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09/06/2024

Alla guerra, alla guerra! E come vada, vada...

È quasi incredibile che un articolo simile abbia trovato posto su La Stampa, storico foglio di casa Agnelli, noto come la busiarda a tutti gli operai piemontesi, quando erano centinaia di migliaia.

È pur vero che direzione e capiredattori si son dati da fare per nasconderlo nelle pagine interne, mettendoci su un titolo che prova (inutilmente) a far capire il contrario di quel che l’articolo afferma (“Nel 2029 la generazione Erasmus rischia di marciare su Mosca”, come se fosse un destino imposto dall’evoluzione, invece che una denuncia della demenza senile delle élite occidentali) e affidando l’editing a qualche antipatizzante.

Ma comunque doveva essere impossibile rifiutare la pubblicazione a Domenico Quirico, un suo storico inviato di guerra che aveva pagato per di più il prezzo di ben due sequestri (in Libia e in Siria, ad opera dell’Isis).

Uno che la guerra l’ha attraversata da testimone, certo schierato con le ragioni dell’Occidente, ma senza farsene accecare. Uno che oggi, come il buon ufficiale di Uomini contro si gira e vede la follia omicida dei propri superiori, indifferenti a tutto meno che al proprio potere.

Uno che quindi vede sotto le parole e le dichiarazioni dei politici più idioti (o banalmente “venduti”) che abbiano mai calcato il palcoscenico europeo il ticchettare del pallottoliere che calcola i profitti dell’industria militare.

C’è molto, in questo articolo. Il riconoscimento che è l’Occidente a volere la guerra mondiale. L’ammissione che la guerra in Ucraina era ed è una guerra per delega, fondata su un calcolo completamente sbagliato. E che ora costringe o ad ammettere la sconfitta oppure ad impegnarsi direttamente, buttando nel tritacarne generazioni allevate per tutt’altri scopi e, soprattutto, in drastico calo numerico.

Un urlo trattenuto, cui La Stampa abbassa intenzionalmente il volume, rendendolo simile a quello di Munch...

Un urlo che conviene, anche da comunisti, saper udire e capire. Perché è certamente vero che è il modo di produzione capitalistico a riprodurre ciclicamente la tendenza alla guerra per rimuovere i limiti incontrati dall’accumulazione dei profitti (“ragione strutturale”).

Ma è altrettanto vero che è soprattutto nell’Occidente che questa tendenza si afferma in modo radicalmente distruttivo, al punto da prendere come una buona chance la Terza guerra mondiale (nucleare, ricordiamo), dopo aver consumato il mondo con la prima e la seconda.

Ed è solo in Occidente, in effetti, che l’inarrestabile istinto dell’accumulazione si è sposato (“ragione sovrastrutturale”) con l’illusione genocida della “superiorità” rispetto al resto del mondo. Da Cristoforo Colombo in poi questa pretesa “superiorità” ha assunto tutti i volti possibili (religione, scienza, cultura, abilità commerciale, ecc.).

Ma, al fondo, ritorna sempre a proporsi come “superiorità della razza bianca”. In versione prima anglosassone, poi ariana, infine anche sionista, rimuovendo una ormai antistorica conventio ad excludendum dalla “tribù dei bianchi”.

Sarebbe divertente dire che questa pretesa di superiorità, questo suprematismo assoluto, si fa manifesto e rivendica il proprio “diritto a dominare tutti” proprio quando lo sviluppo gigantesco del resto del mondo ne mette in discussione i fondamenti economici, culturali, scientifici. Quasi un ultimo rimirarsi allo specchio prima della senescenza.

Ma c’è poco da ironizzare, quando si aprono le valigette con i comandi dell’arsenale nucleare...

Buona lettura.


*****

Nel 2029 la generazione Erasmus rischia di marciare su Mosca

di Domenico Quirico

Una volta la parola guerra terrorizzava. Una volta. Utilizzarla richiedeva le delicatezze propiziatorie di chi evoca il cancro o la pazzia. Si ruminava il termine a bassa voce come se si dovesse scongiurare la cosa esorcizzandone il nome.

Bei tempi! Ora che i massacri raggiungono nefaste velocità di crociera l’élite occidentale, se così si può dire, trasgredisce il divieto si riempie la bocca della parola, ruba la parte linguistica al copione di prepotenti e tiranni.

C’è il rischio di risvegliare timori e tremori? Niente affatto. Si predica la virtù dell’intervento diretto in Ucraina, la tautologia si fa solenne e non si scherza più. Spazzando via in un colpo le rare obiezioni farfugliate da infinitesimali piazze pacifiste e da qualche ‘’intellò’’ a cui si intima peraltro di farsi riconoscere come collaborazionista, la parola GUERRA tuona, fa perdere il senso della misura, respinge in vivo timori e tremori. Con la certezza di ridurre l’impatto quando la guerra verrà.

Nel fontanile di stupidità guerrafondaia un posto di rilievo bisognerà ricavare per il ministro della guerra tedesco Pistorius.

Perché è a questo socialdemocratico che non prova reticenze a far crepitare gli M-16 e a cui, considerata ovviamente risolta la lotta di classe, non ripugna gettare i figli nella mischia, si deve il primo calendario della quarta guerra mondiale. Finalmente! C’è una ora x, c’è un atto di battesimo. Adeguiamoci.

