24/06/2020
Hanno riaperto “il ministero della verità”. Ed è europeo...
Non c’è limite alla vergogna degli sfruttatori, lo sappiamo. Ogni loro nuova mossa non riesce nemmeno più a sorprenderci, e proprio questo è il rischio: quello di rimanere, come tutti, “mitridatizzati”. Abituati ai loro veleni, in dose crescente, senza più una reazione.
Siamo anche abituati ai loro ossimori (“guerra umanitaria” resta al momento insuperato), alle parole appiccicate a fatti che significano l’opposto. Ma ogni tanto è indispensabile indicare la nudità del re, perché almeno una parte dell’opinione pubblica – i nostri lettori – siano avvertiti che un passo oltre è stato fatto.
Parliamo di informazione mainstream, allora. È noto che la Rete, le nuove tecnologie e piattaforme, hanno incrinato il monopolio assoluto dei grandi media del potere. Tv, quotidiani e riviste su carta stampata, ecc. sono macchine industriali che richiedono investimenti impossibili per qualsiasi forza alternativa. Ciò che dirazzava, in questo settore, è stato da tempo cancellato o “ammorbidito” fino all’irrilevanza (la triste sorte de il manifesto sta lì a dimostrarlo).
Anche la radio è tornata all’ovile, dopo la splendida stagione delle “radio libere”. Troppi costi di gestione (ripetitori, diritti d’autore, denunce, tecnici, macchinari, personale non più “militante”), troppa poca pubblicità “accettabile”, scomparsa dei contributo pubblici per sostenere il “pluralismo dell’informazione”.
Solo sulla Rete è possibile con pochi soldi, o addirittura gratis, immettere “informazione” non omologata, dubbi, frammenti di pensiero critico. Una libertà quasi assoluta che naturalmente favorisce l’esibizione di intelligenza come di ottusità assoluta, notizie vere e falsi clamorosi, inchieste quasi scientifiche e provocazioni di bassa lega.
Distinguere è come sempre complicato, richiede attenzione, riflessione, ricerca. Ma si può fare. Collettivamente, certo, non da soli, ma ci si può districare in questo sottobosco e costruire qualcosa di valido in completa autonomia.
Contropiano, ci sembra, rappresenta un pezzetto di questo qualcosa.
Dal lato del potere, invece, la reazione alla “concorrenza” è di altro tipo. Autoritario ma in nome della “libertà” e della “verità”.
Qui bisogna stare attenti alle parole. La verità, da buoni materialisti, è rivoluzionaria. Dunque la “verità del potere” difficilmente potrà avere una natura somigliante... Quando i media mainstream lanciano una campagna “contro le fake news”, in genere, puntano a realizzare due obbiettivi diversi:
1) regolare i conti interni al potere (Trump e Salvini, bugiardi seriali e patentati, si prestano splendidamente per questo fine),
2) silenziare le voci discordanti, seppellendole sotto una montagna di “verità ufficiali”.
Gli esempi sono innumerevoli. Possiamo parlare di Venezuela, e notare come tutti i media ufficiali abbiano una sola posizione – quella statunitense, ovvio – anche se la realtà dei fatti depone contro (tentativi di golpe organizzati dagli Usa insieme ai narcofascisti locali o confinanti, un “presidente autonominato” – Guaidò – immortalato decine di volte proprio con narcotrafficanti, un numero impressionante di libere elezioni in un Paese dipinto come un “regime dittatoriale”, ecc).
Possiamo parlare di Palestina, addirittura cancellata come nome, oltre che come diritti all’esistenza e all’autodeterminazione. Al massimo il termine viene associato a quello di “terrorismo”, in modo da chiudere l’argomento fin dall’inizio, anche se le pratiche del governo israeliano sarebbero definite terroriste e stragiste in qualsiasi altro contesto.
Tutte cose già “normalizzate”, metabolizzate, entrate come veleno nel cervello di gran parte della popolazione occidentale.
Ma evidentemente non basta. Il rischio del dubbio, della critica ragionata e documentata, resta. Per questo ora si cerca di realizzare l’equivalente dell’orwelliano “ministero della verità”, mettendo in piedi un network – il circuito mainstream, da Mediaset ai media in teoria “anti-berlusconiani” – che si arroga il potere di decidere e certificare quali notizie sono “vere” e quali “fake news”.
Se non vi piace la letteratura, potete sempre riguardare le “imprese” del Minculpop fascista, forse meno fantasioso ma altrettanto totalitario.
Prendiamo la notizia da fonte ufficiale. “Sul sito di Repubblica nasce TrUE per combattere le fake news”. Un lettore non di primo pelo obietterebbe subito: “tutto il gruppo Repubblica-L’Espresso, ora con la sigla Gedi, è stato comprato dalla famiglia Agnelli; come anche La Stampa, da sempre chiamata dagli operai torinesi la busjarda… E questi ci vorrebbero dire cosa è vero e cosa no? Ma va...”
Giusto, ma questo sarebbe uno sguardo rivolto al passato. Qui si sta invece facendo un passo avanti. Non è infatti il vecchio “padrone” che cerca di costruirsi un’opinione pubblica favorevole per fare meglio i propri affari, e magari tirare uno sgambetto a quelli altrui. L’operazione è del tutto al passo con i tempi, presenti e (speriamo di no) futuri.
Lo spiega, senza volere, la stessa Repubblica: “Da oggi la rubrica online in collaborazione con il Parlamento europeo: una serie di approfondimenti per capire da dove partono le false notizie, per smentirle e per difendersi dalla disinformazione”.
