La Brigata ebraica rappresenta il contributo militare degli ebrei di Palestina nella Seconda Guerra Mondiale. Questi rimasero inattivi fino a praticamente la fine del conflitto, lasciando che si consumasse l’orrore della guerra e dell’Olocausto, senza intervenire.
Dopo decine di milioni di morti, si mobilitarono solo quando si prospettò concretamente la possibilità di costituire lo stato d’Israele e per farlo serviva partecipare alla guerra. Per questo venne mandato un numero simbolico di uomini ad arruolarsi nelle fila dell’esercito inglese.
Costoro arrivarono al fronte quando la guerra stava finendo, dopo la liberazione del campo di Auschwitz (non contribuirono a porre fine all’Olocausto), si limitarono ad inseguire i tedeschi in ritirata, combattendo per un mese. Pur non facendo quasi nulla, si intestarono la vittoria e la memoria.
Ciò si pone in evidente antitesi con i valori della Resistenza, eppure in tempi recenti – nonostante le ombre che la coprono – la Brigata ebraica viene spacciata per la principale paladina della lotta antifascista e in difesa degli ebrei. Ovviamente si tratta di una strumentale manovra revisionista finalizzata a legittimare l’azione passata e presente d’Israele.
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Nello scenario politico attuale ha assunto un ruolo molto importante il dibattito in merito alla Brigata ebraica. Prevalentemente ciò è il riflesso dell’acuirsi e della polarizzazione dello scontro mediorientale, ma è anche la manifestazione di una contraddizione nostrana. Per entrambe le ragioni, serve conoscere a fondo la storia della Brigata ebraica.
Questa fu l’unica unità combattente che vide tra le proprie fila ebrei di Palestina, ma non era esclusivamente costituita da ebrei o da palestinesi. Nacque su impulso dell’Agenzia ebraica, che era il prodromo dello Stato d’Israele.
Ben Gurion è il “padre della patria” d’Israele, colui che ha dato il maggior impulso alla causa sionista, che ha plasmato lo Stato e che ne ha guidato il primo Governo. Tra le sue varie affermazioni terrificanti ce ne è una che espone in maniera efficacissima la sua scala di priorità in cui la costruzione dello Stato d’Israele viene anteposta a tutto, prima ancora rispetto alle vite degli ebrei perseguitati dai nazisti: “se sapessi di poter salvare tutti i bambini della Germania portandoli in Inghilterra o soltanto la metà di loro portandoli in Palestina, opterei per la seconda soluzione”1.
Questa frase deve essere sempre tenuta a mente per capire il ruolo e l’obiettivo della Brigata ebraica: non lottare per la libertà e salvare le vite (nemmeno degli ebrei), ma favorire la nascita dello Stato d’Israele.
La frase di Ben Gurion ci pone anche un interrogativo. Uno dei più importanti testi dell’ebraismo, il Talmud di Babilonia, recita “chi salva una vita, salva il mondo intero”. Che si dovrebbe dire allora di chi decide, per bieco calcolo, di non salvare delle vite? Ovviamente il giudizio umano e politico su Ben Gurion, non può che essere di ferma condanna.
Esprimerlo in questa sede serve solo a qualificare il generale contesto in cui si costituì la Brigata ebraica. “Ben Gurion, temendo che ‘la coscienza umana’ potesse spingere alcuni paesi ad aprire le porte agli ebrei tedeschi ammonì: ‘Il sionismo è in pericolo’”2.
Il pericolo che lui vedeva era che non si riuscisse a formare lo Stato d’Israele, ma non che decine di milioni di persone – tra cui alcuni milioni di ebrei – morissero per colpa dei nazisti. Solo quando questi due temi si intrecciarono, Ben Gurion utilizzò in chiave strumentale il secondo a favore del primo.
Le persecuzioni contro gli ebrei iniziarono nella notte dei tempi, ma per affrontare la questione della natura e del ruolo della Brigata ebraica è sufficiente soffermarsi nel periodo che va dalla presa del potere da parte di Adolf Hitler.
