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14/02/2020

Interviste sulla Bolivia (1/2) - “Noi donne indigene il golpe lo abbiamo sentito nel corpo”

di Alessandro Peregalli

[Dialogo con Adriana Guzmán, femminista aymara attiva in uno spazio politico chiamato Femminismo Comunitario Antipatriarcale, che in questi anni ha partecipato, seppur con una visione critica dei governi di Morales, al cosiddetto proceso de cambio. L’autore le ha incontrate a El Alto, nella zona metropolitana di La Paz].

In Bolivia nell’ottobre e novembre scorsi si è consumato un colpo di Stato?

Il golpe è stato progettato fin dal 2016, quando ci fu il referendum sulla possibilità di rielezione per Evo Morales. Dopo la vittoria referendaria del No, e contro il ridicolo tentativo di Evo di presentarsi lo stesso, l’opposizione organizzò la campagna Bolivia dijo No, “la Bolivia ha detto no”. Da allora l’opposizione è andata dicendo che ci sarebbero stati brogli elettorali.

Quel referendum in realtà Evo lo perse per via di uno scandalo su un suo presunto figlio non riconosciuto. Come femministe, anche se capivamo che lo scandalo era strumentalizzato dall’opposizione e dagli Stati Uniti, abbiamo comunque considerato che Evo dovesse farsi da parte. Oltretutto, eravamo di principio contro la ri-candidatura, perché non crediamo nei processi caudillisti. Però il MAS decise di candidare Evo lo stesso.

Ed è così che, dal giorno dopo il voto, sono iniziate le manifestazioni: ed erano manifestazioni razziste, con aggressioni alle donne indigene, sfregio della whipala (la bandiera dei popoli originari, Ndr). È stato il venire alla luce di un razzismo che per 13 anni era rimasto sotterraneo. È stato allora che abbiamo sentito il colpo di Stato; prima ancora che cadesse Evo, noi donne indigene il golpe già lo sentivamo nei nostri corpi: ci incontravamo nelle strade, ci guardavamo, e avevamo paura, paura della persecuzione.

I manifestanti contro il fraude di Evo erano tutti golpisti e razzisti?

No, c’era un grosso settore urbano che stava lì, legittimamente, a difendere il proprio voto. Ma c’è stata una grande strumentalizzazione da parte dei settori civici golpisti, che hanno imposto la loro agenda, e le tante persone che si mobilitavano legittimamente non hanno saputo mettere un limite al fascismo, non hanno saputo dissociarsi.

Ci sono stati anche molti casi di studenti che hanno partecipato prima alle mobilitazioni contro il fraude di Morales e poi a quelle contro il golpe di Añez. Un episodio terribile è avvenuto dopo il massacro di Senkata (19 novembre, NdR), quando un gruppo di universitari è salito a El Alto in appoggio alla resistenza, e i manifestanti indigeni, che in molti casi erano i loro stessi genitori o familiari, li hanno cacciati dicendoli: “voi siete traditori, non siete indios come noi”.

Il 20 ottobre ci sono stati brogli elettorali?

Non si può escludere, anche se non sono stati provati. Indubbiamente ci sono state molte irregolarità ai seggi, è possibile che ci siano stati tentativi di fare un fraude, anche se sinceramente credo che sia mancata la struttura necessaria per fare un fraude vero e proprio. Però anche ammesso che ci sia stato, quello che non si può fare è giustificare un colpo di Stato per via di una frode elettorale.

Un aspetto torbido è stato poi il ruolo dell’OSA (Organizzazione degli Stati Americani, NdR), che dopo giorni di violenze, in cui non si capiva cosa stesse succedendo, in cui c’era tutta una campagna mediatica (non si sa se vera o falsa) sui saccheggi da parte di gente del MAS, in cui i golpisti hanno occupato la sede del sindacato indigeno aymara CSUTCB e hanno sequestrato, e poi ucciso, il giornalista Sebastián Moro, in una situazione di questo tipo la OSA che fa? Emette un report preliminare, in cui nonostante non dica che ci sia stato fraude (il documento parla di “irregolarità”) raccomanda però di rifare le elezioni per via della situazione socialmente instabile. Tra l’altro un report preliminare il cui documento definitivo arriverà solo un mese dopo. Ma allora, viene da chiedersi, che elementi avevano un mese prima? Al massimo qualche appunto... Una mossa come quella, in quella situazione, è stata una bomba: da allora si sono moltiplicati gli assalti alle case dei masistas (del MAS) e i tentativi di stupro alle nostre compagne.

