Ci siamo presi un attimo di tempo in modo da smaltire l’indignazione e riflettere freddamente.
Ieri, 22 aprile, sono stati arrestati tredici agenti della polizia penitenziaria accusati di “maltrattamenti, lesioni e falso ideologico” nei confronti di almeno una decina di detenuti dell’istituto penitenziario minorile Cesare Beccaria.
L’elenco delle prove raccolte dai magistrati è lunghissimo e costituisce un’enciclopedia dell’orrore. Ve ne daremo anche noi un piccolo compendio per consentire a tutti di misurare la distanza siderale tra la realtà delle carceri italiane e le indicazioni scritte sia nella Costituzione che nelle leggi ordinarie.
Un di più di orrore viene dal fatto che le vittime sono minorenni, ossia persone in formazione – non “delinquenti professionali” – che sarebbe compito dell’istituzione (anche di quella repressiva) provare a recuperare alla vita civile.
Sembra scontato concluderne che, se quella che segue è l’identità dell’istituzione, quei ragazzi e tutti coloro che condividono la loro vita saranno convinti per sempre che lo Stato è solo una macchina da tortura fondata su un suprematismo straccione.
Nell’ordinanza si legge: “Dopo che un gruppo di circa dieci agenti raggiungeva la cella” un poliziotto “apriva la finestrella del blindo” (la porta blindata della cella, ndr), chiedeva al detenuto di avvicinarsi “e gli spruzzava negli occhi uno spray al peperoncino”.
Sei poliziotti subito dopo “entravano nella cella e aggredivano” il ragazzo con “calci e pugni su tutto il corpo e lo facevano cadere a terra, mentre lo insultavano dicendogli “Sei un figlio di p*****, tua madre è una tr***, sei un clandestino, ti faccio vedere io come fare il figlio di put****”, una volta steso a terra, lo ammanettavano, continuando a colpirlo e gli strappavano la maglietta, mentre il ragazzo tentava di difendersi con un pezzo di piastrella”.
Dopo averlo portato in una cella in isolamento un agente lo ha spogliato “lasciandolo completamente nudo e ammanettato; a questo punto” un altro poliziotto “toglieva la cintura” a un collega “e lo colpiva con più cinghiate anche sulle parti genitali fino a provocarne il sanguinamento, mentre” un altro agente “continuava a colpirlo con numerosi calci”.
Il mattino successivo due agenti “lo svegliavano per spostarlo dalla sua cella e lo colpivano nuovamente in faccia con schiaffi e pugni insultandolo con termini quali ‘sei un bastardo, sei un arabo zingaro, noi siamo napoletani, voi siete arabi di merda, sei venuto ieri’; lo trasportavano in una cella singola ove lo colpivano nuovamente in faccia e sul naso”.
Più o meno le frasi che 60 anni fa delle guardie lumbard o piemontesi rivolgevano ai detenuti meridionali, napoletani in testa... Suprematismo straccione, appunto, da penultimi della fila...
«Sono arrivati sette agenti, mi hanno messo le manette e hanno cominciato a colpirmi», racconta ai pm S.
«Ho un problema con la spalla sinistra e mettendomi le manette me l’hanno fatta uscire». Poi uno schiaffo, un pugno, infine calci nelle parti intime: «Vedevo tutto nero. L’ultima cosa che mi ricordo è che mi sputavano addosso. Dopo mi hanno sollevato così, da dietro, dalle manette».
Come ulteriore premio ha ricevuto 10 giorni in cella d’isolamento, i primi tre senza materasso e cuscino.
«È normale essere picchiati al Beccaria» racconta A.
Una violenza sistemica, scrive la gip Stefania Donadeo nell’ordinanza d’arresto: «Le violenze perpetrate all’interno del carcere Beccaria corrispondono esattamente a una pratica reiterata e sistematica che connota la condotta ordinaria degli agenti che vogliono stabilire le regole di civile convivenza e imporle picchiando, aggredendo e offendendo i minorenni detenuti».
Oltre a lesioni, maltrattamenti, tortura c’è anche una tentata violenza sessuale. Novembre 2022, mentre il detenuto minorenne dorme, un agente si avvicina al suo letto e gli pone la mano sul sedere, accarezzandolo. Al risveglio improvviso del recluso che gli chiede: “Cosa vuoi?”, l’agente risponde: “Stai tranquillo, voglio solo fare l’amore con te”. Questo episodio non si è poi concretizzato in violenza sessuale solo grazie alla reazione del ragazzo (e probabilmente al fatto che, in casi come questo, l’agente non poteva chiedere la complicità dei colleghi).