«Entro e non oltre» (come prescriveva la prosa borbonica) il 2029 dobbiamo esser pronti a combattere. I buoni rivoluzionari erano quelli che sapevano cogliere le occasioni del tempo, che decifravano i misteri del calendario, che lo fermavano secondo le necessità o lo facevano precipitare.

Il metereologo dell’ora giusta per scatenare l’apocalisse, con l’occhio fisso sulla immaginaria ma instancabile clessidra è lui: Pistorius Boris.

La politica è o non è un’arte diagnostica che sa localizzare quando è il momento del salasso, la guerra grande senza limiti? Sa cogliere la “krisis” di Ippocrate quando bisogna far cadere il bisturi nel punto giusto: ovvero la Russia.

Politico dal fiuto fine ha capito che dopo due anni e più di mezze verità e mezze bugie è arrivato il momento di parlar chiaro alle opinioni pubbliche. Sa bene che vogliono la pace ma pensano la mia pace e vogliono dire lasciatemi in pace.

Per costoro, mai usciti dall’ora del tè e dell’aperitivo, che facevano finta di preoccuparsi per quegli sventurati dell’Europa centrale con una enfasi che profumava la bugia di circostanza, finora hanno imbastito una quasi guerra su misura, la guerra da retrovia, armi e denaro e ucraini cercate di resistere.

Questa fase si è conclusa con il naufragio delle utopiche certezze di una vittoria made in Zelensky: ora basta con le anime candide i principi immacolati e gli esperti di apocalisse annunziate. Lasciare che Zelensky si arrangi da solo non basta più. La guerra deve prolungarsi, allargarsi, per rendere di più economicamente e politicamente.

I predicatori come Pistorius che sguazzano nel torbido sono certi che ritroveranno intorno a sé, come se nulla fosse successo, un consenso quasi religioso. Banalità notevoli affidate a Robespierre da osteria (...per avere la pace bisogna far fare la guerra agli altri...) erano scandite con il riso sotto i baffi.

Le declamazioni retoriche si rovesciano in un batter d’occhio, i ragionamenti sbandano in fretta, basta svilupparli un po’. Il discorso della pace doveva essere al tempo stesso, senza farsene accorgere, un discorso della guerra: volete forse concedere lunga vita al Grande Satana della steppa? Volete aggiungere una sconfitta a tutte quelle che aborriamo, Iraq, Afghanistan eccetera?

Così, rassicurati dal silenzio che sale dalle piazze, si accelera. Sofisticate armi americane e Nato colpiscono in Russia evidentemente manovrate da serventi esportati con il prodotto e non certo da contadini ucraini fermi al kalashnikov.

E poi si lascia trapelare che si tracciano già corridoi per far arrivare a tutta velocità i rinforzi Nato alla prima linea ucraina in agonia.

Pistorius fissa il calendario: nel 2029 ci sarà la resa dei conti finale, la marcia su Mosca. Dal fatale bagnasciuga della Normandia Macron, un Clemenceau reincarnato, non in zimarra come il Tigre ma haute couture, vuole accelerare, scalpita.

Da notare nell’annuncio di Pistorius la caratteristica prosopopea occidentale: noi fissiamo sempre le date in cui la Storia deve svolgersi. E se il nemico decidesse di accelerare? In fondo ci ha anticipato nel passaggio a una economia di guerra a tutto vapore, mentre noi siano ancora fermi all’auto elettrica e alla caldaia green. Ma abbiamo deciso che il 2029 va bene; il nemico si adegui.

A che serve questa guerra? Che cosa si cerca quando ci si crede? Perché questa passione delle classi dirigenti occidentali per l’ignoranza, questo accanimento per non vedere? Cosa succede se si spegne la luce, pallido barlume dei nostri innumerevoli fantasmi e di una tenace e insensata mitologia della vittoria?

Suprema autorità della stupidità dialettica la guerra, il rassegnarsi a uccidere, resta il modo antichissimo di risolvere le cose irrisolvibili o di credere di risolverle.

Per rispondere stiamo comodamente in Germania. Esempio, a Düsseldorf. Qui ha sede la Rheinmetall. Storia tradizione affidabilità: ha lucrativamente fornito cannoni alle guerre tedesche sotto le bandiere del Kaiser e la croce uncinata di Adolf. Dal 1945 al 1956 fu un periodo sciagurato: produzione bellica vietata, si tirava avanti con i consumi innocui.

Se sfogliate l’attuale catalogo non manca niente: munizioni, cannoni, carri armati. Sono la specialità più ghiotta e di successo. Alla Rheinmetall amano i felini, per battezzare i panzer che deliziavano Hitler e complici tirarono in ballo pantere e tigri. A cui hanno aggiunto il Leopard. Ne stanno preparando una versione che dicono ganzissima: sarà pronta per la marcia su Mosca.

Il calendario di Pistorius delizia i consigli di amministrazione: si può completare la progettazione avviare le catene di montaggio fare i test. Occupazione che cresce, affari sicuri, investimenti a lungo termine, gli unici redditizi.

Nel frattempo si farà digerire il ritorno della coscrizione, «nuova» annuncia Boris, alla immemore generazione Erasmus.

Un dettaglio: il gruppo Rheinmetall dal gennaio 2022 al 26 febbraio 2024 ha aumentato la capitalizzazione del 394%. È abbastanza chiaro?

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