Come valuta i 14 anni di governo di Evo Morales?

In questi anni non siamo stati capaci di costruire un altro Stato, un altro tipo di democrazia. Non è stata solo un “tradimento” di Evo, piuttosto dovremmo chiederci qual è stata la responsabilità delle organizzazioni sociali. Perché nel 2003 avevamo un’agenda, l’Agenda di Ottobre, discussa in tutte le strade di Bolivia. Evo, che non mi è mai piaciuto, che non ha una cosmovisione indigena, ma che era l’unico candidato in grado di vincere, doveva solo compierla. Ma noi siamo stati ingenui, ci siamo illusi che tale agenda potesse compierla lo Stato, il governo, e invece Evo ha iniziato a cedere ai capitalisti, a governare per i capitalisti, e noi avremmo dovuto dirgli: se non governi per noi, allora vattene. Dal nostro punto di vista, il governo doveva essere solo un argine contro la destra, mentre noi dalle organizzazioni di base trasformavamo il paese. E invece lo Stato ha cooptato le organizzazioni. E il MAS, da semplice Strumento Politico (il suo nome completo è infatti MAS-IPSP, Movimento Al Socialismo-Strumento Politico per la Sovranità dei Popoli, NdR), ha smesso di ubbidire alle organizzazioni si è trasformato in un partito come gli altri.

Nonostante tutto questo, ci sono però state anche cose importanti. Per esempio, abbiamo ottenuto grandi avanzamenti in termini di dignità della popolazione indigena. Ora nessuno ci fa scendere dal minibus, o ci impedisce di masticare coca in un edificio pubblico. È stato posto il tema del patriarcato, non solo nelle accademie ma nelle comunità. Ci sono stati anche molti investimenti nelle comunità, infrastrutture comunitarie, trasformazioni concrete. I finanziamenti per l’educazione pubblica sono cresciuti enormemente, e sono stati fatti progetti di educazione comunitaria che coinvolgono quartieri interi e che funzionano. Tutto questo è stato ottenuto grazie al governo? In parte. E in parte dal lavoro delle organizzazioni e, potremmo dire, nonostante il governo.

Certamente è stata anche un’epoca di enormi profitti per i capitalisti, e il governo ha condonato alle imprese debiti che non condona alle comunità. E allora si domanderà: perché fare il colpo di Stato? Perché l’élite vuole recuperare il potere coloniale sui nostri corpi. Una volta una giornalista chiese al vecchio leader aymara, Felipe Quispe, perché stesse generando divisioni nella popolazione boliviana, e lui rispose: “Perché non voglio che mia figlia sia la tua domestica”. Ed è questa la trasformazione più grande, più concreta. Oggi un’indigena trova più dignitoso vendere cibo per strada che curare i figli dei ricchi o pulire le loro case.

Come descriveresti il governo di Jeanine Añez, per ciò che ha fatto finora?

In parte è un classico governo di destra, che vuole distruggere, nel minor tempo possibile, tutto quel che ha fatto il governo precedente, e che gli dà la colpa di tutto. Però in questo caso non si limita a voler distruggere le conquiste materiali, ma agisce molto sul simbolico. Cerca di vendere l’idea di una democrazia della bandiera nazionale contro la democrazia indigena della whipala, un’idea di pace sociale, un’idea di “ritorno di Dio nel Palacio Quemado”. E poi cerca di instaurare l’idea della donna pacificatrice, che risolve il conflitto. Questo vale per Jeanine Añez, però anche per Eva Copa, la nuova presidentessa del Senato del MAS che ha deciso di negoziare con i golpisti. Añez, basandosi nel razzismo, sta cercando di smontare la costruzione simbolica dello Stato Plurinazionale.

C’è una divisione, nel MAS, tra un’ala “dialogante” che è rimasta in Bolivia, guidata da Eva Copa, e una “dura” che se n’ è andata in esilio, rappresentata da Evo Morales?

Primo: noi non crediamo che Evo se ne sia andato, ma che l’abbiano cacciato con un colpo di Stato. È vero, poteva rimanere nel paese e provare a resistere da qui, ma nella spirale di violenza che si era generata, la sua resistenza nel Chapare (regione cocalera vicino a Cochabamba, da dove Morales diede le dimissioni il 10 novembre, NdR) sarebbe stata la scusa perfetta per l’esercito per fare un massacro. Perché non volevano arrestare Evo, lo volevano morto. E un massacro nel Chapare era il monito perfetto verso gli indigeni, affinché sapessero che per nessuna ragione gli si sarebbe permesso un ritorno al potere.

In secondo luogo, tutti questi conflitti hanno a che fare con Evo, ma solo in parte. E questo è il limite di certo femminismo biologicista, che si concentra solo nella figura del macho: Evo qui, Camacho lì. Il fatto è che non si tratta di una disputa tra uomini, ma tra progetti. E il progetto che rappresenta Evo è diverso da quello che rappresenta Camacho. Il progetto che Evo rappresenta va molto oltre Evo, e va molto oltre il MAS. Tanto che le proteste di strada dopo il golpe non rispondevano al MAS. Già dal 12 novembre, quando Evo è andato in Messico, nelle piazze si è smesso di chiedere il suo ritorno. Non importava. L’importante era che se ne andasse il golpismo. Mentre Eva Copa ha negoziato col golpismo. Ha negoziato sui nostri morti, che sono morti del popolo, non del MAS. E ha legittimato una norma che prevede compensazioni ai feriti e ai familiari delle vittime solo a patto che questi non sporgano denuncia. Capito? Feriti di arma da fuoco che nemmeno possono denunciare chi ha loro sparato. Come si può negoziare in questo modo col golpismo? E a che pro, per andare alle elezioni? Noi lottiamo per i nostri morti, non per le elezioni. E comunque per noi non ci saranno elezioni.

Non sono previste elezioni per il 3 maggio?

È impossibile che permettano una campagna elettorale democratica. Io credo che le elezioni siano una grande manipolazione, una distrazione di massa per permettere al governo di continuare a smontare lo Stato Plurinazionale e a perseguitare la gente. Perché poi, chi avrà il coraggio di mettere il proprio nome nelle liste del MAS se qui la gente va in galera solo perché scrive “Añez golpista” su Facebook? Gli unici tranquilli saranno i parlamentari attuali, quelli che negoziano coi golpisti.

Sembra che tra l’altro il MAS si sia diviso per la scelta del candidato per la presidenza. Mentre i movimenti sociali hanno proposto David Choquehuanca, Evo Morales dall’Argentina ha imposto l’ex ministro dell’economia Luis Arce, più moderato e vicino alla classe media.

La nostra preferenza era per Choquehuanca, che è più sintonizzato con la cosmovisione aymara, con il buen vivir. Ma la scelta dei vertici del MAS, in primis l’ex vicepresidente Álvaro García Linera, dimostra che non rispettano le organizzazioni. Per loro della classe media gli indios servono solo per farsi massacrare. Ma chi pensano di convincere candidando Arce? Pensano davvero che la classe media, che ha appoggiato il golpe, voterà per loro? Loro si illudono che il “voto duro”, quello indigeno, ce l’hanno assicurato. Sono una sinistra coloniale.

Senza vere elezioni, una via d’uscita la proporrà la mobilitazione sociale?

Oggi il MAS non ha più la capacità di dettare la linea della mobilitazione sociale. Credo che una risposta sociale sorgerà in maniera spontanea, e probabilmente ciò avverrà il giorno in cui il fascismo dovesse “vincere” le elezioni-farsa. Quel giorno il popolo si ribellerà, e non per Evo o per Choquehuanca, ma per se stesso.

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