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25/06/2020

Siamo immersi in una catastrofe. L’ha capito pure il Fmi

Forse mai, nei documenti ufficiali delle più grandi istituzioni economiche mondiali, era apparsa la parola “catastrofe”. Neanche in occasione delle numerose guerra che hanno costellato gli ultimi 70 anni.

L’esordio della catastrofe arriva con le previsioni del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) relative all’anno in corso e quello successivo. E mai come stavolta le “stime” sono aleatorie, visto che alla normale incertezza sul futuro si deve per forza sommare l’evoluzione della pandemia a livello mondiale. Sia per quanto riguarda la forsennata crescita dei contagi negli ultimi giorni (in Italia si ha una percezione falsata “nazionalisticamente”, visto che qui sono invece in calo), sia – soprattutto – per la temuta seconda ondata autunnale.

Di fatto, scorrendo il rapporto Fmi, è salata ogni immaginaria linea di demarcazione tra “fatti economici” ed eventi sociali. Il che sconcerta e disorienta tutti gli economisti liberisti, abituati a trattare i loro schemini numerici come se fossero le Tavole della Legge.

E in effetti Gita Gopinath, capo economista dell’istituto di Washington, è apparsa davvero incerta persino nel provare a ripetere le consuete giaculatorie sul debito pubblico, il ruolo dello Stato, ecc.

Vediamo prima i numeri, per quanto sembrino più fantasiosi del solito.

L’economia mondiale, nel 2020, dovrebbe subire una contrazione del Pil del 4,9% (contro il 3% stimato ad aprile). E già qui si nota come in soli due mesi un quadro già pessimistico sia evoluto in modo molto negativo.

Ma anche questa stima dipende totalmente dalla capacità di contenere il contagio, di per sé una “risorsa” non quantificabile.

L’entità delle perdite, fin qui, si può misurare dalle attese precedenti la pandemia: alla fine del 2019 lo stesso Fmi prevedeva una crescita mondiale del +3,3%, quindi complessivamente lo scostamento supera il 9%.

In termini assoluti, l’Fmi calcola una minore ricchezza creata pari a «oltre 12.000 miliardi di dollari» fra il 2020 e il 2021, anche se gli oltre 10.000 miliardi di dollari di interventi pubblici a livello mondiale hanno ridotto la dimensione della “catastrofe” in atto. Anche in questo caso, la stessa Gopinath avverte che c’è “forte incertezza” nello stilare le previsioni.

Disaggregando i dati per Paese, però, si nota come le stime non siano uguali per tutti. L’unico paese a far registrare l’ipotesi di un segno positivo è ancora una volta la Cina, con un modesto +1%, ben lontano dai tassi di crescita in doppia cifra degli ultimi 30 anni, ma anche dai +7-8% di quelli più recenti.

Poi è tutto un crollo generale, anche se parecchio diversificato. Per l’Eurozona, la contrazione prevista è del 10,2%, l’Italia rischia un -12,8%, la Germania va verso un -7,8%. Per il Regno Unito, alle prese con la Brexit, la flessione dovrebbe superare il -10%. Gli Stati Uniti, con l’epidemia ancora in crescita, le presidenziali a novembre e una tensione sociale altissima, al momento vengono stimati in caduta dell’8%.

Male andranno anche Paesi come l’India, dove però i contagi continuano ad aumentare e per la prima volta in oltre 40 anni il Pil dovrebbe scendere, anche se in una misura – in questo quadro – quasi “positiva”: – 4,5%. Il disastroso Brasile di Bolsonaro, ben lontano dall’intravedere il picco dell’epidemia, dovrebbe calare del 9,1%. Meno 6,6% anche per la Russia.

Il quadro per il 2021 non appare confortante (e qui le stime sono ancora meno solide che per l’anno in corso). Il “rimbalzo” mondiale del pil dovrebbe essere del +5,4% (mezzo punto in meno di quanto stimato in aprile). E anche se appare quasi come un ritorno “alla parità” dobbiamo sempre ricordare le trappole delle percentuali (le perdite da una cifra alta sono sempre maggiori dell’identico guadagno percentuale da una cifra minore; per esempio, un calo del 50% da una cifra 100 è una perdita di 50, e il successivo “rimbalzo” del 50% rappresenta un “recupero” di appena 25).

Detto questo, la Cina dovrebbe far segnare uno spettacolare +8,2% (senza essere andata sotto quest'anno...), mentre la Francia, con +7,3%, sarebbe comunque lontana dal pareggiare il calo di quest’anno. Stesso discorso per tutti gli altri Paesi: Italia: +6,3%, Spagna +6,3%, Regno Unito +6,3%, Eurozona in generale +6%, India +6%, Germania: +5,4%, Canada +4,9%, Stati Uniti +4,5%, Russia +4,1%, Giappone +2,4%, ecc.

Una cosa va secondo noi sottolineata: il coronavirus non ha risparmiato nessun Paese al mondo, per restare a quelli di maggiore industrializzazione. L’entità del danno (previsto, ma anche in parte già accertato) dipende esclusivamente dal modo in cui i sistemi-Paese hanno reagito, adottando approcci molto differenti.

Al lato estremo della “sicurezza della salute dei cittadini” va certamente messa la Cina, ma anche la Corea del Sud. In questi paesi la scelta dei governi è stata quella di eliminare il contagio, isolando sul nascere i focolai di infezione. Una scelta radicale, in apparenza, anche sul piano economico, perché prevedeva il blocco totale di ogni attività, il lockdown per tutta la cittadinanza interessata, ecc.

Ma queste misure drastiche sono state applicate a territori ben identificati (le vere “zone rosse”), mentre il resto del paese continuava a vivere e produrre, anche più del solito per sopperire il deficit che si era aperto bloccando alcune parti del Paese.

Al contrario, chi fin dall’inizio ha scelto di convivere con il virus, evitando di fermare gran parte dell’attività produttiva – limitandosi, nei casi migliori, a vietare la circolazione delle persone e a chiudere le attività commerciali più incontrollabili (bar, ristoranti, discoteche, cinema, ecc.) – si ritrova oggi a pagare un prezzo economico assai più salato.

Se vogliamo usare un’immagine ormai classica, chi ha scelto di fare come nella Val Seriana (nessuna “zona rossa”, produzione a gogo, limitazioni solo per i comuni cittadini) pur di continuare con il business, oggi e soprattutto domani dovrà fare i conti con danni inimmaginabili.

Non serviva essere dei geni, per saperlo in anticipo. Ci eravamo arrivati anche noi da soli...

Ora la catastrofe, dice ancora il Fmi, colpirà soprattutto i lavoratori. E in primo luogo quelli meno qualificati, quelli addetti a lavorazioni manuali generiche, tanto nelle metropoli capitalistiche quanto nelle campagne dei paesi poveri.

Come aveva già calcolato l’Organizzazione mondiale del lavoro, il calo delle ore lavorate nel primo trimestre 2020, rispetto al precedente, è equivalente a 130 milioni di posti a tempo pieno. Per il secondo trimestre 2020, ci si aspetta la perdita di oltre 300 milioni di posti equivalenti.

«Il colpo è stato particolarmente duro per i lavoratori poco qualificati, che non hanno la possibilità di lavorare da casa»; «le donne appartenenti a gruppi a basso reddito» saranno le più penalizzate; «oltre il 90% dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo registrerà un calo del reddito pro-capite nel 2020».

Anche gran parte dell’”occupazione” creata negli Usa negli ultimi anni è di questo tipo (servizi generici, ristorazione, ecc). E si è vista la botta dei 40 milioni di nuovi disoccupati in sole otto settimane...

Ma i danni riguardano anche l’istruzione di un paio di generazioni, dalle elementari all’università. La chiusura delle scuole in circa 150 Paesi, implica una forte «perdita di apprendimento» per quasi 1,2 miliardi di ragazzi. I quali subiranno perciò «effetti sproporzionatamente negativi» sulla possibilità di «salire nella scala sociale e nelle condizioni di reddito grazie all’istruzione».

Il quadro complessivo delle disuguaglianze, non solo di ordine economico, è destinato a peggiorare in modo molto serio. E con conseguenze per la “tenuta sociale” di molti Paesi sicuramente gravi.

Anche perché, naturalmente, le grandi spese che gli Stati stanno sostenendo per limitare le dimensioni della crisi con finanziamenti smisurati porranno da subito il problema di “contenere il debito pubblico”. Il neoliberismo non cambia modo di ragionare solo perché il mondo che ha creato va crollando. E infatti il Fmi mette in guardia fin d’ora: «L’elevato sostegno alla liquidità in alcune economie avanzate», tra cui Italia, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito,ecc, «crea rischi per i conti pubblici».

Per l’Italia in particolare la situazione è prevista in forte aggravamento (166% del Pil, con un rapporto deficit/Pil al 12,7%). Ma è così per decine di altri Paesi. Tanto che – altra eresia violata, per le consuetudini del Fmi – in alcuni casi bisognerebbe prendere in considerazione la “cancellazione del debito” (non ditelo a Jens Weidmann, potrebbe dare di matto...).

Ma che il vecchio ordine – anche logico e ideologico – non tenga più il passo lo si vede anche da una “raccomandazione” davvero insolita per questa istituzione: «la comunità globale deve agire per evitare che la catastrofe si ripeta, costruendo scorte globali di forniture essenziali e dispositivi di protezione, finanziando la ricerca e rafforzando i sistemi sanitari pubblici, con la messa in atto di modalità efficaci per fornire soccorso ai più bisognosi».

Manca solo che raccomandi programmazione, pianificazione e nazionalizzazioni... poi è fatta.

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