Gli agenti sono accusati anche di aver falsificato le relazioni di servizio per nascondere quello che accadeva.
«La diffusione sistematica della violenza ha determinato anche negli stessi detenuti la maturazione di un’idea di normalità della stessa».
Talmente “normale” che in previsione del prossimo pestaggio i ragazzi mettevano in atto le solite “misure preventive”. «Ci eravamo coperti con tanti vestiti a strati perché così avremmo sentito meno le botte».
Il sistema di tortura era talmente “normale” da aver destinato alcune celle ai pestaggi più violenti; erano senza telecamere interne, di modo che non potesse restarne traccia video (avevano capito, dopo Santa Maria Capua Vetere, che quelle fornivano “prove”).
Una notte «mi hanno svegliato e mi hanno picchiato mentre ero in cella con un altro, mi hanno portato giù in una stanza singola e lì mi hanno ancora picchiato in faccia, sul naso, che mi faceva tanto male. Mentre mi picchiavano dicevano ‘sei venuto ieri... e fai così, sei un bastardo, sei un arabo zingaro’».
Un concentrato di sadismo e razzismo, che sintetizza un fondo “ideologico” comune a molti corpi militari o assimilati. E pure a diversi partiti politici, immaginate quali...
Gli agenti usavano «sacchetti tipo di sabbia per picchiarli, per non lasciare tracce», in questo caso lividi evidenti e refertabili da un medico.
I difensori istituzionali dei presunti “tutori dell’ordine” hanno immediatamente imbracciato il mitra retorico che riduce scandali del genere a responsabilità individuale o di gruppo di “poche mele marce”.
Noi ci limitiamo a constatare che solo negli ultimi due anni abbiamo avuto episodi come quello di Santa Maria Capua Vetere, dove i video delle telecamere mostrano che tutto il personale del carcere partecipava ai pestaggi, distinguendosi individualmente solo per il dosaggio di violenza o entusiasmo partecipativo.
Molto più grave quello che è avvenuto a Modena, in piena pandemia, quando ben nove detenuti sono morti in circostanze mai chiarite e anzi frettolosamente derubricate a “overdose di farmaci”. In quel caso le telecamere interne erano state tutte spente e gli agenti hanno avuto piena libertà di azione. Niente prove, se non le testimonianze dei detenuti sopravvissuti, praticamente identiche a quelle dei ragazzi del Beccaria, ma considerate in quel caso dai magistrati come “poco credibili”.
Il rapporto dell’associazione Antigone ricorda che nel 2023 sono state almeno 70 le persone che si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena. Nei primi mesi del 2024, almeno 30. “Almeno” – sottolinea l’associazione – perché numerosi sono i decessi con cause ancora da accertare, tra i quali potrebbero quindi celarsi altri casi di suicidio. Seppur in calo rispetto all’anno precedente, i 70 suicidi del 2023 rappresentano un numero elevato rispetto al passato. Il più elevato dopo quello del 2022. Guardando agli ultimi trent’anni, solo una volta si è andati vicini a questa cifra con 69 suicidi nel 2001”.
Tra le cause dei tanti suicidi si fa spesso riferimento al sovraffollamento, ma poche volte si menziona il clima di terrore e violenza con cui vengono gestite tutte le carceri di questo paese. E sembra davvero incredibile che gli “spazi ristretti” siano giustamente considerati come una causa di depressione, mentre la frequenza dei pestaggi e la sensazione di essere in balia di torturatori sarebbero praticamente ininfluenti.
Eppure anche l’induzione al suicidio è un reato, no?
Lo “sfondo ideologico”, come si può notare, è quello ben noto di un “liberismo” che colpevolizza la povertà e l’emarginazione sociale, massimamente sugli immigrati. Un liberismo che affida poi la “gestione concreta” della presunta “devianza” alla disinvolta capacità di un personale “fascista nell’anima” di praticare la violenza ad libitum. Al riparo da sguardi indiscreti.
Tortura, omicidio, violenza sessuale. Nulla viene escluso. È il tenore della “guerra interna”, che riflette il clima di quella esterna, che è “nell’aria”. Dal Beccaria a Gaza.
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