Dopo quattro mesi di negoziati, i due partiti che si sono
tradizionalmente divisi il potere nella Repubblica d’Irlanda hanno
raggiunto un faticoso accordo per provare a far nascere un nuovo inedito
governo con la partecipazione dei Verdi. Fianna Fáil e Fine Gael non
hanno mai fatto parte di uno stesso esecutivo in tutta loro storia,
nonostante gli orientamenti conservatori che accomunano entrambi. La
forte crescita del Sinn Féin nelle elezioni di febbraio
e la crisi scatenata dall’epidemia di Coronavirus hanno però costretto i
due principali partiti irlandesi a prendere una decisione che, almeno
in prospettiva, potrebbe avere effetti dirompenti sugli equilibri
politici di questo paese.
L’annuncio dell’intesa è stato dato alla stampa nella giornata di
lunedì, assieme a un programma ambizioso quanto indefinito che ha
nascosto a fatica le scelte dolorose che si prospettano per garantire la
tenuta del capitalismo irlandese. A livello generale, il nuovo governo
di Dublino potrà contare su una maggioranza numericamente stabile, ma la
composizione e le circostanze in cui nasce sono piuttosto l’espressione
di una profonda crisi politica che, anche qui, sta scardinando dalle
fondamenta un sistema consolidato sostanzialmente bipolare.
Dopo il voto di febbraio era subito emerso come la priorità fosse
l’esclusione del Sinn Féin da qualsiasi trattativa o accordo di governo.
L’ex braccio politico dell’IRA (“Irish Republican Army”) aveva ottenuto
37 seggi sui 160 totali del parlamento, vale a dire lo stesso numero
del Fianna Fáil e due in più del Fine Gael del premier uscente, Leo
Varadkar. Il Sinn Féin era stato premiato in modo clamoroso e in larga
misura inaspettato grazie a una campagna elettorale basata su un’agenda
progressista che metteva al primo posto la risoluzione della crisi
abitativa e il ripristino di servizi pubblici devastati da oltre un
decennio di austerity. La prestazione era apparsa oltretutto
sottostimata, perché i vertici del partito avevano presentato appena 42
candidati in tutti i collegi della Repubblica, probabilmente perché non
si aspettavano livelli di sostegno così consistenti.
Nel programma di Fianna Fáil, Fine Gael e dei Verdi sono previsti in
primo luogo interventi di sostegno all’economia colpita dal Coronavirus.
Un piano di stimolo alla ripresa dovrebbe essere messo in campo fino al
2022, ma già nel mese di ottobre sarà stilata, assieme alla prossima
legge di bilancio, una “road-map” di medio e lungo periodo di segno
esattamente opposto.
Il rientro del deficit e il ridimensionamento della spesa pubblica
torneranno a essere le parole d’ordine del governo di
Dublino. Anzi, in entrambi i due principali partiti sono già emersi
malumori per un programma giudicato troppo dispendioso, soprattutto se
si calcolano le misure “ecologiche” promesse per assicurarsi l’appoggio
dei Verdi. Tra di esse, spiccano la sospensione delle licenze per
l’estrazione di gas naturale, l’aumento della “carbon tax”, la
fissazione di un obiettivo annuale per la riduzione di emissioni
inquinanti e il dirottamento degli investimenti per il miglioramento
della viabilità dalla costruzione di strade ai trasporti pubblici.
Il ritorno a politiche di rigore potrebbe dare un’ulteriore spinta al
Sinn Féin, il cui ruolo inedito di primo partito dell’opposizione
rappresenta già di per sé un fattore importante nell’evoluzione da
formazione marginale a partito integrato anche nel panorama politico
della Repubblica d’Irlanda. Proprio i timori per una possibile continua
ascesa del Sinn Féin si sono intravisti nell’opposizione interna ai tre
partiti che hanno appena sottoscritto l’accordo di governo.
Nel Fianna Fáil, il leader Micheál Martin ha dovuto fronteggiare
l’ostilità del suo vice, Eamon O Cuiv, e di una cinquantina di membri
del direttivo del partito. Questa fazione contraria al governo di
coalizione sostiene di avere l’appoggio di almeno mille iscritti.
Perplessità per l’accordo sono presenti anche nel Fine Gael. Nel partito
del primo ministro Varadkar si sono fatte sentire le voci di quanti
temono l’impatto degli impegni in senso ecologista sull’Irlanda rurale
e, ancor più, per l’assenza nel programma appena sottoscritto di misure
che abbiano un qualche effetto sulla crisi sociale che attraversa il
paese e in grado perciò di intercettare almeno una parte dei consensi
del Sinn Féin.
Anche i Verdi devono fare i conti con inquietudini simili, da
ricondurre in buona parte al discredito che comporta l’ingresso in un
gabinetto dominato da forze di centro-destra. Tre
dei 12 deputati di questo partito si sono infatti astenuti nel voto che
ha ratificato l’accordo. L’entusiasmo tutt’altro che generalizzato per
il nuovo governo potrebbe così creare qualche sorpresa nei prossimi
giorni, quando l’accordo stesso sarà sottoposto agli iscritti dei tre
partiti per l’approvazione definitiva. Soprattutto il via libera dei
Verdi merita attenzione, poiché, a differenza di Fianna Fáil e Fine
Gael, questo partito prevede che sia necessaria una maggioranza a favore
dell’intesa pari ai due terzi dei propri membri.
Sia Micheál Martin sia Leo Varadkar hanno comunque sottolineato come
la situazione di crisi attuale richieda la formazione rapida di un nuovo
esecutivo. Gli effetti dell’epidemia, gestiti per il momento con una
certa efficacia da Dublino, potrebbero essere ancora più rovinosi in
assenza di un piano di intervento efficace. Soprattutto, poi, il
persistere dello stallo rischierebbe di mandare il paese a nuove
elezioni che produrrebbero un probabile trionfo del Sinn Féin.
I risultati della consultazione tra la base dei tre partiti della
nascente coalizione per approvare l’accordo saranno noti il 26 giugno
prossimo. In caso di esito positivo, già il giorno successivo il
parlamento di Dublino potrebbe eleggere il nuovo primo ministro
(“taoiseach”). Per questa carica è previsto un avvicendamento, come
accaduto recentemente in Israele tra Netanyahu e il suo ex rivale Benny
Gantz. A guidare l’Irlanda sarà per primo il leader del Fianna Fáil,
Micheál Martin, a cui succederà dalla metà di dicembre del 2022 il
premier uscente e numero uno del Fine Gael, Leo Varadkar.
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