Il discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato ieri da Ursula Von der Leyen, ha chiarito in maniera pressoché definitiva che l’Unione Europea ha scelto la via della guerra perché non ha alcuna capacità di cambiare il proprio orientamento. Che, come sappiamo ormai da 30 anni (gli accordi di Maastricht sono del 1992), è fatto di riduzione della spesa pubblica, austerità, bassi salari, competitività internazionale basata sulle esportazioni, ricatto sul debito.
Questo modello è in crisi ormai da oltre un decennio, ma nessun correttivo è stato mai né proposto né adottato. Non perché non ne esistano, sia sul piano teorico sia su quello delle “buone pratiche” di governo. Ma perché questo modello premia i grandi gruppi multinazionali e la speculazione finanziaria, e indirettamente anche i paesi che Nord Europa, quelli che per chissà quale motivo si autodefiniscono “frugali” pur introitando masse sterminate di profitti prodotti altrove.
L’esempio più chiaro è l’Olanda, capofila dei “falchi” dell’austerità, che è diventata il più grande paradiso fiscale nel cuore d’Europa (lì vanno a pagare le tasse gran parte delle multinazionali continentali, a cominciare da Fiat-Stellantis, ecc.) e ospita la cosiddetta “borsa del gas” che sta strangolando l’economia continentale favorendo la speculazione sul prezzo.
Proprio la von der Leyen ha confessato che “stavolta” la UE ha reagito “prontamente”, mentre in tutte le altre crisi – solo “economiche” o sanitarie – aveva perso mesi a cercare faticosi accordi tra gli Stati membri.
Per la precisione: “Quindici anni fa, durante la crisi finanziaria, ci sono voluti anni per giungere a soluzioni durature. Dieci anni dopo, allo scoppio della pandemia, sono bastate poche settimane. Quest’anno, non appena le truppe russe hanno varcato il confine con l’Ucraina, la nostra risposta è stata unanime, decisa e immediata.”
Si potrebbe obiettare che le “soluzioni durature” alla crisi finanziaria sono state spazzate via al primo refolo di inflazione importata (prezzo del gas). Oppure che la gestione della pandemia, incentrata sulla necessità di mantenere la produzione a pieno regime, a tutti i costi, ha generato oltre 2 milioni di morti nella “civilissima” Europa.
Ma non coglieremmo il punto.
È la guerra l’unica soluzione che l’Unione Europea individua per i suoi problemi “strutturali”. Tutto il discorso di von der Leyen è un inno al “coraggio” degli ucraini (fino a pronunciare lo slogan preferito dai nazisti locali, “slava ukraini”) e all’”unità” dei paesi euroatlantici.
La prospettiva di un’economia di guerra, come conseguenza consapevole di questa scelta, è rivendicata apertamente. “La crisi climatica incide pesantemente sulle bollette. Le ondate di caldo fanno crescere la domanda di energia elettrica, mentre la siccità costringe a chiudere le centrali idroelettriche e nucleari.
Di conseguenza i prezzi del gas sono aumentati di oltre 10 volte rispetto a prima della pandemia. Per milioni di imprese e famiglie è sempre più difficile far quadrare i conti. Ma gli europei stanno affrontando con coraggio anche questa situazione.
Nei ceramifici del centro Italia gli operai hanno deciso di spostare i turni al mattino presto per beneficiare delle tariffe più basse dell’energia. Provate a mettervi nei panni di questi genitori, costretti ad uscire di casa di prima mattina, quando i figli ancora dormono, per colpa di una guerra che non hanno scelto.”
E pur non avendola scelta, i cittadini europei saranno obbligati a pagarne il prezzo. Nessuna soluzione al conflitto è prevista, se non la “vittoria” dell’Ucraina (militarmente impossibile), ovvero la cacciata di Putin dal Cremlino (al momento altamente improbabile).
Ergo, si continua sulla strada già intrapresa. “Voglio che sia ben chiaro: le sanzioni resteranno in vigore. È il momento della risolutezza, non delle concessioni. Lo stesso vale per il nostro sostegno finanziario all’Ucraina.”
E se bisognerà stringere la cinghia, verrà fatta stringere con la forza, adottando misure di razionamento obbligato dell’energia (tramite riduzione della potenza erogata, attraverso il controllo centralizzato dei contatori elettrici).
Neanche l’impianto della UE subirà cambiamenti, nonostante la guerra in cui volontariamente si è infilata, seguendo ciecamente gli Stati Uniti. Al massimo, ha detto von der Leyen, ci sarà qualche “flessibilità” in più in alcuni meccanismi strangola-Stati, ma solo per evitare che le tendenze centrifughe possano crescere in modo incontrollato.
“Gli Stati membri dovrebbero disporre di una maggior flessibilità nel loro percorso di riduzione del debito. Dovrebbe esserci tuttavia maggior responsabilità nell’attuare quanto concordato. Servono norme più semplici che tutti siano in grado di seguire e che consentano di creare uno spazio aperto agli investimenti strategici e di dare ai mercati finanziari la fiducia di cui hanno bisogno.”
Abbiamo insomma a che fare con un “personale politico” incapace di adottare soluzioni appropriate ad una fase imprevista, dunque costretto a inventarsi “toppe” per coprire buchi ogni volta più grandi (l’esempio del “whatever it takes” di Mario Draghi dovrebbe essere sufficiente; ha “congelato" quella crisi finanziaria creando le condizioni migliori per l’esplosione di un’inflazione incontrollabile con gli strumenti di cui dispone la BCE).
E che ora vede nella guerra l’unica possibilità di superare i blocchi che inchiodano un sistema mal pensato ma ideale per garantire interessi molto ristretti.
Prendiamo ad esempio la constatazione “Abbiamo bisogno di un contesto imprenditoriale favorevole, di una forza lavoro con competenze adeguate e di un accesso alle materie prime necessarie per la nostra industria. Da questo dipende la nostra futura competitività”.
Logica – anche capitalistica – vorrebbe che per ottenere questo risultato ci si disponesse a perseguire tutte le iniziative adeguate a portare ad una pace in tempi rapidi, in modo da ripristinare almeno la libera commercializzazione delle materie prime.
Invece...
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