di Giorgio Bona
Qui le precedenti puntate.
I miei anni studenteschi a Casale Monferrato sono legati anche a
frequentazioni sportive con un piccolo gruppo di atleti locali. Arrivai a
loro grazie a Romano Caligaris, una conoscenza comune e grande
maratoneta che conseguì ottimi risultati a livello nazionale e
internazionale.
Fu proprio Romano a presentarmi un altro atleta di notevoli capacità
con innate doti di mezzofondista. Iniziai così, durante la mia
permanenza nella capitale del Monferrato, ad allenarmi. Il nostro
ritrovo era il Natal Palli, lo storico stadio del Casale Calcio. Da lì, a
volte, correvamo per mettere chilometri nelle gambe, come si dice nel
gergo dei professionisti dell’atletica, qualche volta sulla spiaggia del
Po, lungo un percorso che lui conosceva bene.
Era la metà degli anni '70. L’Eternit era ancora in piena attività.
Quando lasciai Casale dopo gli studi, mi ritrovai a fare altre strade
e Casale rimase una parentesi della mia vita, accantonata per molto
tempo.
Soltanto parecchi anni dopo, credo fosse il 2009, quindi erano
trascorsi parecchi anni, quasi trentacinque per dirla in breve, ritrovai
casualmente un compagno di quei tempi e, parlando del più e del meno,
chiesi notizie dei vecchi amici. Poi il discorso cadde su di lui, su
Pier Carlo Busto, di cui avevo un ottimo ricordo e che mi sarebbe
piaciuto ritrovare.
A confermarmelo fu una mia collega di lavoro che abitava a Casale nel
quartiere Ronzone, il quartiere nei pressi della grande fabbrica e,
ahimè, anche lei portata via da quel male dal nome impronunciabile:
mesotelioma pleurico. Mi confermò di Pier Carlo.
La notizia mi franò addosso come un fulmine a ciel sereno. Non ci
volevo credere. A casa cominciai subito a fare una ricerca in rete.
Trovai conferma alle domande che mi stavano girando in testa e
arrovellando lo stomaco.
È il 1988. Lo stabilimento Eternit è chiuso da due anni. Sfoglio con un certo disagio quello che non avrei mai voluto sapere.
Le notizie che leggo riportano che quello è l’anno in cui si ammala
Pier Carlo Busto, ragazzo di 33 anni, sportivo, bancario, non aveva mai
avuto contatti con la fabbrica. Della sua famiglia nessuno aveva mai
lavorato all’Eternit e viveva lontano dalla fabbrica maledetta.
Questo sta a significare una cosa: se si è ammalato lui, se il male
ha minato i suoi polmoni, i polmoni di un maratoneta, il mesotelioma
poteva colpire chiunque.
Io ho subito pensato a quella spiaggia in riva al Po, dove una volta
la fabbrica scaricava i resti di amianto, e che in sua compagnia avevo
frequentato pochissime volte. Lui invece l’aveva bazzicata moltissimo.
Ma evitiamo di farci suggestionare e proviamo a fare un po’ di
chiarezza. Negli anni '60 lo scarto delle lavorazioni errate veniva
portato in una discarica a cielo aperto, e lì si serviva la cittadinanza
che cercava i pezzi migliori da utilizzare per lavorazioni fai da te.
Con l’introduzione del re-utilizzo, a partire dagli anni '70, le merci
di scarto venivano portate sotto un capannone senza mura, dove una
ruspa le frantumava e operava 24 ore su 24, rilasciando grandi
quantità di polvere.
Prima di essere reintrodotti nel ciclo produttivo i frammenti venivano portati a un mulino per la macinazione.
L’impianto era altamente nocivo. Operava a cielo aperto, ed essendo
quello di Casale Monferrato l’unico stabilimento che recuperava
materiali di scarto, si faceva carico della macinazione degli scarti di
tutte le altre fabbriche di eternit in Italia.
Alla fine del turno gli operai, come si usava dire, uscivano
inzuccherati, come se fossero ricoperti da uno strato di zucchero a
velo, completamente bianchi. Le tute blu andavano a casa con gli operai,
per cui la polvere era un aerosol per tutta la famiglia.
Tornando a Pier Carlo, vittima dell’amianto, era confermato che di amianto poteva morire anche chi non lavorava alla Eternit.
Questo riscontro non trova un consenso immediato. Ma a seguito dei
risultati epidemiologici ottenuti, la pretura di Casale avvia
un’indagine rivolta ad accertare la responsabilità penale di tali morti.
Di questo parleremo in seguito.
In ogni caso, alcuni studi rivelano che già nel 1930 si cominciò a
correlare casi di fibrosi polmonari con l’esposizione all’amianto. Con
lo scoppio della seconda guerra la richiesta e l’utilizzo dell’amianto
aumentarono vertiginosamente, e questo problema dunque passò sotto
silenzio.
Il suo impiego divenne diffuso massicciamente nelle navi e nella quasi
totalità delle armi usate in quegli anni. Da qui cominciò un suo
progressivo e sempre più diffuso utilizzo per edifici pubblici e
privati, senza contare un’ampia gamma di oggetti di uso comune.
Alcuni dati trasmessi dicono che nel 1960 vengono rilevati 47 casi di
mesotelioma in una piccola parte del Sud Africa, dove c’erano piccole
aziende che utilizzavano l’amianto. Molti di questi deceduti avevano
avuto un’esposizione alla fibra di tipo professionale molti anni prima:
avevano giocato da bambini su cumuli di materiale depositati, alcuni
frequentavano e transitavano nelle vicinanze della fabbrica, dove il
materiale medesimo veniva trattato, senza averci mai lavorato.
Il 1965 costituisce comunque la data in cui la comunità scientifica
internazionale riconosce gli effetti cancerogeni dell’amianto. È
soltanto nel 1982, anno dei mondiali di calcio, che a Casale arrivò la
sentenza come un fulmine a ciel neanche troppo sereno: il controllo
avviato sui certificati di morte per mesotelioma era venti volte
superiore a quella attesa. Il dramma di quella malattia era destinato
fin dal principio a diventare un dramma tristemente familiare.
Le tute di lavoro degli operai della Eternit, rivestite di polvere,
erano nell’ambito familiare anche a contatto con moglie e figli.
Nel film di Roberto Ghiaccio, al suo esordio come regista che è
nato e vive in un paese a due passi da Casale Monferrato, il
protagonista, un giovane aspirante attore, cerca di ricostruire il
rapporto con il padre, ex operaio Eternit malato di mesotelioma
pleurico.
Il padre racconta della fabbrica e in uno dei dialoghi riporta un
passo importante che conferma il dramma familiare. Ecco, entravo in casa
con quella tuta impolverata e tu mi correvi incontro. Io ti prendevo in
braccio dopo aver abbracciato tua madre e non sapevo quanto facevo male
a tutta la famiglia. Ma noi non potevamo immaginare che l’amianto
potesse avere queste conseguenze.
E parlare di quella tragedia, il mesotelioma pleurico, richiede un
capitolo a parte. Ci riserveremo di raccontarlo a breve, dal momento che
il 28 aprile è stata la giornata delle vittime dell’amianto.
Per non dimenticare.
(continua)
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento