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13/06/2020

Le statue, ultimo rifugio dell’antirazzismo capitalista in salsa rosa

Era ora che, grazie ad un atto di violenza inaudita e maramaldesca come l’assassinio di George Floyd, ci fosse un’ondata di indignazione collettiva e di antirazzismo nell’opinione pubblica di tutto il mondo.

Ci sono molte cose da discutere e da sanare, che derivano dalla piaga del razzismo. Perché il razzismo si nutre di ignoranza e pregiudizio, ma è anche uno dei pilastri fondanti del cosiddetto “mondo libero”, cioè del capitalismo imperialista.

Facciamo un elenco incompleto, di soli tre punti, che da sempre – e non da due settimane – sono lì, aperti come ferite.

– Gli USA sono stati fondati su un genocidio razziale. Oggi la discriminazione razziale verso i nativi americani, gli afro-americani ed altre minoranze, si attua con l’imposizione della povertà, il minor accesso all’istruzione, alla sanità, al diritto di voto. Con la morte diretta o indiretta, insomma.

– Il capitalismo imperialista basa tutt’ora il benessere della propria economia sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, attraverso la schiavitù de facto in Africa e in Asia, depredando risorse, facendo lavorare uomini, donne e bambini in condizioni inumane e per quattro soldi, in modo da avere nei nostri negozi i bei palloni Adidas e le felpine Benetton (quelli del Ponte Morandi...).

– L’Europa – poi – sopravvive grazie al razzismo. Da un lato con il genocidio dei migranti, facendo in modo che crepino nei lager in Libia oppure annegati. Dall’altro sfruttandone il lavoro in agricoltura, edilizia ed altri settori, con paghe e condizioni inaccettabili per i lavoratori autoctoni.

Ci fermiamo qui, ma potremmo continuare a lungo.

Bene. Di fronte a tutto questo, di fronte ad un razzismo che va riconosciuto come “principio fondante” della nostra società, e ad una discriminazione razziale che spesso coincide con l’imposizione e lo sfruttamento della povertà, era sperabile che l’opinione pubblica in occidente reagisse.

Se non proprio realizzando che la nostra società è razzista per DNA e non può sopravvivere senza razzismo, ed è quindi da ridiscutere dalle fondamenta, almeno – mi faccio riformista per un momento – per intervenire su questi problemi a livello nazionale, internazionale, mondiale. Con atti concreti, leggi, iniziative: c’è moltissimo da fare, e da subito.

Notiamo invece che la risposta è mettere sotto processo delle statue (questo sì, questo no, questo forse?), censurare il film Via col Vento, inginocchiarsi in Parlamento per i morti altrui ma, non sia mai!, per i propri. C’era anche l’ex ministro Minniti, li, ginocchioni?

Ci siamo illusi e sorpresi a pensare: ormai è fatta, il re è nudo, ora scoppia la Rivoluzione, finalmente.

Il risultato finale – invece – sarà censurare Angeli Ne*ri di Marino Barreto. E scrivo ne*ri con l’asterisco, se no qualcuno, copiando magari questo testo su Facebook, incorrerebbe nelle ire dell’algoritmo e verrebbe bloccato.

Ed è l’algoritmo dei social, che bada alle singole parole e non ai contenuti, l’emblema perfetto dell’antirazzismo in salsa rosa, che si concentra e sposta l’attenzione del pubblico su questioni di trascurabilissima importanza.

La società occidentale, in realtà – questo è l’insegnamento da trarre – è irriformabile. Al massimo, può rimuovere qualche statua, illudere la gente facendo credere loro che basta non parlare di un problema perché il problema scompaia.

Agli antirazzisti da operetta al potere, in realtà, basta sopire e troncare, come il conte Attilio; tirare avanti alla meno peggio, sperando che nessuno venga – davvero – a rovesciare il tavolo del Monopoli.

Siete bianchi, siete ricchi, campate sulla pelle di quelli che l’hanno di colore diverso dalla vostra, ma siete “antirazzisti”? Troppo facile, troppo ipocrita, poco credibile.

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