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22/06/2020

Poliziotto razzista, non è un caso isolato


Una delle infamie degli aguzzini nazisti nei campi di concentramento era costringere i prigionieri a picchiarsi tra loro. Per questi assassini era il massimo dello spasso, era la dimostrazione che loro dominavano su esseri inferiori.

Questo orrore si è riprodotto ad Agrigento per opera di un poliziotto della Repubblica Italiana, che dovrebbe essere guidata dalla Costituzione antifascista, il quale ha costretto dei giovani tunisini a schiaffeggiarsi e poi, non contento del risultato, si è dato da fare con le proprie mani.

Niente minimizzazioni o derubricazioni al caso isolato di una rarissima mela marcia. Questo comportamento oltraggioso verso la civiltà ed il genere umano non è una ragazzata, bensì il prodotto organico di un razzismo e di una violenza che sono diventati componente di fondo nei comportamenti normali delle nostre polizie.

Avete mai sentito un poliziotto italiano dare del lei ad una persona di pelle scura cui venivano chiesti i documenti? “Favorisca i documenti” è una frase classica della nostra polizia che si applica solo agli italiani bianchi. Da qui tutto il resto.

Il caso infame nella caserma di Agrigento fa emergere una realtà diffusa e scandalosa di violenze razziste poliziesche che possono dilagare per la connivenze, la copertura, la complicità di tutto il potere politico. Che si divide tra chi sta con Trump e chi afferma: tra noi non potrebbe mai succedere, quando invece succede, quotidianamente.

La realtà è che stiamo marciando a passi da gigante verso Minneapolis ed Atlanta e che da noi come negli USA è sacrosanto un movimento come Black Lives Matter, che inchiodi alle proprie responsabilità le violenze razziste della polizia e le loro coperture istituzionali. Prima di arrivare ai massacri degli Stati Uniti.

Il poliziotto razzista di Agrigento va cacciato e incriminato, ma tutte le connivenze e le complicità che gli hanno permesso di agire così devono venire alla luce.

Perché George Floyd è anche qui da noi.

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