Il 25 aprile, mentre in Italia si manifestava contro il fascismo e in solidarietà della legittima resistenza palestinese, la BCE ha pubblicato il suo terzo bollettino economico dell’anno. Insieme a questo, tutti gli operatori economici attendevano col fiato sospeso notizie sui tassi di interessi.
Per il vicepresidente della Banca, De Guindos, il taglio di questi ultimi è già un “fatto compiuto”, e si avrà a giugno. Allo stesso tempo, però, nel documento reso pubblico viene esplicitato che si manterranno tassi restrittivi finché sarà considerato necessario.
Queste indicazioni quantomeno ambigue hanno portato il governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, a riaffermare pubblicamente il suo sostegno al taglio dei tassi, senza tergiversare ulteriormente. La preoccupazione è che l’alto costo del denaro scoraggi ulteriormente gli investimenti, incancrenendo la stagnazione economica.
I tassi sui prestiti alle imprese e sui mutui ipotecari sono diminuiti di un decimo di punto a febbraio, mentre di due decimi sono aumentati i prestiti alle imprese su base annua. Numeri irrisori per far credere a un cambio di passo, e il timore è che la paura dell’inflazione blocchi qualsiasi scelta dell’Eurotower.
Essa, al di là di tutto, prevede che l’inflazione oscilli sui livelli attuali ancora per alcuni mesi, per poi raggiungere l’obiettivo del 2% il prossimo anno. Questa dinamica è dovuta, spiega il bollettino, certo alla politica monetaria e al ridursi dell’impatto della crisi pandemia ed energetica, ma anche alla “più debole crescita del costo del lavoro”.
Ovviamente, anche nelle polemiche sollevate verso la BCE dalla maggioranza italiana, nessuno ha sottolineato come l’inflazione sia stata tenuta a bada con una guerra agli adeguamenti dei salari al costo della vita. Il tutto mentre gli istituti bancari hanno visto volare i propri profitti.
Bisogna tuttavia dire che la preoccupazione per le condizioni economiche e per il malcontento dei lavoratori è tale che Panetta si è azzardato in un discorso che non sentiamo spesso. Egli ha evidenziato come discutere di salari in maniera scollegata da profitti e produttività è fuorviante.
A suo avviso le imprese “potrebbero assorbire l’aumento dei salari (e potenzialmente anche dei costi totali) riducendo i margini di profitto. Questa compensazione richiede una compressione temporanea dei margini di profitto e questo è più probabile che si verifichi quando la domanda è debole e i margini sono alti. Questo è attualmente il caso dell’area dell’euro”.
Panetta scorda di dire che servirebbe anche un po’ di intelligenza strategica e non solo di cieca fame di profitti per fare questo. Il suo non è un discorso anticapitalistico, è anzi il consiglio consapevole di chi sa che per mantenere guadagni e controllo del mercato del lavoro, bisogna sapersi muovere flessibilmente con la congiuntura economica.
Questa capacità strategica non è però il punto forte delle classi dirigenti europee, che hanno invece deciso di tornare alle vecchie ricette dell’austerità, ad esempio, e persino di peggiorarle. È ancora la BCE a confermare che il nuovo Patto di Stabilità si tradurrà in misure di consolidamento di bilancio con effetti recessivi valutati tra lo 0,2 e lo 0,4% del PIL dell’Eurozona ogni anno.
I vertici della UE vogliono sempre “la botte piena e la moglie ubriaca”. Vogliono l’austerità ma vogliono anche la crescita economica, vogliono politiche monetarie restrittive ma vogliono anche l’aumento degli investimenti.
Questo gioco sulla pelle delle classi popolari non potrà durare ancora a lungo...
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