La “giornata internazionale del lavoro” venne istituita a Parigi nel corso di un congresso operaio che vide costituirsi, in significativa coincidenza con il primo centenario della presa della Bastiglia, il 14 luglio 1889, la Seconda Internazionale. Proprio per tale motivo questo anno passerà alla storia come il “secondo ’89”.
Lo scopo dei dirigenti del movimento operaio e socialista che fissarono questo annuale appuntamento, che per decenni avrebbe visto le classi lavoratrici dei più diversi paesi del mondo manifestare per i loro diritti economici, sociali e politici, fu quello di fare del Primo Maggio il momento centrale della storica battaglia per la conquista della giornata lavorativa di 8 ore. La data fu prescelta in ricordo dei fatti di Chicago, dove il l° maggio di tre anni prima si era svolta una grande manifestazione della classe operaia che aveva visto 80.000 lavoratori scendere in sciopero per rivendicare la giornata lavorativa dì 8 ore.
Dopo la sanguinosa provocazione della polizia, che il 3 maggio aveva attaccato i lavoratori dinanzi ai cancelli di una fabbrica, la borghesia nord-americana scatenò una durissima repressione contro i “Knights of Labor” (Cavalieri del lavoro), l’organizzazione che aveva diretto gli scioperi e promosso le manifestazioni dei lavoratori.
Gli effetti della furiosa campagna propagandistica con cui il padronato e il governo attuarono l’azione repressiva al fine di criminalizzare i “Knights” e di isolare il movimento operaio dall’opinione pubblica, furono talmente pesanti e duraturi, che ancor oggi negli Usa i lavoratori sono costretti dal potere capitalistico, il quale ha così cercato di cancellare perfino il ricordo di quei conflitti, a celebrare le loro lotte il primo lunedì di settembre.
A partire dalla sua nascita, indissolubilmente connessa al ricordo dei “martiri di Chicago”, altri significati si sono aggiunti alla “Festa del Lavoro” nei periodi successivi e nel solco delle specifiche tradizioni dei diversi paesi. Ancor oggi il Primo Maggio è una ricorrenza celebrata nei paesi capitalistici e nei paesi del Terzo Mondo. Quando un “leader” carismatico del socialismo italiano, Andrea Costa, affermò nel 1893, a proposito del Primo Maggio: “I cattolici hanno la Pasqua; da oggi in poi anche i lavoratori avranno la loro Pasqua”, mise bene in luce la portata universale, militante e classista della “festa del lavoro”.
2) Sindacati e partito comunista nel periodo della Terza Internazionale
La Terza Internazionale (1919-1943), dal canto suo, nei momenti più acuti della lotta di classe poneva con forza, contrapponendosi alla tradizione opportunista della Seconda Internazionale socialdemocratica, il problema della separazione dei rivoluzionari dai riformisti:
«Poiché per i comunisti gli scopi e l’essenza dell’organizzazione sindacale sono più importanti della sua forma, essi non debbono arretrare neppure dinnanzi ad una scissione delle organizzazioni all’interno del movimento sindacale, qualora il rinunziare alla scissione equivalesse a rinunziare al proprio lavoro rivoluzionario nei sindacati, a rinunziare al tentativo di fare di questi uno strumento di lotta rivoluzionaria, a rinunziare ad organizzare la parte più sfruttata del proletariato» (“Tesi sul movimento sindacale, i consigli di fabbrica e la Terza Internazionale”, 3 agosto 1920).E quando le scissioni avvennero per iniziativa dei riformisti, che espellevano i comunisti dai sindacati, e si crearono così sindacati rivoluzionari come in Francia con la CGTU, l’Internazionale détte le seguenti indicazioni:
«Là dove la scissione tra il movimento sindacale opportunista e quello rivoluzionario è già avvenuta, là dove, come in America, accanto ai sindacati opportunisti sussistono organizzazioni rivoluzionarie, anche se non di tendenze comuniste, i comunisti sono tenuti ad appoggiare questi sindacati rivoluzionari, ad aiutarli a liberarsi dei pregiudizi sindacalisti e a portarli sul terreno del comunismo: esso soltanto è una bussola sicura nella confusione della lotta economica.3) Sindacati di base e sindacati confederali
Là dove nell’ambito dei sindacati o al di là di essi, nelle fabbriche, si costruiscono organizzazioni, come gli ‘shop stewards’ e il consiglio di fabbrica, che si pongono come scopo la lotta contro le tendenze controrivoluzionarie della burocrazia sindacale e l’appoggio alle azioni spontanee e dirette del proletariato, è evidente che i comunisti debbono appoggiare con tutta la loro energia tali organizzazioni» (“Tesi sul movimento sindacale, i consigli di fabbrica e la Terza Internazionale”).