Nella Germania nazista la formalizzazione ufficiale della persecuzione contro gli ebrei ci fu il 15 settembre 1935 con la promulgazione delle cosiddette “Leggi di Norimberga”. L’Italia ne seguì a breve l’esempio; il 18 settembre 1938 Mussolini annunciò l’adozione delle “Leggi razziali”.
In Germania, il primo atto di violenza genocida perpetrato dai nazisti contro gli ebrei – sistematico e su vasta scala – ci fu il 9 novembre 1938, in quella che è passata alla storia come “La notte dei cristalli”. A quel punto, fu palese a tutto il mondo che l’odio professato dai nazisti si era già trasformato in sterminio. Eppure, le affermazioni orribili e ciniche di Ben Gurion sul destino dei bambini tedeschi, arrivarono circa un mese dopo.
Ogni tentativo di riabilitare Ben Gurion e il suo progetto, deve passare attraverso questa considerazione.
Il primo gesto concreto per cercare di creare una unità combattente formata esclusivamente da ebrei di Palestina durante la Seconda Guerra Mondiale ci fu il 3 settembre 1939, due giorni dopo l’invasione della Polonia.
La domanda fu formalmente rivolta alle autorità coloniali britanniche (che controllavano quei territori) dal capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica3. La richiesta fu respinta perché ovviamente gli inglesi non si fidavano ad armare le popolazioni locali, ben consci che quelle armi gli sarebbero potute essere rivolte contro in un processo insurrezionale di autodeterminazione.
Il sospetto era alimentato dal fatto che la proposta dell’Agenzia ebraica non fosse quello di poter attaccare i nazisti e andare a salvare gli ebrei, ma di “provvedere alla difesa della Palestina stessa, ed eventualmente essere impiegata su altri fronti”4. Per l’Agenzia ebraica la priorità era quindi quella di ottenere il controllo armato del territorio palestinese, non di fermare il nazismo.
In Inghilterra l’idea di coinvolgere delle unità di ebrei nella lotta contro il nazismo piaceva alla politica per l’impatto mediatico che poteva offrire la cosa (Churchill era cautamente favorevole), mentre il Colonial Office e il War Office erano decisamente contrari.
Tuttavia già nel 1940 (dopo un incontro tra Churchill e Chaim Azriel Weizmann, presidente dell’Organizzazione sionista mondiale) gli inglesi diedero agli ebrei di Palestina la possibilità di arruolarsi in formazioni ausiliarie del proprio esercito, per contribuire alla lotta contro il nazismo, cosa che però in pochi fecero davvero.
Ciò probabilmente alimentò i sospetti degli inglesi sul fatto che magari le rappresentanze sioniste non avevano molto interesse al conflitto, ma si preoccupavano prevalentemente di creare delle formazioni armate da usare per la costruzione dello Stato d’Israele.
Un’altra cosa di cui non si ha certezza è su quando i nazisti decisero d’attuare la “soluzione finale”, ossia lo sterminio sistematico e completo di tutti gli ebrei dei territori controllati dal Reich e dai suoi alleati. Ad ogni modo quel momento va collocato tra il 1941 e il 1942.
Un successivo tentativo di far contribuire le popolazioni ebraiche di Palestina alla lotta contro il nazismo venne effettuato nel 1942, quando gli inglesi costituirono una formazione combattente mista di arabi ed ebrei, il Palestine Regiment. Quest’ultimo assorbì coloro già in precedenza arruolati nelle truppe ausiliarie.
Anche in quel caso i volontari ebrei che si arruolarono furono davvero pochi (342 nel mese di luglio e 223 in agosto), mentre quelli arabi ancor meno. Complessivamente vi si arruolarono circa 1600 ebrei e 1200 arabi.
La cosa sollevò l’indignazione di molti ebrei, in particolare di quelli provenienti da Germania e Austria che accusarono “l’Agenzia ebraica di miopia politica, di non vedere cioè come la guerra contro Hitler fosse da ritenersi prioritaria rispetto alla difesa degli insediamenti ebraici di Palestina”5.
