La prima è ordinaria amministrazione, cronaca quotidiana, e recita: “Coronavirus, in Germania maxi focolaio nel mattatoio: 1.533 malati, l’allarme di Merkel”. La seconda, dalla Faz (Frankfurter Allgemeine Zeitung), sintetizza una sterminata intervista al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann: “La depressione sarà ora probabilmente alle nostre spalle“.
La contraddizione è evidente. Da un lato c’è la realtà biofisica del mondo, in preda ad una pandemia che ogni giorno fa segnare globalmente nuovi record e che anche lì dove sembrava contenuta con qualche successo (in Germania ci sono stati comunque fin qui circa 192.000 contagiati, ma “solo” 8.900 morti, ufficialmente) si ripresenta in dimensioni molto preoccupanti.
Dall’altro l’asettica atmosfera dell’iper-attico di una banca centrale, dove queste “minuzie” vengono semplicemente ignorate, preferendo di gran lunga le antiche certezze ordoliberiste sul miglior modo di governare un’economia. Rispetto alle quali la crisi attuale appare come una banale turbativa momentanea, da cui sarebbe bene non farsi distrarre troppo.
Ad ogni essere umano raziocinante appare piuttosto chiaro il legame, quantomeno temporale, tra i due fatti (la pandemia e la crisi economica). E anche Weidmann non nega che ci sia un momento problematico da affrontare. Anzi, l’evento “extra-economico”, il Covid-19, gli permette di glissare sulla recessione già iniziata prima del contagio e raccontare la favoletta rassicurante della “causa esogena” che non mette affatto in discussione la “bontà” del sistema.
Data la lunghezza dell'intervista, preferiamo concentrarci su alcuni degli aspetti più rilevanti – e rivelatori – di una “concezione del mondo” che ha ed avrà grande peso nella gestione di questa crisi a livello europeo. Un presidente di banca centrale è un politico con competenze tecniche elevate, e quindi i suoi discorsi hanno obbiettivi che vanno letti su almeno due piani.
Lo scontro Corte Suprema tedesca - Bce
È l’elemento politicamente più rilevante per l’architettura istituzionale europea. Com’è noto, la Corte di Karlsruhe ha dato tre mesi di tempo alla Bce per giustificare la propria politica di acquisti di titoli di Stato, obiettando che l’istituto di Francoforte sia andato “oltre i propri poteri”, adottando in realtà una politica di finanziamento degli Stati – cosa vietata dai trattati europei – invece che una politica solo monetaria.
Il 5 agosto scade l’ultimatum. È escluso che la Bce – organo sovranazionale dipendente da trattati internazionali liberamente sottoscritti – possa presentarsi in veste di quasi-imputato davanti a una corte nazionale (è l’equivalente della nostra Corte Costituzionale).
Ma un eventuale, non impossibile, passo avanti nell’escalation metterebbe proprio la Bundesbank in una posizione difficile. Non sarebbe infatti più legalmente autorizzata a partecipare al programma di acquisti della Bce. E va da sé che senza la partecipazione tedesca quel programma difficilmente può restare in piedi.
Sul punto Weidmann, che non nasconde affatto di essere stato fieramente contrario alla decisione presa dalla Bce fin dai tempi di Mario Draghi (“whatever it takes”), sollecita atti formali intermedi, che allontanino l’esplosione della contraddizione ma mantengano forte la contrarietà tedesca.
Sa meglio di noi che sono in ballo trattati decisivi, senza i quali l’Unione Europea rischia la dissoluzione. Ma sa anche che contro la Germania, nella Ue, non si può decidere nulla. Dunque tiene sulla corda i partner perché addivengano a più miti consigli su una lunga serie di dossier aperti (dal recovery fund alle stesse scelte della Bce).