In sostanza la Terza Internazionale subordinava la creazione di una nuova organizzazione sindacale alle seguenti condizioni:
a) quando non è possibile un lavoro rivoluzionario nei sindacati;
b) quando non è possibile fare dei sindacati uno strumento della lotta rivoluzionaria;
c) quando nei sindacati non si riescono ad organizzare i settori più sfruttati del proletariato.
Ora, la domanda a cui occorre rispondere è la seguente: è possibile in questo periodo condurre un lavoro rivoluzionario all’interno dei sindacati confederali?
In effetti, abbiamo visto le espulsioni nella CGIL dei delegati non in linea. Se non è possibile fare un lavoro rivoluzionario nei sindacati confederali, è implicito che non se ne possa fare uno strumento di lotta rivoluzionaria. Per quanto riguarda il terzo quesito, si vede quanto il lavoro precario sia lasciato a se stesso, così come accade in certi settori del mondo del lavoro, dove ci sono situazioni di sfruttamento ai limiti della sopportazione umana.
Bisogna allora riconoscere nella creazione dei vari sindacati di base un’esigenza della parte più avanzata dei lavoratori salariati rispetto ai continui cedimenti dei sindacati confederali.
Per questo motivo è giusto considerare attualmente come prioritario l’intervento dei comunisti all’interno dei sindacati di base per dare a tali organismi un orientamento politico efficace; diversamente, se lasciati alla loro spontaneità, questi organismi possono diventare delle brutte copie dei sindacati confederali, cioè dei micro-sindacati che coltivano il proprio orticello.
Questo non significa però trascurare l’intervento nella CGIL, ossia consegnare alle dirigenze collaborazioniste centinaia di migliaia di lavoratori; sennonché questo intervento va esplicato senza illusioni di sorta circa rotture di massa tra i lavoratori o circa una possibile direzione alternativa.
In realtà, ogni qualvolta la lotta di classe si sviluppa, essa deve affrontare il problema di rompere politicamente ed organizzativamente con le politiche di collaborazione per tendere verso la costruzione di un sindacato di classe e di massa.
Fondamentale resta infine la consapevolezza della differenza irriducibile che intercorre tra il partito comunista e il sindacato: differenza che consiste nel fatto che, per quanto conflittuale possa essere, il sindacato di classe e di massa si limita (non per cattiva volontà ma) strutturalmente a lottare contro gli effetti dello sfruttamento, laddove spetta al partito comunista condurre la lotta strategica contro le cause dello sfruttamento.
4) Il Primo Maggio tra integrazione e conflittualità
Ripercorrere pertanto la storia del Primo Maggio in Italia significa individuare le tappe del lungo cammino del movimento operaio nel nostro Paese a partire dalle grandi lotte combattute per creare i primi embrioni di organizzazione sindacale, cooperativa e infine politica, indispensabili sia per ottenere un reale miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita (tra loro strettamente connesse, come ben presto si capì e come oggi si tende a dimenticare), sia per porre un limite al bestiale sfruttamento capitalistico; passando attraverso il divieto di celebrare la Festa, quando le classi lavoratrici, private dei loro partiti e dei loro sindacati, caddero sotto il giogo della dittatura fascista; per giungere fino ai nostri giorni che vedono, in un quadro che riproduce, all’interno di un regime formalmente democratico, taluni meccanismi nazional-corporativi di quel ventennio, il movimento operaio presentarsi diviso, subordinato ed impotente di fronte a un avversario di classe che, nonostante i suoi acuti conflitti interni, appare invece compatto e sempre più aggressivo.
L’importanza storica e politica (non meramente sindacale) del Primo Maggio, che riceve da questi dati storici un’ampia conferma, spiega l’attuale tentativo, condotto dalle forze dominanti e dal loro agenti interni al movimento operaio, di svuotare tale Festa di qualsiasi contenuto classista e di toglierle ogni carattere militante.
Sennonché la riflessione sul senso del Primo Maggio non può essere disgiunta da un attento esame della situazione attuale del movimento sindacale italiano, che appare sempre più diviso e subordinato (come dimostrano l’imposizione di un modello contrattuale regressivo e peggiorativo, la sostanziale cooptazione della Cisl nel blocco governativo e padronale, la linea incerta, subalterna e rinunciataria della Cgil).
La recessione capitalistica significherà, quindi, per la classe operaia, se questa non sarà capace di stabilire un nesso inscindibile tra le sue forme di organizzazione e le sue forme di lotta, un ulteriore pauroso arretramento su tre decisivi terreni: quello del benessere materiale, quello dei rapporti di forza con la classe capitalistica e quello del livelli di coscienza politica.
