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07/02/2023

Separatismi russi, sogni euroatlantici


Dall’inizio della guerra in Ucraina, la Russia parla con una certa frequenza della volontà Nato (Usa ed Unione Europea) di voler distruggere la Russia come entità territoriale e statuale, frammentandola in tanti staterelli a disposizione delle velleità e dei bisogni dell’Occidente.

Un’accusa scarsamente presa sul serio dai media italiani, riportata con molta sufficienza, spesso con ironia, ogni volta che fa capolino in qualche notiziario. Insomma, “la solita fake news della propaganda russa”.

Per chi non ne sapeva molto, noi compresi, era anche possibile che fosse proprio così. In fondo, ogni propaganda di guerra punta al cuore del “pubblico di casa”, e non sarebbe apparso strano che il regime di Putin cercasse il consenso popolare anche facendo leva sulla paura di scomparire come paese e “potenza” euroasiatica.

Martedì 31 gennaio, però, si è tenuto il quinto incontro del Forum delle libere nazioni della post-Russia, che raccoglie le istanze autonomiste di minoranze etniche e realtà regionali russe (e dei loro simpatizzanti euroatlantici: americani, polacchi, baltici).

La giornata è stata intitolata Russia imperiale: conquista, colonizzazione e genocidio. Roba d’accatto, certo, ma questa volta il “teatro” ospitante è stato nientepopodimeno che... il Parlamento Europeo. Sì, quel posto dove intrallazzano i Panzeri, le Kalil e via dicendo, dove ci si vende al miglior offerente distribuendo patenti di “dirittoumanismo” persino al Qatar...

L’approdo del gruppo a Bruxelles – raccontano le scarne cronache a seguito dell’evento – conta più in termini simbolici che sostanziali. Ma dal primo Forum, lo scorso 8 maggio a Varsavia, il progetto sembra aver guadagnato crescenti adesioni e notorietà.

È anzitutto aumentato il numero dei cosiddetti “movimenti interni alla Federazione” che reclamano specifici gradi di autonomia dal centro e una riorganizzazione del territorio federale.

Anche a Bruxelles ritengono che si tratti di minoranze numericamente esigue e non strutturate a livello istituzionale (insomma: gruppi di autonominati “rappresentanti di...”, come in un film di Totò), ma comunque i presunti esponenti delle regioni di Kuban, Siberia, Kaliningrad, Ingria (San Pietroburgo) e Urali hanno annunciato dei referendum online per l’autodeterminazione.

Un referendum online – per chi conosce i mille problemi di validazione delle identità, qui in Europa, anche in una semplice “piattaforma” come LiquidFeedback o similari – è poco più di una battuta satirica senza conseguenze. Figuriamoci come si può fare coordinando dall’estero intere popolazioni “sottoposte a feroce dittatura”.

In pratica, gruppi di “dissidenti indipendentisti” delle decine di etnie presenti nella Federazione Russa (quasi tutte già dotate di una propria entità amministrativa riconosciuta nella Duma), probabilmente più “forti” nella diaspora che in patria, se la canterebbero e suonerebbero gridando alla “libertà da Mosca”.

È evidente che l’elemento serio non è costituito da questi gruppuscoli, che hanno in comune solo il sogno di veder scomparire la Russia dalle mappe geografiche e politiche, ma il crescente sostegno euro-atlantico (quantomeno retorico).

Lo dimostra il fatto che l’appuntamento sia stato questa volta ospitato direttamente nel cuore istituzionale dell’Ue, segno che quantomeno questa “istituzione” considera “promettenti” gli sviluppi potenziali di simili iniziative. Magari non servirà ad altro che dare un volto visibile – e “presentabile” – ai fantasmi dei “combattenti per la libertà”, ma come accaduto per i Navalnij ed altri, tornerà sicuramente utile all’“altra” propaganda. Quella della Nato, che punta ai “nostri” cuori.

Fin qui il sostegno era venuto soprattutto dai paesi dell’Est in prima fila contro la Russia. In primis da parte della Polonia, che spera di contribuire al collasso della Federazione incitandone i separatismi interni, oltre che aiutando l’Ucraina a vincere sul campo.

Il progetto di «decolonizzazione e ricostruzione» della Russia (uno dei capitoli esplicitamente indicati dei “lavori” del “Forum delle libere nazioni”) è stato portato all’attenzione di Bruxelles su spinta dell’ex ministro degli Esteri polacco Anna Fotyga, ora europarlamentare, protagonista dei lavori del Forum fin dai suoi albori.

Fotyga ha ricordato che i rischi derivanti dalla “dissoluzione della Federazione Russa” saranno meno pericolosi “che lasciare intatto un impero aggressivo”. Affermazione che qualunque esperto di armamenti nucleari potrebbe facilmente mostrare come demenziale, visto che un arsenale atomico se non altro all’altezza di quello statunitense si verrebbe a quel punto a trovare nelle mani di un qualsiasi cacicco locale con sogni di grandezza. Con qualche problema serio per la stabilità del pianeta...

Ma l’attivismo polacco è notoriamente spalleggiato dalle frange più aggressive dell’amministrazione americana, espresse in questa edizione del Forum dall’analista statunitense di origini polacche Janusz Bugajski (già consigliere per il dipartimento di Stato e della Difesa), il cui ultimo libro Failed State. A guide to Russia’s Rupture è stato additato dalla stampa russa come breviario dei piani a stelle e strisce per lo smembramento della Federazione.

Ma un libro è solo un libro; un’organizzazione riconosciuta, finanziata e coccolata dalle massime istituzioni europee è qualcosa di molto più concreto, anche se allo stato “aurorale”.

Il Forum ha anticipato il vertice Ue-Ucraina del 3 febbraio che si è tenuto a Kiev, nel cuore del paese in guerra. Entrambi segnalano un maggiore coinvolgimento delle cancellerie europee in un conflitto sempre meno indiretto, evidente anche nella recente decisione sulla consegna degli agognati carri armati pesanti di fabbricazione occidentale (Leopard 2 tedeschi, Leclerc francesi, Abrams statunitensi, Challenger 2 inglesi).

Le pressioni del presidente ucraino Volodymyr Zelenskij per un rapido avvio dei negoziati sull’adesione del proprio paese all’Ue (che comunque non è all’orizzonte) pongono però agli europei lo stesso quesito sollevato dai Forum di separatisti russi, tutti ospitati non a caso in paesi Ue: quanto lasciarsi implicare nella guerra per procura tra Russia e Stati Uniti, di cui il Vecchio Continente è terreno e posta in gioco.

La mappa della post-Russia, che ha campeggiato nelle giornate del Forum a Bruxelles, ci sembra particolarmente significativa. O meglio, inquietante. Spicca quella bandiera americana su una parte rilevante della Siberia, probabilmente la più ricca di risorse minerarie e idrocarburi.

Qualche demente, all’interno della Nato, sembra nutrire sogni di questo genere.

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