Il primo aprile il raid aereo israeliano che ha portato alla morte di 7 operatori della ONG statunitense World Central Kitchen ha scosso momentaneamente l’opinione pubblica di tutto il mondo. Dopo la «strage degli affamati» di un mese prima, tale evento ha spinto ulteriormente la solidarietà internazionale con la resistenza palestinese.
Non che l’indignazione non sia passata nei media nostrani solo per il fatto che a morire questa volta non erano palestinesi, già massacrati giorno per giorno, ma bianchi occidentali. E tuttavia anche eventi del genere hanno grande importanza nello svegliare le coscienze, e certamente la legittimità delle operazioni sioniste è diminuita.
Il New York Times ha pubblicato ieri un video di quasi dieci minuti nella rubrica chiamata Visual Investigations che potrebbe, e aggiungiamo noi che dovrebbe far crollare definitivamente il sostegno a Tel Aviv. Israele, contro ogni norma internazionale, sta deliberatamente colpendo le organizzazioni che portano aiuti umanitari ai palestinesi.
È questo che si può concludere dall’esame che il giornale statunitense ha fatto di varie prove visive e comunicazioni interne tra le forze armate di Israele e sei organizzazioni umanitarie. Si tratta della World Central Kitchen, di Medici Senza Frontiere Francia, Enabel, ANERA, MAP e IRC.
I vertici sionisti hanno definito il caso del primo aprile come un errore che può succedere quando si combatte un nemico che si nasconde tra i civili, e questa scusante viene usata spesso. Ma l’ONU conta oltre 200 vittime tra gli operatori umanitari nell’arco di pochi mesi, mostrando un vero e proprio bersagliamento di queste persone.
Il NYT racconta la storia di Mousa Shawa della statunitense ANERA, che è stato ucciso in un raid alcune settimane fa. La ONG ha più volte condiviso coordinate e foto del luogo da dove Mousa portava avanti la sua attività, ma a quattro giorni dall’ultima comunicazione l’edificio è stato colpito.
Mousa non si è ritrovato per errore in mezzo alla furia dei sionisti, ma era l’obiettivo dell’attacco: la sua casa, in un’area densamente costruita, è stata l’unica a riportare danni. Avvalendosi dell’analisi di esperti di munizioni e armi, i giornalisti statunitensi hanno concluso che l’edificio dove si trovava Mousa è stato preso di mira da un bombardamento aereo.
Nel video vengono mostrati i resti di due rifugi utilizzati da Medici Senza Frontiere, debitamente comunicati alle forze israeliane e colpiti senza tante spiegazioni. Al solito, e in realtà solo nel secondo caso, si sono promesse indagini, ma sappiamo che non approderanno a nulla.
Allo stesso modo, un gruppo di edifici era stato individuato come possibile sede per attivisti dell’International Rescue Committee e di Medical Aid for Pelstinians. Come per Medici Senza Frontiere, i loghi delle organizzazioni erano ben visibili e le coordinate erano state comunicate.
Nel caso di IRC e MAP vi sono addirittura messaggi con ufficiali israeliani in cui si richiede se la zona sia sicura. Alla risposta affermativa dell’ufficiale segue la richiesta di ricevere qualsiasi aggiornamento in merito.
Bisogna poi aggiungere che questo complesso aveva ricevuto la tutela anche attraverso alti canali diplomatici britannici, e si trovava nella zona che Tel Aviv stessa ha indicato come dedicata all’impegno umanitario. Tutto questo non è bastato a impedire il bombardamento.
Le indagini ONU hanno indicato in un MK83 l’ordigno usato, cioè un’arma di fabbricazione a stelle e strisce che pesa quasi mezza tonnellata. Di questa tragedia persino il ministro degli Esteri britannico si è infine trovato a dover chiedere spiegazioni ad Israele.
Con la solita protervia che abbiamo conosciuto anche nelle recenti piazze del 25 aprile, i vertici sionisti hanno fornito alle ONG ben sei possibili spiegazioni di quello che chiamano un incidente, alcune di esse contrastanti tra loro. Interpellate dal NYT, le forze armate hanno risposto che esse non hanno proprio colpito l’edificio il giorno in cui è stato fatto saltare in aria.
L’impunità di cui gode Israele, che stermina civili, colpisce ambasciate di paesi sovrani e opera contro il diritto e le organizzazioni internazionali è arrivata al suo apice. Questa inchiesta dimostra che Tel Aviv bersaglia chi porta gli aiuti umanitari a Gaza in maniera volontaria e consapevole.
Per quanto ancora l’Occidente sarà complice di tutto ciò? Il boicottaggio a Israele, la richiesta di porre fine all’occupazione, sono elementi che oggi sono imprescindibili nel dibattito pubblico, e dividono chi sta dalla parte della giustizia e chi dalla parte del genocidio dei palestinesi.
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