Lo scontento era anche delle autorità inglesi che constatarono la sparizione di molte armi, munizioni ed esplosivi dai depositi del Palestine Regiment. Episodi di cui erano responsabili i soldati ebrei che così rifornivano gli arsenali del futuro Stato d’Israele.
Le sorti della Seconda Guerra Mondiale apparvero palesi al mondo intero il 2 febbraio 1943, con la vittoria sovietica nella Battaglia di Stalingrado. Da quel momento si scatenò il contrattacco sovietico verso i nazisti, che però erano ancora lungi dal capitolare.
Il 18 aprile 1943 ci fu una delle più gloriose pagine di Resistenza della Seconda Guerra Mondiale, la Rivolta del ghetto di Varsavia, in cui con poche armi e tanta determinazione, si condusse “una lotta senza speranza, in grado di offrire soltanto una morte dignitosa”6.
Il 10 luglio del 1943 gli americani e gli inglesi sbarcarono in Sicilia e per gli ebrei di Palestina si presentò concretamente l’opportunità di poter andare a contribuire alla liberazione degli ebrei europei dalle persecuzioni nazifasciste. Ma ciò non venne fatto, se non molto tempo (e molti morti) dopo, nel marzo del 1944, quando si riaprirono le trattative tra Agenzia ebraica e Governo britannico per formare una unità combattente di soli ebrei di Palestina.
Parecchio dopo, nel luglio del 1944, si trovò un’intesa di massima. Di che cosa sia stato oggetto quella lunga trattativa, non si sa per certo, ma non è assurdo pensare che la questione centrale fosse la possibilità di costituire uno Stato ebraico in Palestina alla fine della guerra.
La decisione di creare la Brigata ebraica “può essere quindi vista come prova che già nell’estate del 1944 esponenti dell’establishment britannico, e in particolare Winston Churchill, stavano rivalutando positivamente l’idea della partizione della Palestina mandataria”7.
Proprio in quell’estate, la capitolazione della Germania nazista era già stata da tutti riconosciuta come inevitabile, l’unica incognita era “a chi” si sarebbe arresa. Infatti, il 6 giugno ci fu lo Sbarco in Normandia e iniziò la corsa per arrivare primi a Berlino. Forse anche per non dover destinare molte delle proprie forze al controllo dei territori mediorientali, ossia per concentrarle tutte contro la Germania, il Regno Unito decise di avallare la causa sionista.
Il 28 settembre 1944 Churchill comunicò ufficialmente alla Camera dei Comuni la creazione della Brigata ebraica, che nel frattempo aveva già iniziato a formarsi in Egitto.
Gli ebrei di Palestina non risposero in massa alla chiamata per lottare contro il nazismo e non perché non ci fossero soldati già addestrati pronti a farlo. “Si stima che alla fine del 1944 gli uomini su cui l’Agenzia ebraica poteva davvero contare per impiego immediato […] fossero circa 37 000”, ma di questi davvero in pochi si arruolarono unendosi alla Brigata ebraica. “Il numero di suoi effettivi ebrei era di circa 4.000 uomini e non tutti erano ebrei palestinesi”. C’erano poi anche dei non ebrei.
I soldati erano provenienti da 54 diversi paesi e avevano un’estrazione sociale molto eterogenea. Uno dei due vice comandanti era il maggiore Edmund Leopold de Rothschild (membro della famosa casata), mentre la truppa era invece per lo più composta da proletari spesso con idee vagamente socialiste. La Brigata era organizzata in tre battaglioni da circa 750 uomini ciascuno e qualche altra compagnia aggregata.
Tenendo presente che ci sono stati casi di persone che hanno militato nella Brigata ebraica, ma vi si sono uniti dopo la fine delle ostilità e non hanno quindi mai combattuto, ad oggi non è chiaro quanti ebrei di Palestina abbiano effettivamente combattuto nella Seconda Guerra Mondiale.
