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18/06/2020

Deep Purple - 1970 - In Rock

Titolo e copertina già dicono molto sul contenuto di questo disco. Nella cover viene raffigurato un simil-monte Rushmore, dove scolpiti nella pietra, anziché i volti dei quattro presidenti americani, vi sono i testoni con rispettive lunghe chiome dei giovani (al tempo!) musicisti. Decisamente una dichiarazione d'intenti, perché con questo disco i Deep Purple scolpiscono in modo decisivo il loro nome nella memoria di tanti rocker. Qui i Nostri raccolgono tutte le loro conoscenze musicali (soprattutto il tastierista Jon Lord e il chitarrista Ritchie Blackmore vantano una preparazione classica notevole) e le gettano a spintoni nei loro amplificatori roventi: il risultato è una musica autenticamente "rocciosa", dal suono sfrontato e aggressivo, maestoso e roboante, ottenuto miscelando le radici blues con spruzzate di reminiscenze sinfoniche. La band, inoltre, si è da poco rinnovata: sono arrivati il solido bassista Roger Glover e il cantante Ian Gillan; quest'ultimo è un ragazzotto inglese dalle doti incredibili: voce potente e fresca, estensione invidiabile, nonché interprete brillante e istrionico. Ed è anche grazie a questi due innesti che il gruppo compie il fatidico salto di qualità.

La puntina del giradischi si appoggia sul vinile lucente e dopo pochi istanti dalle casse dello stereo esce un frastuono assordante: chitarre e tastiere "svisano" in un caos delirante, quindi la quiete improvvisa di un organo leggero e infine si parte a tutta velocità: "Speed King" è uno dei pezzi con cui credo si possa dar meglio forma al concetto di "rock"; scattante e irriverente, strappa via l'ascoltatore dalla sedia e gli regala una carica invincibile: tiratissima dall'inizio alla fine. Segue il blues sporco e bollente di "Bloodsucker" con gli assoli eleganti di Blackmore e Lord che si incrociano: i Deep Purple sanno "picchiare" come pochi, ma mantengono sempre un gusto notevole per la melodia raffinata (e sta soprattutto qui, per chi scrive, la loro grandezza). Il primo lato si chiude con la celeberrima "Child In Time": una ballata blues in continuo crescendo grazie alle progressioni vocali e strumentali che l'hanno resa famosa, nelle quali la band si lancia in lunghe parti solistiche; energia e watt a palate, ma anche tanta classe.

Neanche il tempo di capovolgere il disco che si riparte subito col riff semplice e diretto di "Flight Of The Rat", arioso brano tipicamente hard-rock, che dà modo a tutti i musicisti di mettersi in evidenza con parti solistiche sempre ben disegnate. "Into The Fire" e "Living Wreck" sono forse i pezzi meno ispirati, ma scivolano via con piacere. Si chiude in grande stile con "Hard Lovin' Man": è un brano dalle intenzioni psichedeliche e decisamente sperimentale, ma suonato con una furia prodigiosa, tanto che molti gruppi thrash-metal degli anni '80 devono averci tratto più di qualche spunto.

In conclusione, si tratta di un disco manifesto dell'hard-rock; in perfetto equilibrio fra un suono grezzo e partiture curatissime, è per chi scrive il capolavoro dei Deep Purple. Certo, qui non troviamo le sperimentazioni dei Led Zeppelin più mistici o l'intrigante anima dark dei primi Black Sabbath; c'è però la ricerca di una musica che sappia far convivere la durezza e il divertimento del rock'n roll con la magniloquenza della musica classica (tanto che parte della stampa dell'epoca - siamo nel 1970 - inserì "Deep Purple In Rock" all'interno del nascente filone progressive). Da avere.

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