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29/06/2020

Dal Tav alla pedemontana lombarda, la lotta contro le grandi opere inutili

Domenica 21 giugno in Valsusa le ruspe sono tornate al lavoro e dal giorno seguente il movimento no TAV è in presidio permanente per fermare la ripresa dei lavori e l’allargamento del cantiere di quella che è la grande opera per antonomasia.

Contestata da una popolazione in lotta da oltre vent’anni contro un modello di sviluppo caratterizzato dal conseguimento del profitto dei pochi soliti, noti a costo della devastazione di interi territori, con uno spreco di denaro pubblico che potrebbe essere ben diversamente utilizzato.

Il tutto nonostante l’ormai dimostrata inutilità dell’opera rispetto agli scopi dichiarati, e nonostante le bocciature che arrivano anche dalla Corte dei conti europea.

Ma il partito trasversale del PIL non sta mai con le mani in mano. È il partito a cui hanno da sempre aderito Confindustria, il PD, la Lega, CL, onnipresente in particolare nella gestione degli affari lombardi, e a cui è iscritto a buon diritto ormai anche il Movimento 5 Stelle, come dimostra la disinvolta retromarcia governista proprio sulla TAV Torino-Lione.

Prima ancora che il comitato di esperti guidato da Colao rendesse pubblico il ‘piano per il rilancio del paese’ che ha, guarda caso, tra i punti fondanti la realizzazione di infrastrutture strategiche e l’approvazione di un nuovo codice degli appalti “liberi tutti”, la Giunta lombarda – nel mese di aprile, in piena epidemia da Covid-19 – trovava il tempo per infilare tra le delibere con cui ha gestito catastroficamente la crisi anche la ricapitalizzazione per 150 milioni di euro, diluiti in 5 anni, della società Milano – Serravalle.

Una società controllata dalla Regione stessa, affinché possa ‘girarli’ a sua volta ad un’altra delle proprie controllate, la Società Autostrada Pedemontana Lombarda.

Così, proprio nel momento più critico dell’epidemia da Covid-19 che ha visto in Italia, e non solo, il triste primato della Lombardia per numero di morti e di contagiati e per l’assoluta incapacità della sua classe dirigente, Confindustria non solo trovava terreno fertile nell’evitare il più possibile il fermo delle attività produttive, ma riusciva ad incassare un successo anche in proiezione futura.

La ricapitalizzazione dovrebbe infatti servire a far ripartire l’autostrada che nelle intenzioni collegherebbe gli aeroporti di Malpensa e Orio al Serio, mettendo in comunicazione, nel nord della Lombardia, la provincia di Varese con quella di Bergamo attraverso un percorso di circa 90 km, di cui solo 22 ultimati nel 2015 e oggi in funzione, fino a Lentate sul Seveso.

Da allora i lavori per l’autostrada, già inserita nel dossier infrastrutture di Expo 2015, e ora nel dossier sulle Olimpiadi Invernali del 2026 sono rimasti fermi.

Il progetto dal costo complessivo preventivato (fonte L’Espresso) vicino ai 5 miliardi di euro (di cui 1,2 miliardi già spesi), con i suoi circa 57 milioni di euro a Km, si inserisce al primo posto tra le autostrade più costose d’Italia.

Nel tratto realizzato il traffico, già nel 2017, risultava essere la metà di quello previsto, a causa del pedaggio a km percorso più caro d’Italia, ancora più della BreBeMi disertata dagli utenti per lo stesso motivo. E così i finanziatori privati sono svaniti nel nulla, lasciando il costo interamente sulle spalle della collettività.

Un altro successo del project financing, insomma, al pari della metro M4 milanese, dove il Comune ha dovuto mettere le toppe (leggesi: i milioni di euro) per rimediare agli errori di progettazione dei privati.

Il tratto non ancora realizzato della Pedemontana dovrebbe sorgere in un territorio caratterizzato da elevata densità abitativa, con presenza di importanti vincoli ambientali e con seri rischi per la salute degli abitanti.

Per la realizzazione dell’opera, infatti, andrebbero fatti scavi nelle zone dove sono seppelliti residui di diossina fuoriusciti dal disastro del 10 Luglio 1976 nell’azienda ICMESA di Meda.

A tal proposito i sindaci di Seveso, Barlassina, Cesano Maderno, Bovisio Masciago e Desio, territori che verranno attraversati proprio dalla tratta B2 dell’autostrada ancora non realizzata – di diversi orientamenti politici ma uniti nella difesa del diritto alla salute dei loro concittadini che, detto per inciso, sono forse non a caso quelli che dovrebbero rieleggerli – hanno ottenuto nel settembre del 2019 da un lato una modifica nella metodologia del campionamento del terreno da bonificare e dall’altro che la bonifica venga effettuata oltre i 20 centimetri di scavo nelle maglie, qualora l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale riscontrasse nell’aliquota del campione da essa acquisita concentrazioni elevate di contaminante.

Ma la bonifica ad oggi non risulta iniziata. La tratta B2 da costruire avrà inoltre un forte impatto sull’inquinamento ambientale, in una zona già nota per essere tra le più inquinate di Italia e dove l’elevata concentrazione di polveri sottili ha favorito la diffusione del covid-19, e comporta uno spropositato consumo di suolo.

Per evidenziare tutte queste criticità, ma ancor di più per chiedere che i fondi vengano destinati non a questo tipo di opere, non al servizio del modello di sviluppo che finora è stato praticato, ma alla sanità, all’istruzione, al trasporto locale, partendo da quelli che sono i reali bisogni dei cittadini troppo a lungo trascurati, il Coordinamento No Pedemontana ha organizzato domenica 21 giugno, davanti all’ospedale di Desio, un partecipato presidio, a cui ha preso parte anche Potere al Popolo Milano, che ha poi raggiunto anche Cesano.

Un primo passo per ripartire e cercare di dare nuova linfa a chi intende opporsi al modello delle grandi opere.

Il percorso da fare non sarà semplice e quale sarà il livello dello scontro risulta chiaro già dalle dichiarazioni del governatore Fontana, il 24 giugno, nel corso degli Stati Generali per il patto per lo sviluppo organizzati dalla Regione.

Le entrate correnti nel 2020 si sono ridotte già di 320 milioni di euro per i mancati introiti derivanti dal Bollo auto, dall’Irap e dall’addizionale IRPEF e, se non ci sarà una compartecipazione dello Stato, saranno necessari tagli alle politiche sociali, all’istruzione, alla cultura e alla formazione.

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