esistenza di Israele e si avvicinano al programma all’Olp che ora
descrivono come la «cornice nazionale» in cui si rappresenta il popolo
palestinese.
Inoltre, eliminando dal testo originale parole ed espressioni (alcune al limite dell’antisemitismo) della Carta del 1988, Hamas distingue gli ebrei da Israele e proclama di non essere contro l’Ebraismo. Infine prende le distanze dai Fratelli musulmani sottolineando di essere un movimento islamico indipendente.
«Khaled Mashaal (lunedì sera, ndr) ha detto che Hamas è un movimento
politico che in parte deve confermare dei principi e in parte è
flessibile» spiega la giornalista e docente universitaria Paola Caridi, autrice di “Hamas” (Feltrinelli).
«Hamas – prosegue – perciò si dà la flessibilità per ragionare su uno
Stato palestinese nei confini del 4 giugno 1967. In tutte le interviste
che ho fatto con i leader e gli attivisti (di Hamas) la risposta su
Israele è sempre stata una sola: è un dato di fatto, esiste, non c’è
bisogno di riconoscerlo perché esiste già».
Secondo Caridi lo Statuto reso noto due giorni fa deve
considerarsi completamente diverso da quello del 1988, diffuso da Hamas
poco dopo la sua fondazione. «Il documento di trent’anni fa è
stato scritto da una sola persona, un insegnante del campo profughi di
Nusseirat (Gaza)» ricorda la docente «è stato scritto con il linguaggio
dell’urgenza, dell’emozione e del background culturale del suo autore».
Invece la nuova versione, aggiunge Caridi, «è il documento di Hamas come
organizzazione politica che nasce non da un compromesso come si è detto
(tra l’ala politica e il braccio armato, ndr) ma dal consenso. È il
documento sul quale si ritrova la maggioranza (del movimento islamico)».
Malgrado la rilevanza del passo fatto da Hamas, Caridi dubita
che verrà preso in attenta considerazione dalla comunità occidentale
che già 2006 non volle riconoscere la vittoria, trasparente e regolare,
della lista islamista alle elezioni politiche palestinesi. Ue ed Usa
non tennero in alcun conto la decisione di Hamas di partecipare al
processo democratico contemplato dalle istituzioni dell’Autorità
nazionale palestinese. Da parte sua Israele, già lunedì sera, per bocca
del premier Netanyahu, aveva descritto come «fumo negli occhi» le
«menzognere» modifiche allo statuto di Hamas. Il riconoscimento
aperto e ufficiale dello Stato ebraico era e resta la condizione posta
dai Paesi occidentali e, almeno per ora, Hamas non pare disposto a
soddisfarla.
Gli opinionisti più che il contenuto teorico e politico del documento
reso noto a Doha preferiscono sottolineare i suoi aspetti strategici
immediati. Qualcuno afferma che, sotto la spinta dei suoi
sponsor regionali, Qatar e Turchia, Hamas starebbe provando a rompere
l’isolamento in cui si trova da anni. E citano le parole di
Meshaal: «il documento riflette un Hamas ragionevole in materia di
realtà e circostanze regionali e internazionali, pur rappresentando la
causa della sua gente».
Ma gli islamisti palestinesi non guardano solo all’Occidente.
Hanno in mente altri traguardi. Descrivendosi non più parte dei
Fratelli musulmani, Hamas cerca di ammorbidire il regime egiziano di
Abdel Fattah al Sisi – schierato con il pugno di ferro contro la
Fratellanza – che resta fondamentale per rompere il blocco di Gaza.
La novità è stata subito colta al Cairo. Il quotidiano al Akhbar ieri
titolava su diverse colonne «Hamas si stacca dai Fratelli musulmani». Il
libanese Daily Star parlava invece di riconoscimento di fatto del
diritto all’esistenza di Israele alla vigilia del primo faccia a faccia
oggi a Washington tra Donald Trump e il presidente palestinese Abu
Mazen.
Intanto ieri l’Unesco ha votato di nuovo contro la sovranità
dello Stato di Israele su Gerusalemme, in linea con le risoluzioni delle
Nazioni Unite in materia. Ventidue Paesi hanno votato a
favore, dieci contro, tra cui l’Italia, per decisione del ministro degli
esteri Alfano, e 23 si sono astenuti. La risoluzione critica il governo
israeliano per i suoi progetti di insediamento coloniale nella Città
Vecchia di Gerusalemme e nei pressi dei luoghi sacri di Hebron. Chiede
inoltre la fine del blocco Israeliano su Gaza. Forti le proteste di
Israele.
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