Nuova crisi, vecchi schemi. Sul finire degli Stati Generali
si discute su quale sia la ricetta migliore per rilanciare il Paese
dopo il brusco stop imposto dalle misure di contenimento per il Coronavirus. Proprio come accaduto già in passato, la linea di alcuni economisti, nonché del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri,
sembra essere quella di puntare sulla flessibilità del lavoro. E così, a
dieci anni dalla più grande crisi economica dei tempi recenti, la
precarizzazione come soluzione alla disoccupazione sembra ancora essere
un orizzonte percorribile per una buona parte degli esperti.
Dopo le pressioni di Confindustria e la proposta del consigliere del governo
Marco Leonardi – secondo cui bisognerebbe sospendere le causali sui
contratti a tempo determinato per stimolare le assunzioni – è arrivato
anche l’intervento dell’ex presidente INPS Tito Boeri, che in un
commento su La Repubblica ha proposto una ulteriore deregulation dei contratti a termine per contrastare il boom della disoccupazione. L’endorsement di Gualtieri non si è fatto attendere.
Eppure, alcuni studi pubblicati di recente, hanno dimostrato che non
c’è evidenza empirica che una maggiore flessibilità dei contratti porti a
un aumento dei posti di lavoro. Tra quelli più citati c’è l’analisi apparsa sulla Review of Political Economy: nel report, l’economista dell’Università del Sannio Emiliano Brancaccio
e i suoi coautori hanno mostrato come l’88% delle ricerche scientifiche
pubblicate nell’ultimo decennio abbiano smentito l’idea alla base delle
proposte di Boeri e gli altri.
Brancaccio, che in un appello sul Financial Times
pubblicato lo scorso marzo aveva proposto – con altri collegi – anche
una massiccia pianificazione pubblica degli investimenti, ha spiegato a Open quali sono i rischi del ritorno della deregulation del lavoro nell’agenda politica italiana.
Professor Brancaccio, Boeri ha riproposto l’adagio secondo
cui per frenare la disoccupazione c’è bisogno di più contratti a tempo
determinato. Lei ha appena pubblicato uno studio che dimostra il
contrario. Come giudica la proposta di Boeri?
«Per dimostrare che la ricetta di Boeri non ha basi scientifiche
adeguate non è necessario ricorrere al nostro studio, ma basta citare
proprio Boeri. In un libro che pubblicò qualche anno fa insieme a Jan
van Ours, lui stesso ammise che la netta maggioranza delle analisi
empiriche smentiva l’idea che la deregulation del lavoro
aiutasse a stimolare l’occupazione. È stata una delle prime rassegne
della letteratura scientifica in materia ed è curioso che ora non ne
tenga conto.
Ad ogni modo Boeri non è il solo a contraddirsi. Nel nostro studio
ricordiamo che, in una serie di report recenti, persino il Fondo
Monetario Internazionale, l’OCSE e la Banca Mondiale hanno ammesso che
l’idea della flessibilità del lavoro come propulsore dell’occupazione
non trova adeguato riscontro nell’evidenza empirica. Eppure queste
istituzioni continuano ad appoggiare le politiche di deregulation del lavoro».
Perché si fatica tanto ad abbandonare questa convinzione?
«In tutti i campi della scienza si combatte contro i pregiudizi dei
vari Simplicio di turno, e le novità si impongono solo dopo durissime
lotte per evadere dai modi abituali di pensiero. In economia le cose
sono persino più complicate, perché la battaglia delle idee è
particolarmente condizionata dagli interessi materiali in gioco. Basti
notare una cosa: l’evidenza scientifica mostra che la flessibilità dei
contratti di lavoro indebolisce i sindacati, riduce il potere
contrattuale dei lavoratori e quindi comprime i salari e sposta la
distribuzione del reddito verso i profitti e le rendite. È chiaro allora
che possono sussistere forti interessi in difesa della flessibilità,
anche se questa non contribuisce in alcun modo a creare occupazione».
Anche il ministro dell’economia Gualtieri ha aperto alla
proposta di Boeri e di Confindustria di abolire le causali nei contratti
temporanei. A detta loro, in questo modo le imprese assorbirebbero, almeno
in parte, i disoccupati
«Non succederà nulla di tutto questo. Gualtieri potrà precarizzare i
contratti quanto vuole per far contenta Confindustria, ma non ci sarà
nessun rilancio dell’occupazione. La verità è che le imprese assumono
solo se le catene della produzione funzionano regolarmente, se c’è
domanda sufficiente per le loro merci, e se è garantita la loro
solvibilità. Al momento queste condizioni non sussistono».
Gli Stati Generali si avviano verso la fine e il governo sta
per presentare nuove misure per il rilancio economico. Pensa che le
proposte discusse a Villa Pamphilj segnino davvero una svolta?
«No. La ricetta che ha suscitato maggiore interesse, dalle opposizioni a pezzi di maggioranza e anche dentro il governo, è quella di Colao,
di ripartire con i condoni: dai capitali illegalmente esportati
all’estero fino al lavoro nero. In fondo è solo l’ennesima forma di
deregulation, la più nefasta di tutte. Se la discussione di politica
economica resta a questi livelli infimi, la crisi ci colpirà in modo violentissimo».
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