di Michele Giorgio – il Manifesto
Hussein Arnous la scorsa settimana ha accettato di guidare il governo durante quello che sarà con ogni probabilità il periodo economico più difficile per la Siria di questi ultimi dieci anni. La guerra ha provocato centinaia di migliaia di morti, civili e militari, ma il paese ne sta uscendo. Invece la crisi economica figlia della guerra rischia di far cadere il paese di nuovo nel baratro.
Le conseguenze del recente lockdown imposto dal coronavirus saranno di
poco conto di fronte al disastro in cui si ritroveranno milioni
di civili siriani a causa delle sanzioni economiche previste dal “Caesar
Syria Civilian Protection Act”, approvato dal Congresso Usa, su
iniziativa anche dell’Amministrazione Trump, alla fine dello scorso
anno.
Le sanzioni entrano in vigore oggi ma hanno già contributo al crollo verticale della lira siriana e di quella libanese.
Le immagini di Beirut teatro di saccheggi e di scontri tra manifestanti
di fazioni opposte e tra manifestanti e polizia, rischiano di ripetersi
molto presto. Se il governo di Arnous in Siria controlla la situazione –
nonostante le proteste esplose nei giorni scorsi nel distretto
meridionale di Sweida, a maggioranza drusa – al contrario quello del
premier Hassan Diab ha scarse possibilità di manovra, schiacciato com’è
tra le proteste popolari contro corruzione, carovita e settarismo in
corso da mesi, e le condizioni insostenibili poste dal Fondo monetario
internazionale per soccorrere il paese dei cedri, tra i più indebitati
al mondo.
Dopo aver cestinato l’accordo internazionale sul programma
nucleare iraniano del 2015 e varato sanzioni durissime contro Tehran,
gli Stati Uniti ora provano a strangolare l’economia siriana e, di
riflesso, anche quella del Libano, paese che considerano controllato di fatto dal movimento sciita Hezbollah, alleato dell’Iran e di Damasco. Il
“Caesar Act” è legato a rivelazioni fatte da un anonimo fotografo della
polizia siriana che avrebbe diffuso 55.000 foto che mostrano torture e
violenze nelle carceri siriane. Damasco respinge le accuse e denuncia un
complotto ai suoi danni. Il “Caesar Act” ufficialmente
colpisce il presidente Bashar Assad, il suo entourage e gli apparati di
potere. In realtà prende di mira la popolazione. Washington
pensa che l’aggravarsi delle condizioni di vita in Siria finiranno per
innescare una sollevazione contro la presidenza e il governo. Come
quelle contro l’Iran colpiscono qualsiasi persona o azienda che effettui
transazioni con Damasco. Trump avrà poteri più ampi per congelare i beni di chiunque abbia a che fare con la Siria, indipendentemente dalla nazionalità.
La legge prende di mira anche coloro che hanno a che fare con
rappresentanti russi e iraniani a Damasco e considera la Banca centrale
siriana come una sorta di «struttura di riciclaggio». Le sanzioni
scoraggeranno gli investimenti in Siria e approfondiranno il suo
isolamento dal sistema finanziario globale. La ricostruzione del paese devastato dalla guerra, già frenata dalle pressioni statunitensi e dell’Ue, resterà congelata.
Il “Caesar Act” permette le importazioni di alimenti essenziali e
l’ingresso in Siria degli aiuti umanitari destinati alla popolazione
civile. Allo stesso tempo prevede un controllo molto rigido sugli aiuti
delle Nazioni unite e delle Ong per garantire che «non stiano
avvantaggiando» il governo e il presidente Assad. Sarà colpito anche il Libano, un canale tradizionale per il commercio e per gli investimenti in Siria. La
scomparsa del dollaro in Libano e il crollo della valuta nazionale
(passata in pochi giorni da 1500 a 7.000 lire libanesi per un dollaro)
accrescono l’ansia della popolazione per le conseguenze del “Caesar
Act”. I libanesi temono anche di rimanere senza elettricità: il
paese importa dalla Siria una quota significativa del suo fabbisogno di
energia.
«Il premier Arnous con una immissione coordinata di dollari sul
mercato da parte della Banca centrale e dei privati è riuscito a
tamponare il crollo della lira, scambiata la scorsa settimana a 3.200
per 1 dollaro e ora tornata a 2270. Ma il potere d’acquisto della
maggioranza della popolazione resta molto limitato. Basti pensare che
prima della guerra 1 dollaro valeva 50 lire e che gli stipendi sono
rimasti più o meno quelli di 9 anni fa» ci spiega un giornalista siriano
a Damasco che ha chiesto l’anonimato. «I fondamentali economici sono
molto preoccupanti» aggiunge «e le sollecitazioni di Talal Barazi (il
ministro del commercio, ndr), a tenere bassi i prezzi delle merci non
potranno impedire un probabile ulteriore aumento dell’inflazione. Trump
pur di abbattere il presidente Assad è disposto a scatenare il caos in
Siria e a portarci alla fame. E rischia di riuscirci».
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento