Prima Acea, adesso anche Hera si sta rifiutando di pagare la tassa sugli extraprofitti per le società fornitrici di energia che da mesi stanno facendo soldi a palate.
Nella prima rata del contributo straordinario sugli extraprofitti delle aziende energetiche al 30 giugno, sui 4,2 miliardi attesi ne sono mancati ben 3,1. Per le società del settore energetico che a oggi – 1 settembre – non avranno pagato la tassa del 25% sugli extraprofitti scatta una maxi multa: una maggiorazione del 60% di quanto dovuto.
Con il Decreto Aiuti Bis l’esecutivo aveva programmato di incassare 10,5 miliardi di euro con una tassa una tantum sugli utili extra delle aziende del settore. In due tranche: la prima da pagare entro il 30 giugno (il 40%) e il resto il 30 novembre (per il restante 60%). Ma diverse aziende hanno deciso di non pagare e ad oggi lo Stato ha incassato solo 1,1 miliardi.
L’Eni sembra che abbia pagato regolarmente, altre aziende invece stanno tirando calci.
La multiutility romana Acea ha invece presentato un ricorso al Tar contro il provvedimento adottato dal governo. Acea con una nota ha fatto sapere di aver determinato in 28,5 milioni di euro l’ammontare complessivo del contributo e di aver provveduto al versamento dell’importo dovuto secondo le modalità e le tempistiche previste dalla normativa. Acea ha precisato che “una parte significativa della base imponibile identificata per le società del Gruppo non è riconducibile agli extraprofitti che il legislatore intende tassare, bensì a operazioni straordinarie”. Da qui la decisione di opporsi con un ricorso al Tar del Lazio.
Ma Acea non è la sola. Apprendiamo dai giornali, come se fosse normale, che anche Hera starebbe valutando di aggiungersi a chi non vuol pagare le sue tasse. La grande multiservizi ha come primo azionista il patto di sindacato pubblico, cioè i comuni dell’Emilia-Romagna.
“Hera proclama di essere un’azienda pubblica, ma si comporta come i peggiori speculatori privati” denuncia Potere al Popolo di Bologna. “Di fronte a questa decisione i comuni azionisti, a partire da quello di Bologna, dovrebbero provare a riscoprire una spina dorsale e dire ai consiglieri d’amministrazione nominati dai comuni stessi che il ruolo sociale oggi si assolve pagando le tasse, non facendo i laboratori di partecipazione sui dettagli insignificanti”.
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