Il nostro paese, infatti, a causa della congenita debolezza della sua struttura economica, è destinato a subire le conseguenze più pesanti della congiunzione tra l’ondata recessiva in corso e gli eventi bellici sempre più incalzanti: accentuazione degli squilibri già esistenti nei settori produttivi, aumento del deficit già enorme del bilancio statale, ripresa del tasso d’inflazione, bassi salari, licenziamenti in massa ed espansione dell’esercito della manodopera precaria formato da giovani, donne ed immigrati stranieri, destrutturazione dei servizi sociali (a partire dalla scuola e dalla sanità), crescente impoverimento della popolazione lavoratrice e contestuale arricchimento delle classi dominanti.
In sostanza, i costi più pesanti della crisi e delle manovre di parte padronale e governativa dirette a rialzare un tasso di profitto sempre più declinante, saranno fatti pagare ai lavoratori con un drastico peggioramento delle condizioni di lavoro e con una regolamentazione del diritto di sciopero in senso sempre più restrittivo, sino alla sua pratica vanificazione.
5) Rivendicazioni immediate, memoria storica e prospettiva strategica
Una particolare attenzione deve essere posta da tutti i lavoratori nel contrastare la riproduzione, attraverso l’introduzione dell’autonomia differenziata, delle “gabbie salariali”, ossia di una struttura delle retribuzioni, parimenti differenziata, fra il nord e il sud: tendenza sostenuta in chiave esplicitamente corporativa e nord-sciovinista dalla Lega Nord, che anche su questo piano rivela la sua natura reazionaria di forza di complemento del blocco capitalistico.
La consapevolezza dell’origine, delle cause e dei caratteri dell’attuale situazione delle classi lavoratrici trova oggi il suo fattore unificante, di carattere non solo ideale ma anche materiale, nella lotta contro la guerra imperialista e contro il sionismo, nella denuncia della organica complicità dell’Unione Europea e del governo Meloni rispetto all’una e all’altro, nell’appoggio militante e nella solidarietà con l’eroico popolo palestinese.
In questo senso, la chiara dimostrazione dell’importanza rivoluzionaria e internazionalista del Primo Maggio costituisce un elemento vitale della coscienza di classe dei lavoratori tanto riguardo al loro passato quanto riguardo al loro presente e al loro futuro.
Il Primo Maggio, da questo punto di vista, nonostante le ombre pesanti stese sul suo significato storico e programmatico dal revisionismo e dal riformismo, continua ad irradiare sull’origine e sul destino del movimento operaio la luce potente di una prospettiva di riscatto, di emancipazione e di libertà (quella vera, la libertà dal bisogno): prospettiva che il dominio sempre più feroce e distruttivo delle classi borghesi rende ancor più attuale ed urgente.
Con questa stessa ottica si esprimeva uno scrittore tedesco, Walter Benjamin, “compagno di strada” del movimento comunista nel periodo di ferro e di fuoco della Terza Internazionale, affermando giustamente in una delle sue celebri “Tesi di filosofia della storia” che «il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono» e che «esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante», cosicché «per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo».
Da quando il Primo Maggio fu proclamato “giornata internazionale del lavoro” sono trascorsi centotrentacinque anni. Più di un secolo di lotte, di conquiste, di preziose esperienze, ma anche di sconfitte, di arretramenti e di aspre lezioni.
L’impegno dei comunisti è rivolto a creare le condizioni che, da un lato, permettano alla classe operaia e al popolo lavoratore del nostro paese di ricongiungere la propria azione agli aspetti vivi e attuali di questa secolare vicenda e, dall’altro, li pongano in grado di portare avanti la battaglia per l’emancipazione sociale, difendendo il valore della forza-lavoro, spezzando la cappa soffocante del regime neocorporativo, affermando il proprio controllo sul mercato del lavoro, collegandosi ai nuovi problemi e alle nuove figure che sono emersi nel mondo della produzione e dei servizi, ma soprattutto risolvendo in modo nuovo e creativo il problema della costruzione dei due fondamentali strumenti della loro azione economica e politica: un sindacato di classe dei lavoratori, un partito del proletariato il cui obiettivo sia la rivoluzione socialista.
Di fronte all’attacco politico, ideologico e culturale, che la borghesia capitalistica ha sferrato alla teoria comunista e alla storia del movimento operaio con lo scopo di prevenire, contenere e reprimere la politicizzazione in senso rivoluzionario delle masse lavoratrici, i comunisti debbono rispondere anche sul terreno della ricostruzione della memoria storica del proletariato, mettendo in luce i veri significati del Primo Maggio, giornata di festa, di lotta e di organizzazione dei lavoratori che tornano ad innalzare, sollevandola dal fango in cui l’hanno gettata i revisionisti e i liquidatori di ogni risma, la rossa bandiera che reca il grande appello dettato da Marx e da Engels: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!».
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento