Titolo e copertina già dicono molto sul contenuto di questo disco. Nella
cover viene raffigurato un simil-monte Rushmore, dove scolpiti nella
pietra, anziché i volti dei quattro presidenti americani, vi sono i
testoni con rispettive lunghe chiome dei giovani (al tempo!) musicisti.
Decisamente una dichiarazione d'intenti, perché con questo disco i Deep Purple
scolpiscono in modo decisivo il loro nome nella memoria di tanti
rocker. Qui i Nostri raccolgono tutte le loro conoscenze musicali
(soprattutto il tastierista Jon Lord e il chitarrista Ritchie Blackmore
vantano una preparazione classica notevole) e le gettano a spintoni nei
loro amplificatori roventi: il risultato è una musica autenticamente
"rocciosa", dal suono sfrontato e aggressivo, maestoso e roboante,
ottenuto miscelando le radici blues con spruzzate di reminiscenze
sinfoniche. La band, inoltre, si è da poco rinnovata: sono arrivati il
solido bassista Roger Glover e il cantante Ian Gillan; quest'ultimo è un
ragazzotto inglese dalle doti incredibili: voce potente e fresca,
estensione invidiabile, nonché interprete brillante e istrionico. Ed è
anche grazie a questi due innesti che il gruppo compie il fatidico salto
di qualità.
La puntina del giradischi si appoggia sul vinile
lucente e dopo pochi istanti dalle casse dello stereo esce un frastuono
assordante: chitarre e tastiere "svisano" in un caos delirante, quindi
la quiete improvvisa di un organo leggero e infine si parte a tutta
velocità: "Speed King" è uno dei pezzi con cui credo si possa dar meglio
forma al concetto di "rock"; scattante e irriverente, strappa via
l'ascoltatore dalla sedia e gli regala una carica invincibile:
tiratissima dall'inizio alla fine. Segue il blues sporco e bollente di
"Bloodsucker" con gli assoli eleganti di Blackmore e Lord che si
incrociano: i Deep Purple sanno "picchiare" come pochi, ma mantengono
sempre un gusto notevole per la melodia raffinata (e sta soprattutto
qui, per chi scrive, la loro grandezza). Il primo lato si chiude con la
celeberrima "Child In Time": una ballata blues in continuo crescendo
grazie alle progressioni vocali e strumentali che l'hanno resa famosa,
nelle quali la band si lancia in lunghe parti solistiche; energia e watt
a palate, ma anche tanta classe.
Neanche il tempo di
capovolgere il disco che si riparte subito col riff semplice e diretto
di "Flight Of The Rat", arioso brano tipicamente hard-rock, che dà modo a
tutti i musicisti di mettersi in evidenza con parti solistiche sempre
ben disegnate. "Into The Fire" e "Living Wreck" sono forse i pezzi meno
ispirati, ma scivolano via con piacere. Si chiude in grande stile con
"Hard Lovin' Man": è un brano dalle intenzioni psichedeliche e
decisamente sperimentale, ma suonato con una furia prodigiosa, tanto che
molti gruppi thrash-metal degli anni '80 devono averci tratto più di
qualche spunto.
In conclusione, si tratta di un disco manifesto dell'hard-rock;
in perfetto equilibrio fra un suono grezzo e partiture curatissime, è
per chi scrive il capolavoro dei Deep Purple. Certo, qui non troviamo le
sperimentazioni dei Led Zeppelin più mistici o l'intrigante anima dark dei primi Black Sabbath;
c'è però la ricerca di una musica che sappia far convivere la durezza e
il divertimento del rock'n roll con la magniloquenza della musica
classica (tanto che parte della stampa dell'epoca - siamo nel 1970 -
inserì "Deep Purple In Rock" all'interno del nascente filone
progressive). Da avere.
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