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20/06/2020

Contro la crisi servono più contratti a termine? L’economista Brancaccio: «L’88% delle ricerche scientifiche dice il contrario»

Nuova crisi, vecchi schemi. Sul finire degli Stati Generali si discute su quale sia la ricetta migliore per rilanciare il Paese dopo il brusco stop imposto dalle misure di contenimento per il Coronavirus. Proprio come accaduto già in passato, la linea di alcuni economisti, nonché del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, sembra essere quella di puntare sulla flessibilità del lavoro. E così, a dieci anni dalla più grande crisi economica dei tempi recenti, la precarizzazione come soluzione alla disoccupazione sembra ancora essere un orizzonte percorribile per una buona parte degli esperti.

Dopo le pressioni di Confindustria e la proposta del consigliere del governo Marco Leonardi – secondo cui bisognerebbe sospendere le causali sui contratti a tempo determinato per stimolare le assunzioni – è arrivato anche l’intervento dell’ex presidente INPS Tito Boeri, che in un commento su La Repubblica ha proposto una ulteriore deregulation dei contratti a termine per contrastare il boom della disoccupazione. L’endorsement di Gualtieri non si è fatto attendere.

Eppure, alcuni studi pubblicati di recente, hanno dimostrato che non c’è evidenza empirica che una maggiore flessibilità dei contratti porti a un aumento dei posti di lavoro. Tra quelli più citati c’è l’analisi apparsa sulla Review of Political Economy: nel report, l’economista dell’Università del Sannio Emiliano Brancaccio e i suoi coautori hanno mostrato come l’88% delle ricerche scientifiche pubblicate nell’ultimo decennio abbiano smentito l’idea alla base delle proposte di Boeri e gli altri.

Brancaccio, che in un appello sul Financial Times pubblicato lo scorso marzo aveva proposto – con altri collegi – anche una massiccia pianificazione pubblica degli investimenti, ha spiegato a Open quali sono i rischi del ritorno della deregulation del lavoro nell’agenda politica italiana.

Professor Brancaccio, Boeri ha riproposto l’adagio secondo cui per frenare la disoccupazione c’è bisogno di più contratti a tempo determinato. Lei ha appena pubblicato uno studio che dimostra il contrario. Come giudica la proposta di Boeri?

«Per dimostrare che la ricetta di Boeri non ha basi scientifiche adeguate non è necessario ricorrere al nostro studio, ma basta citare proprio Boeri. In un libro che pubblicò qualche anno fa insieme a Jan van Ours, lui stesso ammise che la netta maggioranza delle analisi empiriche smentiva l’idea che la deregulation del lavoro aiutasse a stimolare l’occupazione. È stata una delle prime rassegne della letteratura scientifica in materia ed è curioso che ora non ne tenga conto.

Ad ogni modo Boeri non è il solo a contraddirsi. Nel nostro studio ricordiamo che, in una serie di report recenti, persino il Fondo Monetario Internazionale, l’OCSE e la Banca Mondiale hanno ammesso che l’idea della flessibilità del lavoro come propulsore dell’occupazione non trova adeguato riscontro nell’evidenza empirica. Eppure queste istituzioni continuano ad appoggiare le politiche di deregulation del lavoro».

Perché si fatica tanto ad abbandonare questa convinzione?

«In tutti i campi della scienza si combatte contro i pregiudizi dei vari Simplicio di turno, e le novità si impongono solo dopo durissime lotte per evadere dai modi abituali di pensiero. In economia le cose sono persino più complicate, perché la battaglia delle idee è particolarmente condizionata dagli interessi materiali in gioco. Basti notare una cosa: l’evidenza scientifica mostra che la flessibilità dei contratti di lavoro indebolisce i sindacati, riduce il potere contrattuale dei lavoratori e quindi comprime i salari e sposta la distribuzione del reddito verso i profitti e le rendite. È chiaro allora che possono sussistere forti interessi in difesa della flessibilità, anche se questa non contribuisce in alcun modo a creare occupazione».

Anche il ministro dell’economia Gualtieri ha aperto alla proposta di Boeri e di Confindustria di abolire le causali nei contratti temporanei. A detta loro, in questo modo le imprese assorbirebbero, almeno in parte, i disoccupati

«Non succederà nulla di tutto questo. Gualtieri potrà precarizzare i contratti quanto vuole per far contenta Confindustria, ma non ci sarà nessun rilancio dell’occupazione. La verità è che le imprese assumono solo se le catene della produzione funzionano regolarmente, se c’è domanda sufficiente per le loro merci, e se è garantita la loro solvibilità. Al momento queste condizioni non sussistono».

Gli Stati Generali si avviano verso la fine e il governo sta per presentare nuove misure per il rilancio economico. Pensa che le proposte discusse a Villa Pamphilj segnino davvero una svolta?

«No. La ricetta che ha suscitato maggiore interesse, dalle opposizioni a pezzi di maggioranza e anche dentro il governo, è quella di Colao, di ripartire con i condoni: dai capitali illegalmente esportati all’estero fino al lavoro nero. In fondo è solo l’ennesima forma di deregulation, la più nefasta di tutte. Se la discussione di politica economica resta a questi livelli infimi, la crisi ci colpirà in modo violentissimo».

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