La catena di comando è chiara, no? C’è il Parlamento europeo – non un vero Parlamento, visto che non ha il potere di emanare leggi, ma solo quello di approvare o (raramente) bocciare quelle scritte dalla Commissione Europea – che “consiglia” quali notizie siano da considerarsi vere e quali false. E una serie di gruppi editoriali “europeisti” che fanno da cinghia di trasmissione “professionale”, imbonendo l’opinione pubblica nazionale (non c’è una lingua europea, dunque tocca tradurre in tutte quelle esistenti).
Essendo una “collaborazione” – per non essere troppo cattivi – dovrebbe funzionare nei due sensi: non solo “consigli dall’alto” ma anche richiesta di “conferme” da parte dei singoli giornalisti “militanti anti-fake news”.
In entrambi i casi, però, la “fonte della verità” è un potere politico-economico (i “piani alti” di Bruxelles), non la corrispondenza di una notizia ai fatti. Se “l’ufficio della verità” del parlamento europeo dice che una notizia è “vera” allora la si diffonde e difende; se stabilisce che è “falsa” allora la si bolla come fakw news o addirittura “disinformazione nemica”.
E infatti il povero Alberto D’Argenio si lancia subito contro russi e cinesi. Purtroppo lo fa con troppo entusiasmo, in modo poco “professionale”, quasi naïf, e quindi svela la dipendenza in modo un po’ troppo scoperto.
Ricostruisce per sommi capi – e senza alcuna documentazione – la filiera di fatti che andrebbe (il condizionale è d’obbligo!) da una serie di voci apparse “ad aprile sui siti di propaganda legati al Cremlino” (quali, con che prove, ecc, non è dato sapere) che attribuiscono a Bill Gates la diffusione del coronavirus. Fino alle “migliaia di persone manifestano a Berlino e in altre città tedesche contro il tentativo di imporre una dittatura globale da parte del fondatore di Microsoft o, in alternativa, per mano di malevoli élite internazionali intenzionate a stabilire un Nuovo ordine globale.”
E poi “a fine aprile sulle chat cinesi inizia a girare l’allarmante ‘notizia’ secondo la quale le mascherine uccidono i nostri bambini. Il 2 giugno i gilet arancioni in piazza del Popolo a Roma – tra le altre assurdità – urlano slogan contro le protezioni raccomandate dalle autorità sanitarie di tutto il mondo.”
Si può qui vedere all’opera la tecnica del “mischione”, che aveva fatto la fortuna (economica, non certo scientifica) dei “dietrologi” sulla storia degli anni '70: prendere fatti veri e voci false, shakerare forte, stabilire una tesi a monte e inanellare episodi a valle che dovrebbero “confermarla”.
Nulla di nuovo, roba da poveretti, se non fosse per l’imprimatur che arriva direttamente dalla Ue.
“’La disinformazione può uccidere le persone’, lancia l’allarme l’Alto rappresentante della politica estera europea, Josep Borrell”.
Perché “complottisti, No Vax o estremisti nostrani […] sono solo il tramite – più o meno consapevole – di operazioni governative ordite altrove, al di fuori dell’Unione, per danneggiare la risposta sanitaria da parte delle autorità nazionali ed europee, per aggravare la pandemia e minare la coesione sociale nei nostri paesi, la tenuta democratica interna e la stessa Ue. Destabilizzare e creare sfiducia: le fake news hanno conseguenze dirette sulle nostre nazioni. Un pericolo serio, tanto che il 10 giugno le istituzioni di Bruxelles lo dicono chiaro e tondo: ‘Alcune potenze straniere mirano a compromettere le nostre democrazie’. Si tratta di “Russia e Cina”. E l’Italia è tra i paesi più colpiti.”
Fino alla dichiarazione programmatica che azzera ogni dubbio:
“Per fare luce sulle operazioni di manipolazione contro l’Europa, Repubblica lancia oggi TrUE, una rubrica online realizzata in collaborazione con il Parlamento europeo. Una serie di approfondimenti per capire da dove partono le fake news, per smentirle, per evidenziare quale sia il loro scopo, come Russia e Cina abbiano usato la loro propaganda per far credere agli italiani che il nostro Paese – abbandonato dall’Europa – sia stato salvato da Putin e Xi Jinping. Per raccontare ciò che invece l’Unione ha fatto (cosa? silenzio... ndr). Ancora, chi sono i soggetti che diffondono in Europa le bugie di Stato elaborate da Mosca e Pechino per indebolire l’Europa e trarne vantaggi geopolitici ed economici. E infine, come gli esponenti dei partiti populisti in Europa flirtano con la retorica della propaganda russa e cinese per strizzare l’occhio a milioni di persone – e guadagnarne il consenso – già vittime delle fake news. Un manuale di auto difesa per capire e difendersi dalla disinformazione.”
Il quadro è molto più chiaro, adesso. Si è aperta una “nuova guerra fredda” che oppone l’Occidente a Russia e Cina. Qui non importa neppure stabilire chi l’abbia aperta (Trump, lo sanno anche i sassi), ma la dinamica che si è innescata.
Come in ogni guerra la verità è la prima vittima.
Il “ministero europeo della verità” si è messo in trincea. Repubblica, Corriere, Libero, Il Giornale, e via elencando fanno i gazzettieri dal fronte.
Noi non faremo i boccaloni, però...
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