Al netto di detta incertezza, si tratta comunque di numeri irrisori. Si ha quindi un riscontro al sospetto che nell’interesse della maggioranza dei sionisti di Palestina non vi fosse come priorità quella di sconfiggere Hitler e di fermare l’Olocausto, bensì quella di formare lo Stato d’Israele.
Partecipare, seppur simbolicamente, al fianco di quelli che ormai erano i vincitori della guerra dava il diritto ad avanzare pretese per il dopoguerra. Su questa simbolica partecipazione si sarebbe costruita la legittimità e la pretesa di costituire lo Stato d’Israele.
Questo cinico ed egoistico atteggiamento opportunistico ricorda molto quello di Mussolini che aveva detto nel 1940. quando l’avanzata nazista in Europa sembrava inarrestabile: “Io ho solo bisogno di avere alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace accanto ai vincitori”8. La cosa che non riuscì a Mussolini, riuscì invece ad Israele.
Il 5 novembre 1944 la Brigata venne trasferita dall’Egitto a Taranto che, con l’Italia divisa in due dalla guerra, era nelle retrovie e ben lontana dai luoghi di combattimento. Dopo cinque giorni fu inviata a Fiuggi. Il quartier generale si insediò alle terme, mentre il comando si sistemò al Grand Hotel Palazzo della Fonte. A Fiuggi la Brigata passò quattro mesi ad addestrarsi, seppur “non potevano certo dirsi i soldati più efficienti dell’esercito britannico”9.
Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberò Auschwitz. Lo sterminio degli ebrei in qualche modo andò ancora avanti per quattro mesi, ma quella viene generalmente indicata come la conclusione dell’Olocausto. All’epoca la Brigata ebraica stava ancora alle terme di Fiuggi; il suo contributo nel porre fine a quell’orrore è stato quindi nullo.
Il 26 febbraio 1945 la Brigata lasciò Fiuggi diretta in Romagna. Venne aggregata al Quinto corpo d’armata, che era un contenitore in cui confluirono diverse truppe straniere. La Brigata ebraica fu messa sotto al comando dell’Ottava divisione indiana. Lì vi erano anche una divisione neozelandese, uno squadrone corazzato nordirlandese e militari italiani arruolatisi volontari con gli Alleati.
Dieci anni dopo l’inizio delle persecuzioni contro gli ebrei, a guerra praticamente finita, la Brigata ebraica divenne operativa e si presentò al fronte per tallonare per qualche giorno i tedeschi in ritirata: “La Brigata arrivò in Italia quando le sorti della guerra erano ormai decise. Partecipò soltanto a qualche scaramuccia”10.
Il primo vero scontro a fuoco della Brigata ebraica con i tedeschi ci fu il 14 marzo 1945, l’ultima azione di guerra fu il 14 aprile 1945.
Gli ebrei di Palestina che caddero nelle fila della Brigata ebraica furono 3011.
Combattendo per un mese con qualche migliaio di uomini (a conflitto praticamente finito) e avendo qualche decina di morti, gli ebrei di Palestina si poterono collocare tra i vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Ma si intestarono la vittoria e poi pure la memoria.
Il prezzo in termini di vite fu sensibilmente meno salato di quello messo in conto da Mussolini, salvo poi assistere a tentativi ignobili di appropriarsi di altro per gonfiare i conti. A Gerusalemme, per esempio, “Un monumento onora i 200.000 soldati ebrei caduti combattendo con l’Armata Rossa durante la seconda guerra mondiale. Il memoriale, situato tra le tombe dei soldati israeliani, sembra quasi voler rivendicare un’appartenenza postuma delle vittime all’esercito israeliano e al movimento sionista. Proclama, in un certo senso, che quegli uomini e quelle donne sono caduti non per difendere l’Unione Sovietica nella sua guerra contro i nazisti, bensì per difendere il popolo ebraico e per realizzare la fondazione dello Stato d’Israele”12.
Questi atti di sciacallaggio storiografico servono prevalentemente ad alleviare il senso di colpa e di vergogna per non aver cercato d’impedire l’orrore della Seconda Guerra Mondiale e dell’Olocausto.
L’Agenzia ebraica e la quasi totalità degli ebrei di Palestina non intervennero per praticamente tutta la Seconda Guerra Mondiale. Mentre morivano decine di milioni di persone e l’incubo dell’Olocausto flagellava gli ebrei europei, altri se ne stavano tranquilli, al riparo sotto la protezione britannica.
Ovviamente, non avevano alcun obbligo legale a combattere, ma di certo ve ne era uno morale, lo stesso che aveva mosso volontari in ogni parte del mondo.
In virtù di quell’obbligo morale, chi decide di non combattere tenendosi lontano dalla guerra – a meno che non sia un obiettore non violento – è un “imboscato”. Ovviamente, il caso dell’”obiezione di coscienza non violenta” non è quello d’Israele.
Scrive Fantoni che per Moshe Shertok (direttore del dipartimento politico dell’Agenzia ebraica), il contributo degli uomini della Brigata ebraica “alla vittoria contro il nazifascismo era secondario, quello che contava davvero era che la loro presenza avrebbe propiziato la nascita dello Stato ebraico. […]. L’obiettivo ultimo e di maggiore importanza […] doveva però essere la creazione d’Israele”13.
Israele nacque nel 1948, ma già da prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale gli ebrei di Palestina si erano dati una loro forma di statualità con delle forze armate (milizie clandestine o simili) che potevano contare su decine di migliaia di uomini. Tra tutti questi, solo in pochi decisero di arruolarsi volontari per andare a lottare contro il nazismo e per cercare di porre fine all’Olocausto.
Gli altri, concentrati solo sulla costruzione del proprio Stato, rimasero indifferenti alla sorte delle decine di milioni di persone morte durante la guerra, soprattutto di coloro che lottarono per la vita e la libertà di tutti, nonché per costruire un mondo migliore.
Tornano quindi alla mente le parole di Antonio Gramsci, scritte alcuni anni prima: “Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Quello della Brigata ebraica è stato un atteggiamento contrario allo spirito che ha animato tutti quelli che hanno combattuto per un mondo migliore. Mentre in ogni parte del mondo partivano per il fronte milioni di persone, anche volontariamente, qualcun altro si teneva da parte, indifferente. Un atteggiamento in antitesi rispetto ai valori della Resistenza, fatta da volontari che hanno lottato per sconfiggere il nazismo e per porre fine alle sue ingiustizie, in primis le persecuzioni. Chi per calcolo si è tenuto da parte, lasciando che l’orrore si compiesse, ne è in qualche misura corresponsabile e come tale va condannato.
La Brigata ebraica non ha contribuito all’esito della guerra si è affacciata al fronte solo quando la vicenda si stava chiudendo. Se tutti avessero fatto altrettanto, allora Hitler avrebbe conquistato il mondo intero e l’Olocausto sarebbe stato totale. Per questo non c’è motivo d’essere riconoscenti: quel poco che hanno fatto non era per la libertà e la giustizia, ma solo per legittimare la fondazione del proprio Stato. Ma soprattutto il loro atteggiamento è da stigmatizzare, in particolar modo di fronte alle nuove generazioni, perché sia chiaro che quella condotta ha favorito il nazismo.
Il saldo dell’azione della Brigata ebraica fu comunque estremamente positivo per Israele; in cambio di una piccola comparsata a fine guerra, riuscì ad ottenere lo Stato. Il saldo invece tra quello che poteva fare e quello che ha realmente fatto per sconfiggere il nazismo e porre fine all’Olocausto, si traduce in bieco e cinico opportunismo. In tal senso va riconosciuta la totale differenza con l’insurrezione antinazista degli ebrei del Ghetto di Varsavia.
Non si può concludere una trattazione sulla Brigata ebraica senza far riferimento alle attività condotte dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, cioè fino a quando non venne sciolta, nell’estate del 1946 (si noti che fu operativa per più tempo dopo la guerra, piuttosto che durante).
