A margine della citazione con cui il conduttore di DiMartedì, su La7, ha inserito Marta Collot – uno dei due portavoce nazionali di Potere al Popolo, nonché candidata alle prossime elezioni politiche nel collegio di Bologna – nel novero degli ipotetici presidenti del consiglio, ci sembra opportuno far notare due o tre cose che non appaiono nei tanti commenti (quasi sempre malevoli) circolati sui media o online.
La prima riguarda la differenza profonda, notata da un giornalista di lungo corso, tra i vari protagonisti della scena politica italiana e questa giovane ragazza: «È una donna che crede nella politica, e che quando ha un turno di lavoro rinuncia a venire in trasmissione. Mi ha colpito. Non è certo usuale».
La cosa più importante è però quella che Floris – per ragioni comprensibili – non dice. Se, vista dal vivo, Collot risulta una persona che “crede nella politica” e antepone “i turni di lavoro” all’apparire in video, vuol dire che quasi tutti i personaggi quotidianamente seduti ad urlare nei talk show non ci credono.
Stanno lì, bofonchiano, strepitano, si insultano a telecamere accese, poi vanno tutti insieme al ristorante a farsi i complimenti per come hanno recitato la parte. La politica come l’isola dei famosi o qualsiasi altro reality.
La seconda sottolineatura, ignorata da tutti, è però più importante: «sia che vinca la Meloni, sia che vinca Letta, sia che vincano Calenda o Conte o la Collot, la crisi economica e il contesto europeo porteranno il prossimo presidente del consiglio a fare quello che avrebbe fatto Draghi, né più né meno».
Come i nostri lettori sanno, scriviamo spesso qualcosa di simile. Il “contesto euro-atlantico”, oltre che la crisi economica-energetica, fatto di trattati Nato ed europei, ha definito una gabbia entro cui le scelte dei singoli Stati sono vincolate in modo assoluto.
Chiunque vinca, se soltanto prova a non rispettare anche una singola parte di quegli accordi, verrebbe investito da uno tsunami mosso dai “mercati”, dal Pentagono e dall’Unione Europea (che non è “l’Europa”, ma una struttura semi-statuale che controlla quanto meno la politica monetaria e di bilancio dentro l’eurozona, così come lo Stato Italiano non è “l’Italia”).
Ovviamente un “governo Collot” – al momento nel cielo degli auspici improbabili – costituirebbe una rottura di molti equilibri e aprirebbe una fase di conflitto politico-sociale con importanti ricadute anche nello “schieramento internazionale”. Ma è inutile qui gingillarsi con l’immaginazione...
Il dato centrale è invece la “confessione”, da parte di un officiante mediatico del calibro di Floris, circa l’inutilità della classe politica attualmente sul proscenio. Nessuno di loro – da Meloni a Fratoianni – ha la benché minima volontà o la possibilità di mettere in pratica un millesimo di quanto va promettendo in campagna elettorale. Di fare qualcosa di diverso dall'”agenda Draghi”
Non (solo) perché incompetenti o “arruolati” nel campo euro-atlantico, ma per l’oggettiva dislocazione in altra sede (Nato e UE) delle decisioni strategiche riguardanti (anche) il nostro paese.
Chiunque vinca, sa di essere un automa commissariato. Tranne, appunto, chi “crede nella politica” perché segue una prospettiva di autentica rottura con questo quadro plumbeo sagomato dalla guerra e dall’economia di guerra.
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