I capisaldi dell’ordoliberismo
La puntigliosa riaffermazione dei pilastri teorici della visione ordoliberista suona davvero inquietante nel mentre la pandemia dispiega i suoi effetti sul terreno economico. Li ricordiamo per i non addetti ai lavori:
a) la banca centrale non deve finanziare lo Stato, né a livello nazionale né comunitario;
b) lo Stato deve soltanto creare l’ambiente più favorevole al business, ma non deve fare “l’imprenditore”, neanche in condizioni drammatiche come quelle attuali (i “salvataggi” sono per lui altra cosa, e non dovrebbero incidere sull’azionariato);
c) l’obbiettivo di tutta la politica monetaria è e continua ad essere “tenere sotto controllo l’inflazione”, anche se lui stesso è costretto a riconoscere che questa non è più un problema da quasi 30 anni e, anzi, le prospettive a medio termine sono per una diminuzione dei prezzi.
Ricordiamo che nel normale neoliberismo occidentale la situazione è differente. La Federal Reserve statunitense ha due obbiettivi, invece di uno; oltre che dei prezzi deve tener conto anche del tasso di disoccupazione (con dati statisticamente truccati, ma questo è un altro discorso). E la Banca di Inghilterra sta tranquillamente finanziando lo Stato, rompendo il tabù introdotto da Margareth Thatcher.
Il controllo dell’Unione Europea
Nella visione di Weidmann continua a non essere prevista alcuna “condivisione del debito”, cioè nessun “eurobond”. E nessuna “riforma” gli appare necessaria. Il quadro legale, secondo lui, è perfettamente in grado di rispondere alle esigenze eccezionali che ci stanno di fronte.
Il che significa una sola cosa: i Paesi che “hanno margini accumulati nel tempo” possono permettersi di spendere quel che serve per fronteggiare la crisi (Germania, Olanda, Austria, pochi altri). Gli altri – come l’Italia, arguisce ovviamente l’intervistatore – devono invece limitarsi al massimo a mettere al più presto in atto le “riforme” che consentano di ridurre il debito... mentre la situazione richiede di alzarlo per un arco di tempo imprevedibile, ma comunque lungo.
Le asimmetrie strutturali della Ue, scriviamo spesso, sono utilissime ad accrescere le differenze, invece che ad appianarle. E infatti l’Italia è entrata nel regime monetario dell’euro in discrete condizioni e con un debito pubblico molto più basso (vicino al 100% del PIL), per ritrovarsi a fine 2019 in condizioni già pietose. Il coronavirus sta ora facendo il resto.
Ma veder rivendicare da Weidmann questa funzione asimmetrica dei trattati dovrebbe aprire gli occhi anche al più entusiasta degli “europeisti acritici”. Da questo quadro istituzionale non arriverà mai nessuna “solidarietà”, tantomeno le decine di miliardi “a fondo perduto” di cui si favoleggia sui media mainstream. Solo prestiti, e a condizione che siano varate quelle famose “riforme” che affossano da decenni il nostro sistema industriale, il welfare, l’istruzione, ecc.
Si potrebbe andare avanti a lungo, perché i temi toccati dall’intervista sono molti. E ci torneremo certamente sopra con altri articoli. Ma una conclusione appare chiara fin da adesso: nonostante lo sconquasso della crisi, nella Ue non c’è niente da cambiare. Viviamo nel migliore dei mondi possibili, per la borghesia europea.
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“La depressione sarà ora probabilmente alle nostre spalle”
Intervista a Jens Weidmann condotta da Patrick Bernau, Gerald Braunberger e Georg Meck. *
Signor Weidmann, quanto sarà grave la crisi? Quando avremo superato il peggio?
Negli ultimi mesi abbiamo vissuto il più forte crollo economico della storia della Repubblica Federale Tedesca. La produzione economica è sicuramente diminuita molto più drasticamente nel secondo trimestre che nel primo. La buona notizia è che la depressione è ormai alle nostre spalle e che le cose si stanno riprendendo. Ma il forte calo sarà seguito solo da una ripresa relativamente graduale.
Quindi la politica di salvataggio sta funzionando? I responsabili politici hanno fatto la cosa giusta?
