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18/04/2024

Il nuovo disordine mondiale / 25: Fratture della guerra estesa

di Sandro Moiso

«Grand Continent», Fratture della guerra estesa. Dall’Ucraina al metaverso, LUISS University Press, Roma 2023, pp. 170, 18 euro

«Grand Continent» è una rivista online consacrata alla geopolitica, alle questioni europee e giuridiche e al dibattito intellettuale con lo scopo di “costruire un dibattito strategico, politico e intellettuale”. Nata nell’aprile 2019, è pubblicata dal Groupe d’études géopolitiques, associazione indipendente fondata presso l’École normale supérieure nel 2017. A partire dal 2021 è integralmente pubblicata in cinque lingue diverse: francese, tedesco, spagnolo, italiano e polacco.

Gli articoli sono scritti da giovani ricercatori e universitari, ma anche da esperti e intellettuali di vario indirizzo, come: Carlo Ginzburg, Henry Kissinger (†), Laurence Boone, Louise Glück, Toni Negri(†), Olga Tokarczuk, Thomas Piketty, Élisabeth Roudinesco e Mario Vargas Llosa.

«Grand Continent» ha animato un ciclo di seminari settimanali presso l’École normale supérieure, nonché un altro di conferenze trasmesse da Parigi in numerose città europee e divenuto un libro, Une certaine idée de l’Europe, pubblicato dall’editore Flammarion nel 2019 (con scritti di Patrick Boucheron, Antonio Negri, Thomas Piketty, Myriam Revault d’Allonnes e Elisabeth Roudinesco). Gli articoli della rivista sono stati ripresi in numerosi quotidiani e media internazionali.

Fratture della guerra estesa è il secondo volume cartaceo di «Grand Continent», il primo pubblicato anche in italiano. Uscito per LUISS University Press, pur presentando contenuti per molti punti di vista ampiamente discutibili, si rivela comunque di grande interesse per chiunque voglia affrontare i problemi connessi all’attuale età della guerra e della crisi dell’ordine occidentale del mondo seguito sia alla fine della guerra fredda e alla fine dell’URSS che alla successiva crisi apertasi con la fine della globalizzazione o, almeno, di ciò che l’Occidente intendeva come tale.

Il titolo della rivista rinvia al Grande Continente, intendendo con questa definizione l’Europa nella sua possibile concezione francese (sottintendente per questo una grandeur che viene estesa all’intera politica continentale), sia nelle sue scelte economiche che politiche e strategico-militari.

Il contenuto, in questo numero, è ancora incentrato sulla guerra in Ucraina, essendo uscito, in Italia, proprio nel mese di ottobre 2023, a ridosso dell’azione militare di Hamas e delle sue conseguenze politiche, militari e umanitarie. Ma pur mantenendo il baricentro sulla frontiera orientale d’Europa, allarga comunque lo sguardo al rapporto tra guerra, tecnica, tecnologia e tecnocrazia (si vedano gli articoli da pagina 69 alla 113) e alla dottrina della “guerra ecologica” con gli articoli compresi tra pagina 117 e pagina 154.

Un panorama della guerra che viene oppure, a seconda dei punti di vista, che è già in atto che pone comunque al centro, fin dall’introduzione di Gilles Gressani e Mathéo Malik, il progressivo spostamento della centralità politica, militare ed economica dall’Occidente, e in particolare dall’Europa, ad altre aree, non solo geografiche.

Tra la pandemia e l’esplosione delle rivalità geopolitiche, un ordine è crollato; dal lento muoversi delle placche tettoniche, un nuovo mondo emerge, senza che si possa ancora definire la sua forma. Interregno: intervallo di tempo fra la morte, l’abdicazione, la deposizione di un re, o altro sovrano, e l’elezione o la proclamazione del successore. Periodo di vacanza, di passaggio, di transizione, di crisi. Interruzione di durata variabile. Tendenze di un mondo in profonda ristrutturazione, che però non siamo in grado di descrivere, trasformare o fermare1.

È una considerazione concisa e importante allo stesso tempo, quella appena citata. Una considerazione che riguarda l’ordine imperiale e geopolitico del mondo, in sempre più rapida trasformazione. Una considerazione in cui l’unico elemento assente è quello della lotta di classe che, comunque, tarda ancora a manifestarsi nelle forme e modalità ritenute canoniche. Motivo per cui, esattamente come per l’ordine geopolitico e imperiale messo in crisi, anche tanta Sinistra, sia istituzionale che (pretesa) radicale o antagonista, si è trovata impreparata, sorpresa e confusa una volta messa di fronte alla guerra. Fino al punto di schierarsi apertamente, e senza alcuna capacità previsionale, con uno dei fronti in lotta.

Ecco allora che la rivista qui recensita, che pure tifa per una delle parti già coinvolte nella lotta “dinastica”, in corso su scala planetaria da tempo, ma esplosa davanti a tutti a partire dall’invasione russa dell’Ucraina, ovvero per l’Europa così come fino ad ora ha voluto fingere di rappresentarsi, può costituire un utile punto di riferimento per una riflessione che voglia escludere qualsiasi complottismo o interpretazione ideologizzata a proposito del nuovo disordine mondiale.

Nuovo disordine mondiale in cui tutti gli attori statali, economici e militari, pur fingendo grande unità di intenti con i presunti vicini e alleati, giocano in realtà per se stessi. In una partita il cui disordine aumenta man mano che tutte le regole precedentemente stabilite dal Risiko occidentale vengono abbandonate, tradite o ridefinite da ogni giocatore senza accordo alcuno con tutti gli altri player. Si tratti di Unione Europea, di NATO o di Brics (solo per sintetizzare in poche sigle), nessuno sembra davvero affidarsi totalmente agli alleati. In particolare nei confronti di quelli occidentali ed europei. Come si sottolinea ancora nell’introduzione:

Nella guerra che oppone la Russia all’Ucraina, i tre quarti della popolazione mondiale scelgono di non scegliere. Il non allineamento resta una leva potente per difendere i propri interessi. Dall’India di Modi al Brasile di Lula, passando per l’Indonesia di Jokowi o per le potenze del Golfo, delle nuove potenze geopolitiche formulano nuove priorità. Hanno dei mezzi, delle ambizioni a volte immense. Sfrutteranno tutte le estensioni della guerra per guadagnare il riconoscimento dei loro interessi. Utilizzeranno anche dei “modelli di crescita elaborati nel secolo scorso, in particolare la politica industriale e il capitalismo politico”. Bisogna studiarli da vicino per capire la loro forza di attrazione sul resto del mondo, ai danni di un continente ancora una volta traumatizzato, finalmente – e definitivamente? – provincializzato2.

E tutto ciò, che non può far altro che acuire il disordine e farlo precipitare in una guerra “grande” che già non si sa più se sia la Terza o la Quarta guerra mondiale e che più che essere la manifestazione di un “piano” o di più “piani” organizzati, è invece quella di una confusione generale di intenti e obbiettivi che non coincidono affatto, ma che confliggono tra di loro, anche all’interno dei maggiori paesi coinvolti.

Si badi, per esempio, alle esternazioni di Macron sulla volontà di inviare truppe in Ucraina: è forse un tentativo di compattare la Nazione in vista di un nuovo ruolo geopolitico della Francia oppure quello di mostrare che la grandeur della stessa (vecchio sogno di De Gaulle) potrebbe sostituirsi alla presenza americana, soprattutto dal punto di vista militare in Europa, dopo le dichiarazioni di disimpegno del tutt’altro che pacifista Trump in caso di vittoria di quest’ultimo alle prossime elezioni presidenziali?

Oppure è una sfida al Regno Unito e alla Germania sul piano militare e politico per chi davvero, in Europa, dovrà portare i pantaloni “mimetici” in casa? E tutte queste possibili considerazioni come possono condurre ad un reale impegno militare comune europeo e ad una centralizzazione del comando della forze armate dei paesi della UE?

Senza contare l’eterna conflittualità con l’italietta dei piani Mattei e dei sotterfugi per rimanere nell’Africa Sub-sahariana a discapito della presenza politica e militare francese nella stessa area. Oggi resa ancor più critica dopo la vittoria elettorale in Senegal di una fazione politica a lungo perseguitata da un Presidente particolarmente fedele all’Occidente e alla Francia.

Ridurre il tutto al conflitto per il petrolio sarebbe enormemente fuorviante. Certo il conflitto per l’oro nero insanguina il pianeta fin dalla prima guerra mondiale ed è giunto, oggi, fin davanti alle spiagge di Gaza, ma sottolineare un unico movente per il disordine che attanaglia il pianeta, nelle sue forme più sanguinarie e distruttive, è davvero troppo riduttivo e fuorviante. Tenendo anche conto del fatto che, come si segnala ancora nella stessa introduzione: «L’importazione di chip da parte della Cina – 260 miliardi di dollari nel 2017, anno dei primi passi di Xi a Davos – è stata di gran lunga superiore alle esportazioni di petrolio dell’Arabia Saudita o all’export di automobili della Germania. Le somme che la Cina spende ogni anno per l’acquisto di chip sono superiori a quelle dell’intero commercio globale di aerei. Nessun prodotto è più importante dei semiconduttori nel commercio mondiale»3.

