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04/05/2017

Hamas apre alla soluzione dei due Stati, ma nessuno se ne accorge

di Michele Giorgio – Il Manifesto

L’annuncio fatto l’altra sera in Qatar dal leader uscente di Hamas, Khaled Mashaal, è passato in sordina. Eppure il movimento islamico palestinese ha fatto un passo politico significativo. Nella versione emendata del suo Statuto del 1988, Hamas prevede la creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, con capitale Gerusalemme, quindi solo nei territori occupati da Israele dopo il 4 giugno del 1967.

«La creazione di uno Stato palestinese interamente sovrano e indipendente nelle frontiere del 4 giugno 1967 con Gerusalemme capitale... è una formula di consenso nazionale», si legge nel documento. Gli islamisti palestinesi da un lato non riconoscono Israele e proclamano di voler continuare la lotta al Sionismo e dall’altro, accettando uno Stato solo in una parte della Palestina storica, affermano di fatto l’esistenza di Israele e si avvicinano al programma all’Olp che ora descrivono come la «cornice nazionale» in cui si rappresenta il popolo palestinese.

Inoltre, eliminando dal testo originale parole ed espressioni (alcune al limite dell’antisemitismo) della Carta del 1988, Hamas distingue gli ebrei da Israele e proclama di non essere contro l’Ebraismo. Infine prende le distanze dai Fratelli musulmani sottolineando di essere un movimento islamico indipendente.

«Khaled Mashaal (lunedì sera, ndr) ha detto che Hamas è un movimento politico che in parte deve confermare dei principi e in parte è flessibile» spiega la giornalista e docente universitaria Paola Caridi, autrice di “Hamas” (Feltrinelli). «Hamas – prosegue – perciò si dà la flessibilità per ragionare su uno Stato palestinese nei confini del 4 giugno 1967. In tutte le interviste che ho fatto con i leader e gli attivisti (di Hamas) la risposta su Israele è sempre stata una sola: è un dato di fatto, esiste, non c’è bisogno di riconoscerlo perché esiste già».

Secondo Caridi lo Statuto reso noto due giorni fa deve considerarsi completamente diverso da quello del 1988, diffuso da Hamas poco dopo la sua fondazione. «Il documento di trent’anni fa è stato scritto da una sola persona, un insegnante del campo profughi di Nusseirat (Gaza)» ricorda la docente «è stato scritto con il linguaggio dell’urgenza, dell’emozione e del background culturale del suo autore». Invece la nuova versione, aggiunge Caridi, «è il documento di Hamas come organizzazione politica che nasce non da un compromesso come si è detto (tra l’ala politica e il braccio armato, ndr) ma dal consenso. È il documento sul quale si ritrova la maggioranza (del movimento islamico)».

Malgrado la rilevanza del passo fatto da Hamas, Caridi dubita che verrà preso in attenta considerazione dalla comunità occidentale che già 2006 non volle riconoscere la vittoria, trasparente e regolare, della lista islamista alle elezioni politiche palestinesi. Ue ed Usa non tennero in alcun conto la decisione di Hamas di partecipare al processo democratico contemplato dalle istituzioni dell’Autorità nazionale palestinese. Da parte sua Israele, già lunedì sera, per bocca del premier Netanyahu, aveva descritto come «fumo negli occhi» le «menzognere» modifiche allo statuto di Hamas. Il riconoscimento aperto e ufficiale dello Stato ebraico era e resta la condizione posta dai Paesi occidentali e, almeno per ora, Hamas non pare disposto a soddisfarla.

Gli opinionisti più che il contenuto teorico e politico del documento reso noto a Doha preferiscono sottolineare i suoi aspetti strategici immediati. Qualcuno afferma che, sotto la spinta dei suoi sponsor regionali, Qatar e Turchia, Hamas starebbe provando a rompere l’isolamento in cui si trova da anni. E citano le parole di Meshaal: «il documento riflette un Hamas ragionevole in materia di realtà e circostanze regionali e internazionali, pur rappresentando la causa della sua gente».

Ma gli islamisti palestinesi non guardano solo all’Occidente. Hanno in mente altri traguardi. Descrivendosi non più parte dei Fratelli musulmani, Hamas cerca di ammorbidire il regime egiziano di Abdel Fattah al Sisi – schierato con il pugno di ferro contro la Fratellanza – che resta fondamentale per rompere il blocco di Gaza. La novità è stata subito colta al Cairo. Il quotidiano al Akhbar ieri titolava su diverse colonne «Hamas si stacca dai Fratelli musulmani». Il libanese Daily Star parlava invece di riconoscimento di fatto del diritto all’esistenza di Israele alla vigilia del primo faccia a faccia oggi a Washington tra Donald Trump e il presidente palestinese Abu Mazen.

Intanto ieri l’Unesco ha votato di nuovo contro la sovranità dello Stato di Israele su Gerusalemme, in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite in materia. Ventidue Paesi hanno votato a favore, dieci contro, tra cui l’Italia, per decisione del ministro degli esteri Alfano, e 23 si sono astenuti. La risoluzione critica il governo israeliano per i suoi progetti di insediamento coloniale nella Città Vecchia di Gerusalemme e nei pressi dei luoghi sacri di Hebron. Chiede inoltre la fine del blocco Israeliano su Gaza. Forti le proteste di Israele.

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