Ci sono voluti sette morti occidentali, per di più in maggioranza inglesi e statunitensi, per imporre un arresto almeno temporaneo della “soluzione finale” per Gaza, con l’attacco di terra anche su Rafah.
Non può sfuggire che anche in questo, comunque, ha giocato un ruolo il suprematismo occidentale bianco, sensibile soltanto ai “suoi” morti e indifferente a quelli altrui.
Nelle stesse ore, all’incirca, l’inchiesta di Yuval Abraham – pubblicata sui siti di informazione +972 e Local Call israeliani e dunque non liquidabili con la bacchetta dell’“antisemitismo” – ha squarciato il velo sull’accuratezza con cui l’Idf seleziona i suoi bersagli e finge di voler limitare le “vittime civili”.
Non esiste nessun limite.
Di più: l’eliminazione di un “miliziano di Hamas” o di altre organizzazioni palestinesi legittimava, prima del 7 ottobre, la strage dei suoi familiari bombardandone la casa al suo rientro. Dopo quella data anche quella pseudo-restrizione è stata cancellata.
Basta guardare le cifre fornite da Israele, che indica in 13.000 i “combattenti di Hamas” eliminati; e metterle a confronto con gli oltre 32.000 morti registrati dagli ospedali di Gaza, in maggioranza donne e bambini. In pratica, per Tel Aviv, tutti i palestinesi maschi sopra il 17 anni sono “terroristi”.
Di più: l’individuazione degli obiettivi – decine di migliaia – non avviene con le consolidate tecniche di intelligence (informatori, verifiche, controlli, ecc.), ma attraverso programmi di intelligenza artificiale che incrociano i dati a disposizione di Tel Aviv, che da sempre controlla l’anagrafe, la rete telefonica, i servizi bancari, ecc., dei palestinesi.
La velocità sostituisce la precisione, lo “sterminio mirato” sostituisce “l’omicidio mirato”.
Di più: non c’è alcun “decisore umano”, davanti a un “consiglio” dell’IA, in grado di verificare la credibilità delle indicazioni dell’IA e disporre altrimenti. Gli “informatici-soldati” dell’Idf addetti a questo compito hanno a disposizione in media 20 secondi per dare o no l’ok al bombardamento di un palazzo pieno di gente pur di uccidere un solo “miliziano”, non necessariamente un “dirigente”.
20 secondi è il tempo che ci mette un normale redattore addetto all’editing di un articolo per decidere se correggere un singolo refuso, cancellare un aggettivo inadatto, aggiungere o togliere una virgola. Si può sbagliare, come sanno anche i nostri lettori, e si sbaglia anche spesso. Ce ne dispiace il giusto, ovviamente, e ci consoliamo dicendo “in fondo, per questo, non muore nessuno”.
Lì, invece, viene compiuta una strage di innocenti, che comprende “l’obiettivo” (neanche sempre), i suoi familiari, i suoi vicini di casa, cani, gatti e pure il pesce rosso.
Di più: quest’ultimo possibile “frenatore umano” è sottoposto alla pressione continua di comandanti di reparto che “stanno sotto la media” e chiedono obiettivi-laqualunque per recuperare il gap e non fare brutta figura con Gallant, Netanyahu, Ben-Gvir. Meglio farli contenti...
Le immagini di Gaza oggi sono identiche a quelle dei grandi massacri cittadini del ‘900, da Coventry a Dresda, da Hiroshima a Nagasaki. Lì la “logica” era quella di radere al suolo una città per incutere terrore a un popolo intero per indurre i rispettivi governi alla resa.
A Gaza l’obiettivo non è neanche questo. I palestinesi, semplicemente, devono sparire. O andando via “volontariamente” o morendo.
Anche per questo l’unica definizione adeguata resta quella di genocidio.
L’establishment occidentale rifiuta questa definizione accettando l’“egemonia culturale” israeliana, secondo cui solo l’Olocausto “merita” un’accusa tanto infamante (peraltro sotto esame al Tribunale de L’Aja, certo un organismo storicamente non maldisposto verso Tel Aviv).
La logica nazista dello sterminio di ebrei, comunisti, omosessuali, rom (meglio sempre ricordare che non si trattò di una “esclusiva”) venne dissezionata fino alla radice, scoprendo quanto era derivante dalla “logica industriale”, dalla sua logistica, dalle sue catene di montaggio, dai suoi obiettivi “produttivistici”.
Figlia insomma della “terza rivoluzione industriale”, che subordinava gli esseri umani alla logica totalitaria del profitto. Lì “riadattata” all’eliminazione fisica di grandi masse considerate di untermenschen.
A Gaza vediamo all’opera la tecnologia finale della “quarta rivoluzione industriale” (quella informatica), ovvero l’Intelligenza Artificiale che surroga molte delle funzioni intellettuali di medio livello – quelle amministrativo-ripetitive – degli esseri umani.
La “banalità del male” rappresentata allora dai “silenti” davanti all’orrore nazista è oggi trasferita a una macchina computazionale “stupida ma veloce”, in cui qualcuno – lo Stato israeliano – ha inserito le istruzioni miranti all’eliminazione di una popolazione.
S’è ristretta insomma la massa di umani responsabile di esser complici di un genocidio (i solerti informatici che in 20 secondi decidono se scagliare o no il fulmine di zeus). Ma, a differenza della popolazione tedesca di 80 anni fa, quella minoranza di criminali non ha neanche la possibilità di dirsi all’oscuro di quanto sta facendo. Proprio come un guardiano di Aushwitz...
Di più: nella “filiera produttiva” dello sterminio macchinistico dei nazisti esisteva ancora uno spazio minimo in cui chi non era d’accordo, se controllava un piccolo segmento della filiera – uno Schindler, insomma, o uno dei tanti “giusti” mai troppo ricordati per aver rischiato o perso la vita pur di ridurre le proporzioni dell’Olocausto – poteva infilare il suo sassetto sabotatore.
Nel deserto dell’IA questo è praticamente escluso. Ed anche quell’ultimo operatore umano è comunque troppo vicino al comando dei genocidi per potersi permettere sia pure un semplice scarto rispetto all’andazzo.
La macchina sterminatrice è impersonale, insensibile, senza possibili crisi di coscienza.
Un altro e forse definitivo passo avanti verso l’orrore assoluto.
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