I Paesi governati da partiti comunisti o socialisti sono stati coloro che hanno risposto finora meglio non solo nel contenimento del contagio, ma anche nella gestione delle conseguenze economiche provocate tra l’altro dalle misure adottate.
Ne sono un esempio – oltre a Cuba e la Cina – lo Stato del Kerala in India, storica “roccaforte rossa” governata dai comunisti, il Vietnam nel sud-est asiatico, già tra gli stati più virtuosi nel combattere la Sars e che ha lanciato contro il Covid-19 una “nuova campagna di primavera” , e il Venezuela in America Latina, lodato dalla stessa ONU per le sue politiche virtuose di contenimento del virus.
L’aver anteposto la salute delle persone e le garanzie sociali complessive alle esigenza di profitto si è rilevata una scelta efficace (anche sul piano economico!), in particolare se paragonata alla gestione criminale dell’emergenza negli Stati – o nelle regioni come la Lombardia – fiori all’occhiello delle politiche neo-liberiste anche nel settore sanitario.
In Gran Bretagna, Stati Uniti e Brasile ne stanno drammaticamente subendo le conseguenza le popolazioni: Stati Uniti (2.191.000 contagiati, 118.000 morti), Brasile (980.000 contagiati, 48.000 morti “ufficiali”), Gran Bretagna (42.400 morti).
Un discorso simile può essere fatto per ciò che concerne il ruolo internazionale di due Paesi, le cui rivoluzioni hanno segnato il secolo scorso.
Cuba e Cina hanno guidato la leadership nella risposta alla pandemia, consolidando legami storici od estendendoli anche li dove – come in Italia rispetto alla UE e alla NATO – la cornice politica in cui erano inseriti gli Stati in cui sono intervenute non si è resa protagonista di un intervento rapido e risolutivo.
Hanno avuto un ruolo di primissimo piano in Africa, sia nel Maghreb sia nel resto del continente, a differenza degli Stati Uniti e dell’Unione Europea ridefinendo in parte il quadro dello scenario politico africano.
In questo contesto gli Stati Uniti – che hanno più di due milioni di contagiati e più di 110 mila morti sotto l’amministrazione Trump – hanno attaccato sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità, togliendole i fondi che le destinava, sia la Cina, inasprendo poi la propria politica di embargo nei confronti di Cuba, così come hanno aumentato le pressioni sul Venezuela e reso più impegnativa la gestione alI’Iran, principale focolaio in Medio-Oriente, al centro delle sanzioni statunitensi dopo l’uscita dall’accordo multilaterale di Vienna siglato dall’amministrazione Obama alcuni anni fa.
Non potrebbe essere più marcata la differenza di approccio e di intervento, come è emerso anche rispetto alla questione della possibilità di godere del vaccino una volta fabbricato: da un lato le esigenze di profitto dell’industria farmaceutica e la priorità data “ai propri cittadini”, dall’altra l’importanza della salute delle persone non solo del proprio Paese.
Anche il discorso del premier cinese Xi all’assemblea dell’OMS lo ha ribadito.
Sta prendendo sempre più piede – anche grazie alla promozione di una petizione internazionale – l’ipotesi di conferire il Primo Nobel per la Pace ai Medici Cubani.
Dovrebbe essere non solo una scelta auspicabile, ma doverosa, se le parole hanno un senso.
I murales dedicati a Torino, Milano e Roma alle brigate dei medici cubani che hanno aiutato il nostro Paese sono stati un primo segnale di doverosa gratitudine nei loro confronti, cui bisognerà dare continuità.
Buona Lettura
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Poche settimane fa, parlavo con Noam Chomsky sulla condizione del mondo. A un certo punto, Noam ha sorriso e ha detto che non sapeva di nessun medico tedesco in Italia, anche se entrambe gli Stati sono nell’Unione Europea; al contrario i medici cubani e cinesi sono arrivati in Italia per combattere la pandemia globale .
I LAVORATORI SANITARI CUBANI
Non desta particolare sorpresa che ci sia una petizione in circolazione per premiare i sanitari cubani con il Nobel per la pace. Il ministero per la salute pubblica cubano ha rapidamente mobilitato la brigata Henry Reeve per portare le loro considerevoli capacità in alcune nazioni, da Andorra al Venezuela.
La brigata ha ricevuto il premio alla memoria del dottor Lee Jong-Wook dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 2017 per il suo lavoro contro l’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale. Il premio fu ricevuto dal dottor Felix Baez, che lavorò in Pakistan dopo il terremoto del 2005 e poi nel 2014 andò in Sierra Leone per combattere l’Ebola; il dottor Baez fu contagiato dall’ebola e, dopo essere stato curato in Svizzera e a Cuba, tornò in Sierra Leone per completare la sua missione.
Le radici dell’internazionalismo sanitario cubano affondano direttamente all’inizio della rivoluzione cubana nel 1959. Anche se i medici lasciarono la nazione dopo la rivoluzione, il popolo cubano ha risposto in modo coraggioso a un terremoto a Valdivia, Cile, nel maggio del 1960; una brigata cubana di medici di emergenza arrivarono in Cile e allestirono 6 ospedali da campo in campagna. Questo fu l’inizio di un processo che avrebbe incluso l’assistenza sanitaria nelle guerre di liberazione in Vietnam, Nicaragua, Angola e Algeria, e la formazione medica per studenti da tutto il mondo
La chiave dell’internazionalismo medico di Cuba è stata la formazione di personale medico in tutto il mondo oltre all’inviare medici e infermieri cubani. Dal 2005, la scuola di medicina dell’America latina con sede all’Avana ha formato più di 29.000 medici provenienti da più di 100 nazioni. Molti di questi medici sono ora in prima linea per combattere il Covid-19 in tutto il mondo. Per esempio, il dottor Patrick Delly – direttore del laboratorio nazionale di epidemiologia di Haiti – sta guidando lo sforzo per rompere la catena dell’infezione ad Haiti.
I SANITARI CINESI
La repubblica popolare cinese ha inviato un team medico fuori dai propri confini per la prima volta nel 1963, quando 24 medici arrivarono in Algeria ad operare nella nuova nazione. Da allora la Cina ha costruito ospedali e centri medici in Algeria e ha curato circa 2 milioni di pazienti in quella nazione. Da metà maggio un gruppo di medici cinesi con capacità di trattare i pazienti Covid-19 ha lavorato in Algeria.
Pochi anni fa su un treno da Fez a Rabat, incontrai un gruppo di medici cinesi che era di stazza in Marocco.
Questi medici erano parte della 165esima missione sanitaria cinese e hanno lavorato negli ospedali pubblici nelle città di montagna di Chefchaouen e Taza, in Marocco. Loro mi dissero che le autorità cinesi e marocchine stavano cercando di accordarsi per un centro di medicina tradizionale a Casablanca.
Durante la pandemia la Cina ha mandato diversi voli con forniture medicali in Marocco per combattere la pandemia; il personale medico cinese, già in Marocco per la sua missione, continua a lavorare per contenere il Covid-19.
La Cina ha raggiunto molta esperienza nel suo sforzo contro il virus e la malattia e ora ha mandato esperti e gruppi di medici nelle nazioni di tutto il mondo dall’Iran al Burkina Faso al Venezuela. In Sudan per esempio la 35esima missione medica cinese ha tenuto un forum informativo all’ospedale Omdurman, dove Zhou Lin – a capo del team cinese – ha consigliato lo staff di proteggersi dal virus e di insegnare alle persone come prevenire la diffusione del virus. Gli aiuti pratici sono arrivati con la donazione di 400.000 mascherine chirurgiche e altro materiale.
La pratica cinese di internazionalismo medico è coordinata dall’agenzia cinese per la cooperazione allo sviluppo internazionale, ma è largamente lasciata ai governi provinciali. Lo slogan è “una provincia, una nazione” con le provincie gemellate con alcune nazioni, per esempio la provincia di Zhejiang è gemellata con l’Italia e la provincia di Jiangsu con il Venezuela.
Un punto chiave della solidarietà è l’accresciuta partecipazione della Cina al fianco del popolo palestinese. Un team di esperti medici creato dalla commissione per la salute pubblica cinese è arrivato in Palestina l’11 giugno. Hua Chunying, del ministero degli esteri cinese, ha detto che il gruppo rimarrà in Palestina per una settimana e darà suggerimenti sul “controllo dell’epidemia, la diagnosi clinica, il trattamento e i test di laboratorio”. Questo avviene quando la Cina ha contribuito con un milione di dollari alla UNRWA, l’agenzia ONU che lavora per dare ai palestinesi i servizi di base.
LA COLLABORAZIONE CINESE E CUBANA
Il primo gennaio 2020, mentre la pandemia si stava sviluppando, Cina e Cuba hanno inaugurato il Centro per l’Innovazione biotecnologica sino-cubano nella provincia di Human. Questa collaborazione dura da più di due decenni, da quando i due stati allestirono la Changchun Heber biological technology ldt. A Changchun (provincia di Jilin, Cina) nel 2003. L’Interferone alfa 2B (Ifnrec), uno dei medicinali chiave usato per combattere il Covid-19 è prodotto da questa azienda. Il farmaco è stato sviluppato la prima volta nel 1981 contro la febbre Dengue a Cuba, ma da allora è stato usato contro l’HIV-AIDS, l’epatite B e C e contro la papillomatosi respiratoria. Questo farmaco è stato largamente usato, insieme alla medicina tradizionale cinese, per curare i pazienti Covid-19 in Cina.
La battaglia di Cuba contro il Covid-19 sull’isola è stata esemplare nonostante il blocco imposto dagli USA.
La Cina ha mandato molte donazioni all’isola, inclusi camici protettivi, mascherine chirurgiche e termometri a infrarossi; alcuni di queste donazioni sono arrivate dal governo, ma altre sono state fatte da enti del settore pubblico come per esempio l'azienda di Zhengzhou Yutong – uno dei più grandi produttori di autobus al mondo.
SOLIDARIETÀ SOCIALISTA
È tipico delle persone dalla mentalità ristretta come il presidente USA Donald Trump e il presidente del Brasile Jair Bolsonaro ignorare la loro incompetenza nel avere a che fare con il problema invece di puntare il dito contro gli altri. Trump ha preso l’abitudine di incolpare la Cina; il figlio di Bolsonaro – Rodrigo – ha seguito Trump nel twittare che il partito comunista cinese è da incolpare per il virus. Questi governi hanno trovato un rifugio in un altro virus odioso, la xenofobia (in particolare, la sinofobia)
Cina e Cuba, d'altro canto, hanno – come altre nazioni socialiste – preso a cuore lo slogan dell’OMS “solidarietà, non discriminazione”. Deng Boqing, il vice presidente della Agenzia per la cooperazione allo sviluppo internazionale cinese, ha detto: “ricambia una goccia d’acqua con lo zampillo di una fontana.” Egli intendeva che la risposta della Cina alle altre nazioni non sarà misurata da cosa hanno fatto per la Cina (la goccia d’acqua) ma da quello di cui queste nazioni hanno bisogno (la fontana); questa è la vecchia idea marxista “da ognuno secondo le proprie capacità ad ognuno secondo i propri bisogni”. La Cina, ha detto Deng Boqing, segue “il principio di fare quello che possiamo e di farlo al nostro meglio”.
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