La narrativa dominante ci racconta esclusivamente dell’opera svolta per dare assistenza agli ebrei di tutta Europa e del ruolo avuto nel organizzare la migrazione verso Israele. Tuttavia c’è dell’altro che merita d’essere approfondito, in particolare le varie forme di vendetta perpetrate.
Dopo la fine della guerra la Brigata si stabilì nei pressi di Tarvisio, una posizione strategica per intercettare i profughi ebrei in arrivo dall’Europa settentrionale e orientale. Questi venivano accolti, rifocillati e poi accompagnati in Israele. Quell’area (su tutti i lati dei confini) era quella in cui risiedevano diversi nazisti, che vi erano ritornati dopo la fine della guerra.
Gli uomini della Brigata ebraica iniziarono ad andare a caccia di nazisti uccidendone un numero imprecisato, ma verosimilmente compreso tra alcune decine e i 1.500. Queste esecuzioni fanno emergere una serie di questioni politiche, di cui due sono le principali e più interessanti.
La prima riguarda la legittimità di uccidere nazisti e fascisti. Negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad un processo di glorificazione della Brigata ebraica. Questo ha investito la società e le istituzioni, sono state fatte celebrazioni ed eretti monumenti. Però in questo processo di glorificazione vengono omesse tante cose, tra cui il fatto che l’attività principale della Brigata ebraica fu di fare vendette dopo la guerra14.
Quindi, ad onor di logica, con questo processo si riconoscerebbe la legittimità di uccidere nazisti e fascisti anche dopo la guerra. Chi scrive non ha ovviamente nulla da obiettare al riguardo, ma non può non far notare un’evidente contraddizione: il doppio standard utilizzato contro gli italiani e gli jugoslavi, le cui vendette attuate dopo la fine della guerra furono duramente represse e ancora oggi sono ferocemente stigmatizzate.
Il caso più noto è quello della Volante Rossa, perseguitata in ogni modo perché aveva provato a fare giustizia anche dopo il 25 aprile 1945.
Questa contraddizione si ingigantisce poi se si guarda nello specifico degli schieramenti politici nostrani: molti sostenitori della Brigata ebraica sono anche i maggiori detrattori della Resistenza italiana, nonché coloro che lanciano le più feroci condanne delle vendette successive alla Liberazione15.
La seconda questione che sollevano queste esecuzioni riguarda la finalità di tali gesti. Come già esposto, gli ebrei di Palestina non lottarono per fermare l’Olocausto, arrivarono sul campo di battaglia a cose fatte, dieci anni dopo l’inizio delle persecuzioni contro gli ebrei, perché avevano come priorità la costruzione dello Stato d’Israele e non salvare le vite. Chi era rimasto a guardare per dieci anni senza intervenire, senza cercare d’impedire, dopo la fine della guerra andò a compiere delle vendette.
Quale giudizio politico andrebbe espresso al riguardo? Chi non ha fatto nulla per impedire è complice, quindi non è che con quelle azioni si cercasse una riabilitazione?
Anche per questo va rimarcata la differenza tra costoro e i partigiani che fecero azioni a guerra finita. Questi ultimi cercavano di portare a compimento un percorso interrotto per fattori esogeni, percorso duro e travagliato, nel quale avevano pagato prezzi carissimi. Drammatici fatti da cui altri si tennero ben distanti fino a quasi la fine della guerra.
Il giudizio politico si intreccia con quello morale, che si formula guardando anche ad altre azioni che, se non ascrivibili direttamente alla Brigata ebraica – in quanto verosimilmente condotte solo da alcuni elementi – la coinvolgono in episodi terrificanti.
Scrive Segev che tra i membri della Brigata ebraica “Alcuni sfogarono la propria rabbia sui prigionieri di guerra tedeschi e devastarono le proprietà dei civili”, e prosegue più avanti dicendo che “alcune azioni erano puri e semplici atti di teppismo”, come il giorno in cui i vendicatori “si nascosero ai margini di una strada e cominciarono a sparare su tutto quello che si muoveva, o come quell’altra volta che uccisero anche un’ebrea scampata all’Olocausto”.
