Il Medico di Medicina Generale (come si chiama oggi) è una diretta discendenza del Medico della Mutua. La sua istituzione risale a una legge del 1978 (883), conosciuta come legge Anselmi, legge che istitutiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Nonostante le modifiche intervenute negli anni, e lo stravolgimento dell’impianto originario della legge Anselmi, il ruolo del Medico di Fiducia o della Mutua è tuttora disciplinato dall’articolo 48 della suddetta legge.
Il medico della mutua non è un dipendente pubblico. Lavora in convenzione con lo Stato, ovvero con i suoi enti territoriali. L’uniformità del suo trattamento economico e normativo è garantita sull’intero territorio nazionale da convenzioni (ACN), aventi durata triennale, stipulate tra il governo, le regioni, l’associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e le organizzazioni sindacali.
Il primo punto che questi accordi devono definire è il rapporto tra abitanti e assistiti, ovvero il numero massimo di assistiti che ogni Medico può iscrivere nel suo tabulario, onde evitare il trattamento industriale del paziente, trattamento durato sino agli anni '80, e raccontato dal film di Luigi Zampa, interpretato da Alberto Sordi, Il medico della mutua.
Prima di passare ai numeri, bisogna precisare 1) che l’art. 48 parla, giustamente, di assistibili (e non di assistiti – il medico parecchi “assistibili” non li vede mai) e 2) che gli assistibili sono divisi un due fasce di età: 0-13, di competenza (prevalentemente) del pediatra, e tutti gli altri, di competenza del Medico della Mutua.
L’articolo 39 dell’accordo del 2009, il quale riprende e integra l’ACN del 2005, stabilisce che il numero massimo di assistibili per medico non può superare le 1.500 unità.
Il medico (art. 36) deve garantire l’apertura dello studio da lunedì a venerdì, con previsione di apertura per almeno due fasce pomeridiane o mattutine alla settimana e comunque con apertura il lunedì, secondo un orario congruo e comunque non inferiore a: 5 ore settimanali fino a 500 assistiti; 10 ore settimanali da 500 a 1000 assistiti; 15 ore settimanali da 1000 e 1500 assistiti.
Secondo il rapporto del ministero della salute, diffuso il 18 settembre 2019, rapporto nel quale il medico della mutua si trasforma in medico di base o medico di famiglia, il numero medio di assistibili per medico varia da regione a regione.
Da un massimo di 1.613 assistibili della Provincia di Bolzano (che ha un accordo che permette di sforare il tetto nazionale), si passa ad un minimo di 1.037 assistibili per la Regione Basilicata. La Lombardia si piazza in seconda posizione, con una media di 1.400 assistibili per medico, seguono Emilia Romagna (1.303), Provincia di Trento (1.294), Valle d’Aosta, (1285) e Piemonte (1272).
Le regioni del Sud superano appena quota 1.000, mentre le altre regioni oscillano tra i 1.100 e i 1.200 assistibili. Si tratta di medie, ovviamente. Ed è facile trovare medici di montagna con 700 assistibili e medici dei centri urbani saturi di assistibili.
Per quanto riguarda il conto profitti e perdite la materia è meno trasparente.
La paga di un medico della mutua (art. 59) è formata da più voci, e varia, in minima parte, da regione a regione. Secondo calcoli minuziosi, aggiornati al 2015 (quotidianosanita.it), integrati con il recupero degli arretrati previsto dall’ACN 2018, si ha, per un medico con il massimo di assistibili, un incasso annuo di € 84.664 lordi (in Lombardia un medico incassa dallo Stato € 79.020).
Si tratta di un compenso dal quale vanno sottratte le voci di spesa, e in primis la quota dei contributi previdenziali obbligatori, pari al 21% dei compensi (NETTI), di cui il 10,375% a carico degli Istituti del Servizio Sanitario Nazionale e il 10,625% a carico del medico.
Non si tratta di soldi buttati dalla finestra, si tratta di some accumulate sul conto pensione, somme aumentate dal contributo pubblico, sino a costituire un gruzzolo che si trasformerà in una pensione di tutto rispetto. In più, si tratta di contributi deducibili dal reddito imponibile.