Pertanto, ancora solo a titolo d’esempio, la questione Taiwan va ben al di là del semplice interesse “nazionalistico” poiché, come ormai tutti dovrebbero sapere, l’isola rivendicata dalla Cina è il primo produttore mondiale di circuiti integrati. Settore, quest’ultimo, rispetto cui Pechino sta cercando di raggiungere una posizione di autonomia sia attraverso il controllo delle cosiddette “terre rare” necessarie per la produzione degli stessi, e del settore informatico ed elettronico più in generale, sia attraverso ciò che Xi definì proprio nel 2017 come l’“assalto ai valichi” ovvero al monopolio o ai monopoli della produzione dei semiconduttori, particolarmente importanti ormai anche dal punto di vista militare in un contesto in cui la Cina cerca da anni, in parte riuscendoci, di superare le forze armate americane sul piano dell’ammodernamento e nell’utilizzo dell’IA.

Se l’unico obiettivo della Cina fosse quello di giocare un ruolo maggiore in questo ecosistema (il settore dei semiconduttori – NdR), le sue ambizioni avrebbero potuto essere soddisfatte. Ma Pechino non sta cercando una posizione migliore in un sistema dominato da Washington e dai suoi alleati. L’invito di Xi a “prendere d’assalto le fortificazioni” non è una richiesta di una quota di mercato leggermente più alta. L’ambizione è diversa: si tratta di ricreare interamente l’industria globale dei semiconduttori, non di integrarsi al suo interno [...] È una visone economica rivoluzionaria, con il potenziale di trasformare profondamente l’economia globale e i suoi flussi commerciali [...] E non sono solo i profitti della Silicon Valley a essere minacciati: se lo sforzo cinese verso l’autosufficienza nei semiconduttori avrà successo, i suoi vicini, le cui economie dipendono per lo più dalle esportazioni, ne risentiranno ancora di più [...] La posta in gioco è il più fitto insieme di catene di approvvigionamento e flussi commerciali del mondo, le filiere dell’elettronica che hanno sostenuto la crescita economica e la stabilità politica dell’Asia nell’ultimo mezzo secolo [...] Nemmeno un populista come Trump avrebbe potuto immaginare una revisone più radicale dell’economia globale4.

Ma, ancora una volta, questo è solo uno degli elementi di confronto e conflitto, sospeso tra l’economico e il militare, che agitano le acque, non solo del Mar Rosso o del Golfo Persico. Motivo per cui, anche se per le ragioni precedentemente esposte, «Grand Continent» non poteva ancora parlarne, un ultimo sguardo, e forse anche qualcosa di più, va concesso a quanto sta capitando a Gaza e dintorni. A partire dall’ambigua posizione statunitense nei confronti di Isarele e del conflitto e ai massacri condotti nella striscia. Posizione che, con l’astensione (e non il veto) sulla mozione approvata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 25 marzo, più che dimostrare una ben organizzata strategia statunitense per il Medio Oriente dimostra invece come il percorso ambiguo e altalenante sia dovuto più a indecisioni e debolezze, sia nei confronti di un elettorato interno stanco di Biden che di un mastino come Netanyahu che, nel suo disperato attaccamento al potere, morde la mano del suo attuale “padrone” sperando nell’arrivo, a novembre, di un altro meglio disposto (per ora soltanto a parole), più che a un ben mirato piano di controllo delle contraddizioni dell’area.

In un contesto in cui, sia con un presidente democratico che repubblicano, gli Stati Uniti dovranno tenere sempre più conto delle tendenze centrifughe degli alleati arabi e, allo stesso tempo, della sempre più forte presenza economica e diplomatica cinese nell’area del Golfo. Con un progressivo allontanamento da Israele come unico garante degli interessi americani nell’area medesima.

In fin dei conti la confusione israeliana nell’azione a Gaza è lo specchio della confusione americana e occidentale in genere. Confusione che, attualmente, è in grado di garantire soltanto il diffondersi di un paesaggio di rovine da Gaza City a Kiev e Belgorod senza altra prospettiva del protrarsi e l’inasprirsi di una guerra che, in assenza di una diversa azione delle classi meno abbienti contro la stessa, seguirà il suo corso fino all’estensione di un panorama di rovine su scala planetaria e da cui uscirà, forse, un nuovo sovrano.

In questo senso le riflessioni e i contributi contenuti nella rivista in questione possono essere di stimolo anche per un lavoro politico che non sia soltanto di passiva accettazione dell’esistente o, al contrario, di interpretazione inutilmente e dannosamente ideologica degli avvenimenti e dei cambiamenti politici, militari ed economici attualmente in corso.

Note

  1. G. Gressani e M. Malik, Introduzione a «Grand Continent», Fratture della guerra estesa. Dall’Ucraina al metaverso, LUISS University Press, Roma 2023, p. 8.  

  2. G. Gressani, M. Malik, op. cit., p. 11.  

  3. G.Gressani e M. Malik, op. cit., p.12.  

  4. C. Miller, Da Taiwan al metaverso: infrastrutture dell’iperguerra in «Grand Continent», Fratture della guerra estesa. Dall’Ucraina al metaverso, op. cit., pp.94-95.

Fonte

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