Segev liquida come “teppismo” ciò che sarebbe più corretto chiamare “terrorismo”: ammazzarono persone a caso senza una logica e un motivo. Non risulta che questi criminali siano stati puniti. Nemmeno si sa quanti furono i balordi che si resero responsabili di queste azioni, ma se c’è stata copertura (come sembra che ci sia stata), il marchio dell’infamia va necessariamente esteso.
Come già detto, la Brigata ebraica salì sul carro dei vincitori a guerra praticamente finita, combatté per un mese tallonando i tedeschi in ritirata, si pose in antitesi con i valori della Resistenza, alla fine della guerra alcuni suoi membri si macchiarono di orribili crimini per i quali non vennero puniti; ma alla luce di tutto ciò, lo Stato italiano ha deciso di premiarla con la medaglia d’oro al valor militare16.
La motivazione sa di farsa: “operò durante la seconda guerra mondiale e offrì un notevole contributo alla liberazione della Patria e alla lotta contro gli invasori nazisti”. Non può sfuggire il fatto che si sia trattato di un’operazione politica per istituzionalizzare il supporto ad Israele e per delegittimare le contestazioni17.
Ciò è la manifestazione della miseria e della spregiudicatezza della politica italiana. Non gli si darebbe troppo peso se poi non si dovesse fare il paragone con chi davvero lottò. Allora tutto ciò diventa inaccettabile.
Fermo restando il rispetto per i morti, certe pagine di storia forse è meglio consegnarle all’oblio, perché c’è ben poco di cui andar fieri. Ma se qualcuno rispolvera degli eventi per usarli in maniera strumentale in un processo revisionista di legittimazione e di occultamento dei crimini d’Israele, si assume la responsabilità dell’aspra critica che poi si solleva.
Non si può parlare di quella vicenda senza condannare fermamente. Chi ha davvero a cuore la memoria di quegli uomini, li dovrebbe semmai lasciare nel dimenticatoio della storia.
Note
1) Ben Gurion al CC del Mapai, 7 dicembre 1938.
2) Segev T., (2001), Il Settimo milione, Mondadori. Pag. 27. Si noti che Segev è uno dei più affermati storici israeliani, nato a Gerusalemme il primo marzo 1945 proprio da profughi tedeschi che vi erano arrivati nel 1935.
3) L’Agenzia ebraica era parte dell’Organizzazione sionistica mondiale e dalle autorità britanniche era riconosciuta come ente di rappresentanza delle popolazioni ebraiche di Palestina. Di fatto era la prima forma di statualità d’Israele.
4) Fantoni (2022), La Brigata ebraica, Einaudi.
5) Fantoni (2022).
6) Pratolongo G. (2020), Noi conosciamo i sistemi di Hitler, Red Star Press.
7) Fantoni (2022).
8) La frase è riferita dal Capo di Stato Maggiore, Generale Badoglio.
9) Fantoni (2022)
10) Segev (2001) p. 136.
11) A questi vanno aggiunti 27 ebrei inglesi. Come noto, gli inglesi, non erano volontari, ma coscritti.
12) Segev (2001) p. 387.
13) Fantoni (2022).
14) Segev (2001) riporta che per alcuni suoi membri era “la vendetta il compito più importante per la Brigata”.
15) Forse ciò può essere legato al fatto che tra i sostenitori della Brigata ebraica ci sono alcune formazioni di destra, (anche fasciste, o post), che accolgono il retaggio reazionario post bellico, ma oggi si schierano acriticamente con Israele. Per costoro, il sangue dei vinti lo possono versare solo gli israeliani.
16) Conferita sulla base della legge n.114 del 18 luglio 2017.
17) In particolare negli ultimi anni, quelle che si hanno in occasione del 25 aprile.
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