Sì, nel bel mezzo di una situazione difficile, i responsabili politici hanno reagito rapidamente e con determinazione per proteggere le aziende e i dipendenti. È stata la cosa giusta da fare. Le ultime decisioni del governo federale stanno ora dando una forte spinta all’economia. Questo dovrebbe anche creare fiducia: per i consumatori per gli acquisti e per le imprese per gli investimenti. È importante che i problemi non indeboliscano troppo l’economia. Molto è stato fatto per evitare che ciò accada.
E se, come alcuni temono, la grande ondata di fallimenti che si abbatterà su di noi in autunno, i politici dovranno alzare la posta in gioco?
Fin dall’inizio era chiaro che gli sviluppi futuri sarebbero stati difficili da prevedere e che probabilmente avremmo dovuto riadattare ripetutamente la nostra risposta. Quanto più velocemente batteremo la pandemia, tanto più basso sarà il rischio che la crisi economica si radichi o addirittura si intensifichi. Dobbiamo evitare che difficoltà temporanee diventino problemi permanenti. Le imprese che sono fondamentalmente sane non devono fallire. Per questo motivo è necessario agire rapidamente. Il governo tedesco ha certamente ancora margine di manovra per fornire ulteriore sostegno, se necessario.
La misura principale del pacchetto di stimolo economico è la riduzione temporanea dell’IVA. Si tratta di un modo adeguato per rilanciare l’economia?
Sì, assolutamente. La riduzione delle imposte aiuta l’economia, perché si trasmette ai clienti, rafforza il potere d’acquisto dei consumatori e stimola la spesa, e perché le imprese sono in grado di trattenere una parte maggiore dei loro guadagni, il che le aiuterà a riacquistare terreno in una situazione difficile. È importante che le misure siano mirate e temporanee. In questo modo, anche l’onere per i bilanci pubblici non sarà più che temporaneo, e i deficit diminuiranno di conseguenza.
Non c’è il rischio che il governo si abitui all’elevato livello di indebitamento, tanto più che sembra non costare nulla grazie al tasso d’interesse zero?
Questo pericolo esiste davvero. Ci si abitua rapidamente alle grandi somme che ora vengono bandite. Questo rende ancora più importante ricordare che le nostre finanze pubbliche sane sono una condizione cruciale per un governo forte e capace di agire. Per questo motivo siamo in grado di mettere in piedi una forte difesa contro la crisi. Ma dopo, sarà fondamentale per noi tornare a un bilancio solido.
Nella crisi, lo Stato si sta affermando come un soggetto imprenditoriale; il governo federale sta investendo nella compagnia aerea tedesca di lunga data Lufthansa e nell’avvio del vaccino di Curevac. E nessuno fa storie.
Vorrei fare una distinzione tra due cose. Da un lato, è giusto che il governo non fornisca solo liquidità, ma anche capitali per evitare il crollo di imprese fondamentalmente sane …
Pertanto, non solo dovrebbe fornire iniezioni di denaro contante o concedere prestiti, ma anche fornire grandi somme sotto forma di proprietà statale in singoli casi.
… allo stesso tempo, però, mi preoccupa vedere le richieste di interventi di politica industriale diventare più popolari. Questo non dovrebbe essere lo standard per i tempi normali. Dopo tutto, non sono state la politica industriale aggressiva e gli investimenti statali a mettere l’economia tedesca in una posizione così buona prima della crisi. Piuttosto, le sue buone condizioni come luogo per fare affari, come dipendenti motivati e altamente qualificati e un efficiente sistema di governo, sono ciò che distingue la Germania. La concorrenza è il miglior presupposto per le imprese innovative e prospere – e per consentire ai consumatori e ai dipendenti di condividere una maggiore prosperità.
Il governo dovrà salvare di nuovo anche le banche? Quanto sarà stabile il settore finanziario se un numero sempre maggiore di prestiti inizierà ad essere inadempiente?
A differenza della crisi finanziaria, attualmente le banche svolgono un ruolo di stabilizzazione. Hanno ampliato notevolmente i loro prestiti alle imprese – anche grazie alle garanzie governative sui prestiti. Ma lo stesso avvertimento vale anche in questo caso: più dura la crisi, maggiori sono i rischi per i bilanci delle banche.
Questo potrebbe causare il crollo di alcune banche?
Il fatto che le autorità di vigilanza e di regolamentazione abbiano imparato importanti lezioni dalla crisi finanziaria sta dando i suoi frutti. Questo ha reso le banche molto più stabili e ha dato loro una base di capitale abbastanza confortevole. E anche le imprese hanno riserve di capitale più grandi. Inoltre, i politici stanno attualmente adottando misure di ampio respiro per sostenere l’economia. Alla luce di tutto questo, sono ottimista anche per quanto riguarda le banche.
Quanto è preoccupato dal fatto che i prezzi di alcuni beni stiano salendo rapidamente in questo momento? Siamo di fronte all’inflazione?
I prezzi di molti prodotti alimentari, come la carne, la frutta e la verdura, sono effettivamente aumentati notevolmente. Ma pensate a quanto è diventata economica la benzina. In sostanza, ci sono due effetti compensativi in questa crisi. Se si produce meno, perché le imprese hanno ricevuto l’ordine di chiudere o perché le filiere globali sono state perturbate, questo tende a far salire i prezzi. Allo stesso tempo, i consumatori rimangono più a casa, e stiamo assistendo a un calo della domanda in alcuni settori, come l’abbigliamento. Questo, naturalmente, ha l’effetto di abbassare i prezzi.
E quale effetto è più forte?
Nel complesso, gli effetti di abbassamento dei prezzi sono probabilmente più forti, soprattutto perché i prezzi dell’energia sono scesi in modo così netto. In Germania, inoltre, il taglio dell’IVA avrà probabilmente un ruolo importante nella seconda metà dell’anno. L’anno prossimo, il ritorno alla vecchia aliquota fiscale dovrebbe poi far salire il tasso d’inflazione. Tutto sommato, però, anche qui c’è molta incertezza.
La Banca Centrale Europea (BCE) ha lanciato ancora una volta un enorme programma di acquisto, il PEPP, come risultato di COVID-19. Era davvero necessario?
In questa situazione di crisi, credo che creare un forte stimolo di politica monetaria sia stata la cosa giusta da fare. Nel decidere il nuovo programma di acquisto, per me era particolarmente importante che fosse temporaneo e chiaramente legato alla crisi. Allo stesso tempo, ha una maggiore flessibilità rispetto al programma in corso, il PSPP. Abbiamo avuto discussioni approfondite su queste caratteristiche in seno al Consiglio direttivo della BCE. Una cosa su cui siamo tutti d’accordo è stata la necessità di una risposta di politica monetaria. Ma ci sarà sempre una ponderazione della portata del programma e del grado di flessibilità, che non è un compito facile. A questo proposito, sono certamente più cauto di altri.
Quanto è grande il rischio che il programma si consolidi e che i miliardi continuino a scorrere anche dopo la fine della crisi immediata?
Anche noi politici monetari dobbiamo fare in modo di cambiare prontamente rotta per non superare l’obiettivo. Per noi, tutto deve dipendere dalle prospettive dei prezzi, che in questo momento sono molto incerte.
Proprio questo è stato uno degli aspetti della nostra discussione. Per quanto tempo continueremo a seguire la stessa rotta? Per quanto tempo ci impegnerà, e quali problemi causerà?
Come sapete, considero gli acquisti di titoli di Stato uno strumento speciale di politica monetaria; nell’utilizzarli, non dobbiamo mai perdere di vista il rischio che la politica monetaria venga sfruttata per la politica fiscale. Deve essere chiaro che quando arriva il momento di normalizzare la politica monetaria in termini di andamento dei prezzi, non si può evitare di farlo senza tener conto dei costi del debito pubblico.