Se consideriamo un povero medico del centro Italia, un medico umbro, e applichiamo al suo reddito (medio) di € 64.612 il regime fiscale forfettario, secondo quanto conteggiato correttamente da EMPAM, il medico forfettario, una volta dedotta dal reddito lordo (ridotto al 78%) la cifra di € 6.865, pagata alla previdenza obbligatoria, ottiene un reddito imponibile pari a € 43.532, il quale, tassato al 15%, dà un’imposta pari a € 6.530.
Dunque, ricapitolando, sottraendo all’incasso lordo di € 64.612 il contributo obbligatori di € 6.865 e le tasse di € 6.530, il medico forfettario ha un reddito netto di 51.217, che diviso per 13 mensilità, fa la bellezza di 3.940 euro.
Si tratta pur sempre di un reddito lordo, dirà il povero medico forfettario umbro. Perché da esso vanno sottratti il costo dell’ambulatorio, della luce, del telefono e di internet.
Ora, non mi dilungo in questi calcoli, tenendo conto che il costo di connessione internet è pari a 8 al mese (Iliad), la luce a 40 euro al mese (Enel) il computer (ammortizzato su 8 anni) a € 0,51 mensili. Rimane il locale. Supponendo che, mediamente, il locale (di solito un negozio) costi 50 mila euro, e che la vita professionale di un medico forfettario duri 35 anni, questo locale inciderebbe mensilmente per 119 euro.
Tuttavia, per essere giusti, bisogna considerare che non si tratta di un bene che, alla fine del suo ciclo di ammortamento, viene rottamato, ma di un bene che, in genere, conserva il valore di acquisto. Dunque, al netto della manutenzione (tra l’altro ripagata in buona parte dallo Stato) il costo dello studio non può essere dedotto. Si possono dedurre solo 48,51 euro di costi ordinari. Per conoscere al paga mensile netta, fate voi i conti.
In questi mesi i medici condotti o della mutua sono assurti all’onore delle cronache per il loro impegno temerario nella lotta contro il Covid-19. Qualcuno è rimasto sul terreno, lasciando un vuoto nella comunità degli assistiti. Ora si pensa di potenziare questo servizio, il quale dovrebbe essere la vera barriera d’acciaio contro una eventuale nuova ondata del Virus.
Ma chi sono questi medici? Come lavorano? Ce la faranno a sostenere il peso di una seconda ondata?
In Lombardia, regione virtuosa – quando si guarda il conto economico, e le perdite non sono persone, ma soldi – il rapporto medici-residenti è il più alto d’Italia. In Lombardia, dove vivo, si fa presto a diventare “virtuosi”, sovraccaricando i medici di pazienti.
L’altra mattina sono andato dal mio medico. È una donna, una signora sulla sessantina. Di recente il sindaco le ha ristrutturato un appartamento delle case popolari, situato sopra la farmacia comunale. Immagino sia stato un buon affare per entrambi.
Ieri ho telefonato – non si può andare direttamente, bisogna prendere un appuntamento. Dopo un interrogatorio surreale sui sintomi da Covid-19, mi ha fissato un appuntamento per oggi. Quando sono arrivato il telefono già squillava, e ha squillato per tutto il tempo che sono stato lì (4 minuti, se si esclude il tempo che la dottoressa ha passato al telefono).
Aveva già indossato due maschere e una visiera di plastica. E si vedeva che soffriva, che faticava a respirare. Si stava alzando per venire dalla mia parte quando ha squillato il telefono. Ha preso il cordless e ha risposto, era una persona che credeva di essere positiva (non ho potuto non ascoltare).
Stringendo il telefono tra la spalla e l’orecchio ha cercato di digitare sulla tastiera i dati da inserire nel sistema regionale (?) di monitoraggio, me le è scivolato il telefono. Nel tentativo di afferrarlo ha pigiato il tasto invio, e l’informativa per la quarantena è partita, anche se non poteva partire, perché la quarantena inizia dopo il tampone, e non prima – così ha detto.
Volevo alzarmi per darle una mano, per tenere il telefono, compilare il form al computer. Mi sentivo a disagio, persino il mio malessere era scomparso.
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