Di fatto, con il suo programma di acquisto, la BCE sta già appiattendo gli spread di rendimento tra titoli di Stato di diverso rating. Il rischio non ha più un prezzo.
I programmi non stanno appiattendo completamente i differenziali di rendimento, ma li stanno riducendo. È indiscutibile che vi sia uno stimolo generale di politica monetaria espansiva. Tuttavia, a mio avviso, stiamo percorrendo una linea sottile, soprattutto quando si effettuano acquisti selettivi – sia di titoli di Stato sua di obbligazioni societarie. Ciò che è importante per me è che gli acquisti di obbligazioni non devono in ultima analisi annullare la funzione di guida del mercato dei capitali.
Il suo collega austriaco, Robert Holzmann, ha fatto un passo avanti e si è azzardato a proporre che la BCE potesse iniziare ad acquistare anche azioni.
Non voglio speculare su tutte le cose che potrebbero accadere in scenari ipotetici. La politica monetaria ha ormai assunto un ruolo molto proattivo e dobbiamo fare attenzione a non alimentare ulteriormente le aspettative dei mercati in materia di politica monetaria.
Può spiegare cosa intende dire?
L’aumento delle aspettative potrebbe metterci sotto pressione nelle nostre prossime decisioni. Se poi non riusciamo o non vogliamo realizzare ciò che ci si aspetta da noi, il mercato azionario risponderà con disappunto, il che a sua volta potrebbe portare a richiedere un’azione di politica monetaria. Non dovremmo lasciarci mettere all’angolo in questo modo.
Vale a dire che si è arrivati al punto in cui si dice: “Quando è troppo è troppo. L’acquisto di azioni non è uno strumento di politica monetaria. Lasciateci fuori da questa situazione”?
Per me è stato raggiunto il punto in cui dovremmo smettere di speculare.
Non solo la BCE, ma anche molte altre banche centrali di tutto il mondo stanno dispiegando tutta la loro potenza di fuoco, con la Fed americana in testa. Si sente a suo agio nel vedere tutte le dighe che si rompono e la politica monetaria che deve entrare nella mischia in ogni crisi?
Lei sta affrontando un argomento che mi preoccupa da tempo. Il nostro mandato come banchieri centrali è chiaramente la stabilità dei prezzi. Questo è ciò con cui dobbiamo misurarci. Ciò significa che dobbiamo agire in caso di crisi – dopo tutto, le crisi hanno un impatto sull’inflazione.
Tuttavia, la politica monetaria non è una panacea. Al momento, per esempio, l’onere è della politica fiscale. Essa è in prima linea nella difesa dalle conseguenze della pandemia, ha la necessaria legittimità democratica e possiede anche strumenti adeguati. Può, ad esempio, affrontare i problemi finanziari delle famiglie e delle imprese. Può decidere in quali circostanze trasferire i pagamenti o concedere prestiti, anche tra Stati.
Possiamo lasciare che la crisi sia un motivo per cambiare l’architettura europea – come nel caso del fondo per la ricostruzione proposto da Bruxelles? Si deve permettere all’UE di contrarre prestiti per finanziarla?
Personalmente credo che la solidarietà europea – che include la solidarietà finanziaria – sia la giusta linea d’azione in una crisi di questo tipo. Nemmeno l’architettura europea si oppone. Credo inoltre che il bilancio dell’UE, che è sempre stato uno strumento di redistribuzione, sia un mezzo adeguato per realizzarla.
Al contrario, sono dell’opinione che un’assunzione di prestiti congiunti su larga scala e a lungo termine sposterebbe il quadro di base e il suo equilibrio. Un tale passo richiederebbe quindi un’integrazione più completa per garantire un equilibrio tra responsabilità congiunta e azione comune.
Tuttavia, non sembra che ci sia attualmente la volontà di percorrere questa strada. Di conseguenza, il debito dovrebbe essere chiaramente limitato e rimborsato rapidamente. In caso contrario, rischiamo di aumentare sempre più la pressione per un aumento dei prestiti dell’UE.
Bruxelles avrebbe poi creato una macchina a moto perpetuo: l’Ue prende in prestito, la BCE compra le obbligazioni che sono state emesse senza possibilità di fuga.
Non esiste una macchina del moto perpetuo in fisica – e non c’è nulla di paragonabile in economia. I trattati europei ci vietano di finanziare i governi per buoni motivi. Dobbiamo fare in modo di avere “guardrail” che ci proteggano. Inoltre, non dobbiamo cedere all’illusione del debito: solo perché il debito viene contratto a livello europeo e non compare nelle statistiche nazionali, non significa che sia scomparso. In fin dei conti, il debito deve essere servito e ripagato dal contribuente.
Il prestito non è mai stato così allettante come oggi. Nella crisi, anche le persone più serie dicono che non ci sono limiti all’indebitamento del governo. La proverbialmente frugale casalinga sveva non ha alcuna possibilità.
L’immagine della casalinga sveva è spesso mal interpretata. Non mette da parte i soldi in modo fine a se stesso, ma per spenderli in qualcosa di utile e anche per aiutarla a superare i momenti difficili. Questo è esattamente il caso che abbiamo qui. Aveva senso garantire finanze sane in tempi normali. E ha altrettanto senso usare questo margine di manovra finanziaria ora che i tempi sono negativi per poter intervenire in modo decisivo per ribaltare la situazione.
Tuttavia, la casalinga sveva e tutti gli altri risparmiatori non dovrebbero aspettarsi che i tassi d’interesse salgano a breve.
Prima supereremo la crisi, prima i tassi d’interesse più alti potranno essere rimessi all’ordine del giorno. Tuttavia, ciò richiederà probabilmente un certo tempo, e anche la nuova normalità sarà probabilmente inferiore a quella a cui eravamo abituati in precedenza. A livello globale, ci troviamo di fronte a una tendenza a lungo termine verso i bassi tassi d’interesse, per la quale esistono diverse ragioni strutturali. Per quanto riguarda l’andamento dei prezzi, attualmente la politica monetaria è sicuramente un fattore alla base dei tassi d’interesse particolarmente bassi.
Cosa intende esattamente per ragioni strutturali?
Il tasso d’interesse naturale, come viene chiamato, è diminuito costantemente negli ultimi 30 anni. Ciò è dovuto, tra l’altro, all’invecchiamento della società, ma anche al calo della crescita della produttività. Almeno per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, una saggia politica economica ha un impatto positivo. Una maggiore crescita economica significa tassi d’interesse più elevati nel lungo periodo.
La Corte costituzionale federale ha messo i bastoni tra le ruote alla Corte di giustizia europea in modo spettacolare. È rimasto sorpreso dalla sentenza di maggio?
Beh, per un certo periodo è stato chiaro che c’era un conflitto tra la Corte costituzionale federale e la Corte di giustizia europea. Questo conflitto è ora scoppiato in questo caso.
La Corte costituzionale federale di Karlsruhe ha fissato un termine di tre mesi per l’adempimento delle richieste da parte della BCE. In caso contrario, la Bundesbank non potrà più partecipare al programma di acquisto del settore pubblico, o PSPP. Come state affrontando questa situazione?
Dal punto di vista della Corte costituzionale federale non vi è alcuna prova che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti con il PSPP siano stati ponderati con i relativi effetti di politica economica e fiscale. La principale preoccupazione della Corte è quindi che il Consiglio direttivo della BCE effettui tale valutazione in modo trasparente e che il risultato non sia manifestamente sproporzionato. In seno al Consiglio direttivo della BCE discutiamo regolarmente dell’adeguatezza, dell’impatto e degli effetti collaterali delle misure di politica monetaria. In questo dibattito i singoli membri possono, tra l’altro, giungere a conclusioni diverse.
Anche lei pensa che ci sia una mancanza di trasparenza?
Secondo gli standard internazionali, la BCE è una banca centrale molto trasparente. Ci sono conferenze stampa con il Presidente della BCE, resoconti pubblici degli incontri, numerosi discorsi e interviste, audizioni al Parlamento europeo e una vasta gamma di pubblicazioni. Inoltre, la nostra revisione della strategia prevede una discussione su come possiamo diventare ancora più trasparenti per spiegare meglio la politica monetaria al pubblico più vasto, in particolare.
Questo processo continua nonostante la pandemia di coronavirus, anche se ci vorrà un po’ più di tempo. Per quanto riguarda la sentenza, sono fiducioso che troveremo il modo di chiarire le considerazioni sulla proporzionalità. Ciò consentirà al Bundestag e al governo federale tedesco di adempiere alla responsabilità conferita loro dal tribunale.
Come possiamo immaginare che si svolga in pratica? La Presidente della BCE Christine Lagarde difficilmente si presenterà davanti al Bundestag per rendere conto delle azioni dell’istituzione.
No, ma ci sono varie altre possibilità...
Verrà inviata come messaggera? La BCE sta facendo tutto il possibile per dimostrare di non essere vincolata dalle sentenze dei tribunali nazionali.
Si tratta di rendere giustizia alla sentenza della Corte costituzionale federale e allo stesso tempo sostenere l’indipendenza della BCE e della Bundesbank. E non vedo alcuna contraddizione. Dopo tutto, la responsabilità e l’indipendenza sono comunque due facce della stessa medaglia. Quello che cerchiamo è un modo adeguato per rendere le deliberazioni del Consiglio direttivo della BCE chiaramente accessibili al governo federale e al Bundestag. Sono convinto che ci riusciremo per tempo.
In futuro riferirà al Bundestag e testimonierà davanti al Parlamento sulla politica monetaria?
Già prima d’ora mi è sempre piaciuto il dialogo con le commissioni del Bundestag. È importante scambiare opinioni e conoscenze in questo modo, ed è facilmente compatibile con l’indipendenza della politica monetaria. Naturalmente manterrò la riservatezza delle riunioni del Consiglio direttivo della BCE. Sarei quindi lieto se il Bundestag prendesse l’iniziativa e mi invitasse a riprendere il dialogo.
È una posizione delicata per lei, dato che potrebbe trovarsi a dover giustificare le decisioni del Consiglio direttivo della BCE contro cui lei stesso ha votato.
Ancora una volta: la Corte costituzionale federale si aspetta una spiegazione delle deliberazioni del Consiglio direttivo della BCE e il risultato non deve essere manifestamente sproporzionato. Ma questo significa anche che il Consiglio direttivo ha discrezione nelle sue decisioni e che non tutti i membri devono aver votato a favore di tutte le decisioni. Non c’è conflitto, e io farò la mia parte.
Temete che la sentenza di Karlsruhe e il dibattito pubblico che viene richiesto aumentino la pressione sulla politica monetaria per perseguire altri obiettivi oltre alla stabilità dei prezzi?
Per come la vedo io, il nocciolo della sentenza sta proprio nel tracciare una distinzione più chiara tra politica monetaria e politica economica. Credo che questa sia una distinzione importante da fare, perché credo che la politica monetaria rischi certamente di essere sopraffatta da una lista sempre crescente di nuovi desideri e obiettivi.
La Corte costituzionale nutre dubbi fondamentali sugli acquisti di titoli di Stato e chiede quindi limiti rigorosi.
Ci sono limiti che scaturiscono dai trattati europei. E, naturalmente, la politica monetaria ne è vincolata; per esempio, il divieto di finanziamento monetario dei governi. Dal mio punto di vista, è importante che la politica monetaria si tenga sufficientemente lontana da questo divieto – per la sua stessa credibilità, la fiducia del pubblico e la sua capacità di salvaguardare efficacemente la stabilità dei prezzi.
Quanto rischio c’è, secondo lei, che questa politica di denaro a basso costo generi delle bolle? I prezzi degli immobili sono saliti vertiginosamente, le azioni hanno visto un serio movimento – alimentato dalle banche centrali di tutto il mondo.
Le banche centrali devono intervenire ogni volta che percepiscono una minaccia per il loro obiettivo di stabilità dei prezzi, e la crisi ha richiesto un adeguamento ancora maggiore della politica monetaria. Questo sta anche rafforzando i prezzi degli attivi. Se si verificano eccessi problematici, l’intervento dovrà – in primo luogo – provenire da altre aree politiche, come la politica macroprudenziale.
Tuttavia, è anche chiaro che la politica monetaria non deve dare l’impressione di cacciare gli investitori non appena la crisi è in atto e poi di essere troppo timida nello stringere le redini in un secondo momento. Questo tipo di aspettative e una risposta troppo cauta della politica monetaria hanno contribuito alla crisi finanziaria. Questa politica monetaria estremamente accomodante non deve diventare l’impostazione predefinita.
E chi finirà per pagare il conto della crisi? Chi si farà carico dei costi delle centinaia di miliardi di finanziamenti per il salvataggio e la ripresa? Saremo tutti un po’ più poveri?
La pandemia sta mettendo sotto pressione tutti noi. Sta rendendo il mondo intero più povero. Lo scopo di spendere miliardi in finanziamenti d’emergenza è quello di contenere i danni. Voglio dire, i danni causati dall’acqua delle manichette antincendio e i costi di ristrutturazione non sono un motivo per non chiamare i vigili del fuoco quando c’è un incendio. Cosa sarebbe successo se non ci fosse stata una risposta della politica e non ci fosse stata un’azione della banca centrale? Sono convinto che una crisi incontrollata, un crollo economico incontrollato con tutti i suoi effetti di amplificazione associati, si sarebbe rivelata molto più dolorosa e costosa per tutti noi.
Lo Stato non si è forse ritagliato un ruolo come unica fonte di salvezza?
Naturalmente, lo Stato dovrà fare di nuovo un passo indietro in futuro. Ma questo è il momento in cui deve fare un passo avanti: in questa straordinaria situazione in cui ci troviamo, lo Stato è come un meccanismo d’arresto. Si assume rischi e oneri che pesano sulle imprese e sulle famiglie, perché questi sono meglio sostenuti dalla comunità.
Tuttavia, in fin dei conti, qualcuno dovrà sostenere i costi degli enormi debiti che si stanno accumulando. Ci sono già chiamate da sinistra per chiedere ai ricchi di pagare una parte del conto. Cosa ne pensa?
I debiti devono essere rimborsati e il rapporto debito/PIL deve essere riportato al ribasso. È troppo presto per dire con certezza, in questa fase, cosa questo richiederà in termini di consolidamento. Dipenderà anche dalla forza della crescita futura. In un’economia sociale di mercato, è una regola generale che le spalle più ampie tendono a dare il maggior contributo. Questo principio fondamentale non cambierà, e spetta ai responsabili politici decidere come ciò funzionerà nella pratica.
Tuttavia, nel farlo, dovranno tenere conto degli effetti di feedback che il sistema fiscale ha sulla crescita economica. Nel caso della Germania, non prevedo che il rapporto debito/PIL aumenterà in misura tale da rendere necessarie misure fiscali straordinarie. La situazione potrebbe essere più complicata in altri Paesi con livelli di debito più elevati.
Questo è un riferimento alla situazione in Italia?
No, non mi riferisco a nessun Paese in particolare. In fin dei conti, l’importante è che tutti i Paesi risanino le finanze pubbliche. Nella situazione attuale, la solidarietà e il sostegno europeo sono importanti. Tuttavia, il lavoro pesante dovrà ancora essere fatto a livello nazionale. Come ciò venga fatto è una questione che ogni paese deve decidere da solo, e anche in questo caso si tratta di una questione di solidarietà nazionale.
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